mercoledì 27 agosto 2014

Un freno al fenomeno della "medicina difensiva"

Attenuati i profili di responsabilità per gli operatori sanitari. Basterà?

Medicina e Giustizia
Dopo essere rimessa, per lunghissimo tempo, alla elaborazione giurisprudenziale, la disciplina della responsabilità civile e penale degli operatori sanitari è stata recentemente oggetto di un intervento normativo che, per la prima volta nella storia della nostra legislazione, mira a regolare questo delicatissimo settore attraverso previsioni di carattere generale tendenzialmente applicabili a soggetti che, a vario titolo, possono essere coinvolti nell’esercizio dell’attività medica.
Le previsioni in discorso sono, per la precisione, contenute nell’art. 3 della “Legge Balduzzi”, ovvero in quell’assai voluminoso e complesso provvedimento in materia di sanità introdotto con d.l. 13 settembre 2012, n.158, recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, poi convertito con la l. 8 novembre 2012, n.189: e si tratta di previsioni che appaiono dunque caratterizzate, innanzitutto da una collocazione, a livello di “geografia normativa”, a dir poco curiosa, non essendo state poste, come senza dubbio avrebbe meritato, tra le disposizioni in materia di responsabilità civile e penale contenute nei codici, bensì, nel cosiddetto “decretone sulla sanità”, insieme a tutt’altre disposizioni.
Il primo dato che vale la pena sottolineare è che la finalità perseguita dal legislatore con l’introduzione nell’ordinamento dell’art. 3, ma anche dell’art. 3 bis, della “Legge Balduzzi” è sicuramente condivisibile, consistendo, come si legge nella Relazione illustrativa al d.l. 158 del 2012, in quella di contenere il fenomeno della cosiddetta “medicina difensiva”. In effetti, quest’ ultima, stando ad alcune recenti indagini, non si presenta più nei termini di quel semplice rischio che era stato avvertito ancora più di dieci anni orsono, ma costituisce ormai una concreta modalità dell’agire quotidiano dei medici nel nostro Paese, sempre più portati a prendere decisioni che non obbediscono tanto alla necessità di perseguire il bene del paziente quanto piuttosto all’intento di evitare di essere coinvolti in procedimenti giudiziari. E sempre più portati a tentare di non prender in carico pazienti e di non effettuare procedure diagnostiche o terapeutiche ad alto rischio mediante la limitazione della propria attività libero-professionale o lo spostamento di tali pazienti e procedure in un altro reparto o in un altro nosocomio.
La principale disposizione normativa che il nostro legislatore ha, allora, introdotto allo scopo di contrastare il fenomeno della medicina difensiva è senza dubbio quella contenuta nel comma 1 dell’art. 3 della “Legge Balduzzi”, il quale vorrebbe attenuare i profili di responsabilità, sia penale che civile, in cui possono incorrere gli operatori sanitari, disponendo che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
E’ ancora evidentemente troppo presto per pronosticare quale sarà l’interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 3 della “Legge Balduzzi” che si imporrà nelle aule dei tribunali né quali saranno le conseguenza pratiche che la loro introduzione porterà dal punto di vista della lotta al fenomeno della medicina difensiva. Quello che appare già ora certo, peraltro, è che nel dettare nuove disposizioni in materia di responsabilità medica aventi l’obiettivo, che campeggia nella stessa intitolazione della “Legge Balduzzi”, di migliorare il livello e la qualità dell’assistenza sanitaria offerta nel nostro Paese, il legislatore si è, senza dubbio, troppo poco, preoccupato del livello e della qualità delle norme che andava introducendo nel sistema.

di Michele Capasso

giovedì 21 agosto 2014

Napoli troppo pericolosa? Londra non è da meno. La lettera all'ambasciatore britannico in Italia

di Alessia Nardone

Recentemente è stato pubblicato sul sito istituzionale del Ministero degli Esteri di Londra un avviso rivolto a tutti i turisti che volessero recarsi in Italia. ​Un vero e proprio allarme, un lungo documento in cui il governo inglese scrive senza mezzi termini che l’Italia è pericolosa. E che bisogna stare alla larga soprattutto da Roma e, manco a dirlo, da Napoli. Le risposte non hanno tardato ad arrivare sia dal Sindaco di Roma Ignazio Marino che dall’Assessore al Turismo Nino Daniele del Comune di Napoli.
 
Certo la nostra città, grande e confusionaria, non ha la presunzione di presentarsi come il paradiso terrestre della legalità, ma ha il diritto di essere equiparata a tutte le grandi metropoli. Chi viaggia molto sa bene che non esiste luogo in cui non è necessario tenere gli occhi sempre aperti e fare attenzione a truffatori e rapinatori. E se l’avviso in oggetto si fosse limitato a questo, ad un invito generico a prestare attenzione quando si visitano grandi città, nessuno avrebbe avuto niente da ridire ma così non è stato.

Tra gli avvertimenti che più hanno indignato infatti, c’è il pericolo di una presunta truffa dei pneumatici «diffidate delle offerte di aiuto per le gomme a terra, soprattutto lungo l’autostrada Napoli-Salerno. Talvolta i pneumatici vengono forati volontariamente» ma anche «chiudete sempre il vostro veicolo, non lasciate mai oggetti di valore in mostra ed evitate di lasciare i bagagli incustoditi in auto per un certo periodo di tempo anche perché le automobili, alle fermate di riposo e alle stazioni di servizio autostradali, sono facili obiettivi per i ladri».

E all’avviso «Inglesi attenti alle truffe. Napoli città pericolosa» l’Assessore Daniele in una lettera all’ambasciatore britannico in Italia, Christopher Prentice, risponde «Napoli non è certamente tra le città più pericolose del mondo, mentre, per esempio, Londra è nell’elenco, stilato da Tripadvisor, delle prime 10 città più pericolose d’Europa».

E chiarisce “il crescente incremento dei flussi turistici - in larga parte stranieri - diretti a Napoli, il picco di presenze nei mesi estivi, storicamente considerati di bassa stagione, indicano chiaramente che Napoli è ormai una meta turistica scelta e non più città di passaggio.

Questo dato ci rende orgogliosi e più che mai responsabili, vigili e attenti ad incrementare, dal nostro canto, i servizi di accoglienza e i dispositivi di sicurezza che Napoli, come ogni grande città del mondo, deve assicurare ai suoi cittadini e ai suoi ospiti.

Siamo consapevoli ed attenti alla sicurezza, tuttavia dalla stampa o addirittura da messaggi istituzionali provengono talvolta moniti allarmistici sulla città di Napoli, che risultano sproporzionati e non documentati.”

Poi, per evitare ulteriori “incidenti”, invita l’Ambasciatore Prentice a venire in visita a Napoli forse per rendersi conto del motivo che spinge i suoi connazionali ad avventurarsi in questo “pericoloso” viaggio e così facendo ristabilire una informazione più equilibrata.

martedì 5 agosto 2014

Un paese a 2 velocità, ma il Governo ha già una strategia

Delrio: “disponibili 15 miliardi per il Sud da spendere entro il 2015”

Disponibili 15 miliardi di euro per il Sud da spendere entro il 2015
Il Sud è oggi “una terra a rischio desertificazione industriale e umana, dove si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi”. E ancora, “si registra un’Italia spaccata, divisa e diseguale dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento”. Questo, in sintesi, è quanto emerge dall’ultimo Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno. Dati a dir poco agghiaccianti che ben fotografano la dura realtà nella quale siamo ripiombati. Si ripiombati. Perché se è pur vero che il meridione non ha mai fatto brillare di soddisfazione gli occhi di economisti e imprenditori, la situazione che progressivamente si è venuta a creare negli ultimi anni ha riportato il nostro amato territorio a “scenari post bellici”. Emigrazione, deindustrializzazione, disoccupazione, minimo storico di nascite, crollo del Pil, povertà diffusa, disagio sociale. In una parola crisi, o meglio Sud. E sembra quasi che senza un nuovo boom economico, che potrebbe iniziare a concretizzarsi semplicemente a partire da un corretto utilizzo dei fondi europei, sembra davvero difficile la ripresa. Almeno nel breve periodo. L’Italia, dunque, secondo l’associazione guidata da Adriano Giannola “continua a essere spaccata in due”. Una notizia che non sembra quasi più essere tale dal momento che, ormai, sembriamo quasi verghianamente rassegnati al nostro triste destino.

Probabilmente uno dei dati più allarmanti riguarda proprio uno di motori trainanti della nostra economia: il settore manifatturiero. Al Sud infatti, il settore ha perso il 27% del proprio prodotto e ha più che dimezzato gli investimenti, si parla del 53% in meno, con ovvie ripercussioni sui livelli occupazionali, mentre la crisi non è altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione di prodotto, occupazione e investimenti è stata nettamente inferiore. Quali sono le cause? Diverse e numerose, forse fin troppe. Resistenza al cambiamento, cattivo utilizzo dei fondi europei per la crescita e lo sviluppo, una classe dirigente poco adeguata, mancati investimenti privati, fuga dei cervelli, eccessiva burocratizzazione dei processi. La lista sarebbe lunga e, sicuramente, la politica economica degli ultimi anni è stata determinante. L’incapacità amministrativa nell’ utilizzo dei fondi europei poi, con la Campania in prima linea, ha sicuramente contribuito a non creare i presupposti per un chiaro rilancio del Sud e del Mezzogiorno. E poi ci sono le promesse non mantenute, quelle squisitamente politiche che da destra e da sinistra a loro volta hanno contribuito ad alimentare ipocrite speranze di riscatto.

Forse uno dei passaggi del Rapporto che lascia davvero impietriti è: “l’assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all’Italia meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente”. Sottosviluppo permanente? Altro che speranza di un futuro migliore.

Ma tutto ciò non deve indurre alla rassegnazione e alla rinuncia di una prospettiva di profondo cambiamento. Piuttosto dovrebbe far riflettere sulla necessità, sempre più incombente, di una nuova politica industriale ed economica capace di cambiare il senso di marcia. Capace di invertire quella “direzione ostinata e contraria” nella quale sembra essere proiettato il nostro Sud. Solo così, unitamente ad una forte dose di coraggio e, soprattutto, portando avanti seri interventi strutturali e di ampio respiro, si può pensare di creare almeno una seria prospettiva di crescita economica e misure di sostegno all’occupazione e alla ripresa produttiva, con una visione di sviluppo che coniughi la difesa dell’ambiente e la salvaguardia della salute dei cittadini. Quasi una scommessa, che solo con tenacia e forza di volontà può essere vinta. D’altra parte lo stesso Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, intervenendo alla presentazione del rapporto Svimez, ha ribadito che nel Mezzogiorno “non esiste un problema di disponibilità” ma di “capacità di utilizzo delle risorse” ricordando che, entro il 2015, ci sono da spendere ben “21 miliardi, di cui 15 per il Sud”. In merito a questo, ha aggiunto poi Delrio, il Governo ha già una strategia precisa: “si deve investire nella classe dirigente e nell’efficienza della Pubblica Amministrazione” anche attraverso il rafforzamento del ruolo dell’Agenzia per la Coesione che “deve diventare uno strumento operativo e concreto”. Forse la spinta e la determinazione del Governo Renzi era proprio quello che mancava per assemblare le energie migliori, necessarie al cambiamento e capaci di oltrepassare la sottile “linea d’ombra”. Campania Domani, di certo, non si tirerà indietro ed è pronta a fare la sua parte per contribuire al rilancio di un Sud capace di vincere la sfida più difficile: riconquistare quella dignità e quel protagonismo di cui anche l’Italia ha bisogno e dimostrare finalmente di poter tornare ad essere un traino per l’intera economia nazionale.

di David Lebro

lunedì 4 agosto 2014

Al via il rilancio della scuola in Campania

Un programma di investimento di oltre 800 milioni di euro per 1000 scuole

827,3 milioni di euro, 1000 scuole, 3000 laboratori ed 800 mila studenti. Questi i numeri per il rilancio della scuola in Campana. Ebbene si, saranno oltre 1000 infatti, le scuole di primo e secondo ciclo che beneficeranno del corposo intervento che la Regione Campania ha programmato per il potenziamento e la riqualificazione del sistema scolastico regionale.
La programmazione è essenzialmente suddivisa in due fasi: La prima fase, denominata “Potenziamento e Riqualificazione”, ha visto mettere in campo 325 milioni di euro del POR FESR Campania 2007/2013 a valere sull’Obiettivo Operativo 6.3 “CITTA’ SOLIDALI E SCUOLE APERTE”. Nella seconda fase, identificabile con il nome “La scuola nell’accelerazione della spesa” i milioni messi a disposizione saranno ben 502,3.
Ma procediamo per gradi.
La Regione al fine di programmare gli interventi che intende finanziare con i ben 827,3 milioni di euro stanziati, individua in due distinti protocolli d’intesa, stipulati tra Autorità di Gestione del Por Fesr Campania, Ministero dell’Istruzione ed Università e Ricerca scientifica (MIUR), la natura stessa degli interventi e li distingue in “interventi finalizzati agli ambienti scolastici ed interventi finalizzati agli strumenti”. Nel primo protocollo d’intesa, oggetto di un finanziamento totale di 520 milioni di euro di cui sono stati già erogati 75 milioni di euro per ben 3.000 laboratori didattici, è previsto:
  • l’incremento delle dotazioni tecnologiche e delle reti per gli ambienti di apprendimento scolastico;
  • l’incremento del numero di laboratori tecnologici, multimediali e digitali per migliorare l’apprendimento delle competenze chiave (matematiche, scientifiche e linguistiche);
  • l’acquisto di apparecchiature finalizzate alla partecipazione di allievi diversamente abili.
Con il secondo protocollo d’intesa, oggetto di un finanziamento totale di 307,3 milioni di euro, di cui sono stati già erogati 42,5 milioni di euro, finalizzati a finanziare interventi per migliorare la sostenibilità ambientale e l’innovatività delle strutture scolastiche al fine di valorizzare l’offerta formativa delle scuole della Campania attraverso le seguenti azioni:
  • interventi per il risparmio energetico (impianti fotovoltaico, termico, isolamento verde etc.);
  • interventi per garantire la sicurezza degli edifici scolastici (impianti idrico-elettrici-rilevamento, scale emergenza, etc.);
  • interventi per aumentare l’attrattività degli Istituti scolastici (spazi interni ed esterni, segnaletica funzionale etc.);
  • interventi per garantire l’accessibilità a tutti degli Istituti scolastici (porte, arredi, infissi esterni, ascensore, piattaforma elevatrice, etc.);
  • interventi finalizzati a promuovere le attività sportive, artistiche e ricreative (impianti sportivi).
Quindi, tenuto conto che dai termini del bando si evince che dall’atto della stipula del contratto il termine massimo per la realizzazione dei su indicati interventi consta in 24 mesi, non ci resta che attendere che tali iniziative assumano in tempi brevi la dovuta concretezza.
Parafrasando J. Lubbock “la cosa importante non è tanto che ad ogni bambino debba essere insegnato, quanto che ad ogni bambino debba essere dato il desiderio d’imparare”.

di Gennaro Tullio

venerdì 1 agosto 2014

Per un nuovo partito riformista

La vera battaglia è far diventare pienamente riformista tutto il PD
Il risultato del PD alle ultime elezioni europee non può essere considerato un limite massimo oltre cui sarà impossibile andare. Ciò significherebbe vivere di rendita, quando in realtà quel 41% di consensi apre nuove frontiere per fare ancora meglio, purché siano subito aggredite alcune questioni su cui il PD non appare ancora chiaro e univoco. La prima di queste è la questione morale. Per dare nuova linfa all’impegno politico è essenziale un recupero di moralità diffusa nel Paese. Su questo tema, ormai superate le scorrerie dei partiti, oggi imperano le ruberìe di persone che puntano a facili guadagni privati: politici, imprenditori, pubblici ufficiali, faccendieri di ogni risma.

Torniamo alla “questione morale” sollevata da Enrico Berlinguer, ma non solo per denunciare che i corrotti vanno processati e puniti; anche perché occorre garantire ad ogni ente pubblico la responsabilità del proprio ruolo e autonomia e cessi definitivamente l’occupazione dei partiti da tali enti. Non è più sopportabile che sia un partito a decidere chi deve essere il Primario di un ospedale o chi debba essere il direttore del Telegiornale. Tutto questo deve essere gestito dagli organi di governo degli enti, i quali devono avere la piena disponibilità e responsabilità delle scelte da fare, rispondendo all’ente pubblico che li ha nominati. Ma anche questo non è abbastanza: se si vuole perseguire una conquista piena della moralità del Paese è necessario fare passi avanti anche sulla moralità del cittadino. Esiste un’evasione fiscale paurosa, anche se in alcuni casi l’evasione è ragione di sussistenza a fronte di un’imposizione fiscale altissima: io credo che si debba giungere ad una revisione delle imposte alla persona e all’impresa affinché si possa avviare senza scrupoli un sistema di controllo dove non ci sia nessuna tolleranza verso gli evasori fiscali. Che si realizzi davvero il “pagare tutti per pagare meno”, arrivando ad alleggerire il peso delle imposte per chi ha sempre pagato. L’altra questione essenziale è la riforma della giustizia. C’è davvero poco che funziona, non è pensabile che i processi durino anni, quando spesso l’esito di un processo condiziona la vita di un’intera famiglia o la sopravvivenza di un’impresa. Una persona ha diritto di sapere rapidamente se è ritenuta colpevole o innocente; per non parlare delle liti civili, la cui durata è tale da scoraggiare chiunque a perseguire la tutela dei propri diritti, incentivando così i comportamenti illegali e incivili.

Il PD deve fare una campagna insistente sull’importanza dell’etica pubblica e privata nel suo complesso, sulla valorizzazione dei comportamenti virtuosi individuali e collettivi, sulla promozione del bene comune; l’onestà (anche intellettuale), la meritocrazia e la legalità devono essere per tutti una bussola da seguire. Questa è la condizione per vivere meglio, per garantire equità e competitività al Paese, necessaria per poter guidare e condizionare la politica anche a livello europeo ed internazionale. La seconda questione riguarda la natura e la vocazione del Partito Democratico. Con il 41% si può ambire ad essere il “partito della Nazione”, con l’ambizione maggioritaria di essere il partito di governo del Paese. Una forza politica che non è a priori contro nessuna classe sociale, quindi interclassista, che apre le porte a tutti. Noi abbiamo detto che per rilanciare l’economia e la competitività occorre diminuire il costo del lavoro (non diminuire le retribuzioni, anzi) e contribuire allo sviluppo degli investimenti a favore della qualità del prodotto. Il Ministro Guidi in una recente assemblea di Confindustria ha criticato la dilagante cultura anti-imprenditoriale e la criminalizzazione del profitto”, argomentazioni che nei partiti di sinistra, compreso il PD, a volte fanno storcere il naso a qualcuno, convinto che le politiche classiste siano il modo migliore per difendere i lavoratori dipendenti e i loro stipendi. Occorre invece essere chiari sul fatto che nel PD non c’è spazio per una cultura anti-imprenditori o diffidente nei confronti del lavoro autonomo, sapendo che senza il profitto privato non c’è impresa, e senza impresa non ci sono né posti di lavoro né investimenti. Questo significa essere contro i lavoratori? Assolutamente no, è chiaro che il lavoratore è la parte debole nei rapporti socio-economici e va sostenuto, questo è un ruolo del sindacato insostituibile, cos’ì com’è giusto che il sindacato indirizzi le rivendicazioni in un quadro di compatibilità generali dell’impresa e del Paese. Ed anche il PD è chiamato a fare la sua parte di sostegno verso il mondo del lavoro, ma ciò non può significare che non farà la sua parte anche a sostegno dell’impresa e dell’economia generale del Paese.

Qualcuno ha detto che in questo modo il PD è la nuova DC. Non si vuol capire che non siamo di fronte alla somma fra PCI e DC, o a un compromesso storico fuori tempo. E’ l’evoluzione e l’incontro fra culture socio-politiche diverse da cui è scaturita una nuova sensibilità che non santifica questa o quella classe, ma che fa del suo meglio per eliminare le contraddizioni fra esse, per determinare momenti di intesa, politiche di collaborazione e anche di partecipazione all’impresa, tali da determinare nuovo sviluppo per il sistema economico e per il Paese, senza il quale sarà impossibile aumentare l’occupazione. Se riusciamo in questa scommessa il Paese ne uscirà bene.

La sconfitta di altre forze politiche che si professano anch’esse riformiste è determinata dall’illusione di costruire dal nulla una forza innovatrice che possa stare con successo fra il PD e il centrodestra, senza capire che questo spazio politico non c’è, e che la battaglia vera è far diventare pienamente riformista tutto il Partito Democratico. Nelle scorse settimane si è avviato un significativo dibattito sul rapporto fra il PD ed alcuni parlamentari quali Pietro Ichino, Andrea Romano, Linda Lanzillotta e altri. Lo stesso Monti ha dichiarato che se Renzi avesse vinto prima non sarebbe nata “Scelta Civica”. Oggi, con Renzi al Governo, quella forza politica ha esaurito la sua credibilità. Ma chi allora fece quella scelta oggi non può essere respinto a prescindere, perché la loro cultura riformista non è estranea o confliggente con quella del PD, oggi ancor più di allora. Una partito politico pluralista e a vocazione maggioritaria apre le sue porte a chi può dare contributi positivi e coerenti alle sue elaborazioni programmatiche e alla qualità del suo gruppo dirigente, ad ogni livello. E’ (anche) in questa apertura culturale che stanno le migliori potenzialità del Partito Democratico e del Paese.

di William Colli