giovedì 29 gennaio 2015

Il Jobs act della semplificazione o della perdita dei diritti? Il punto di vista di Governo, Confindustria e Sindacati


di Gennaro Tullio

Per ogni Italiano vedere la nascita così come la fine di un Governo è un po’ come vivere in un irrituale ma costante déjà-vu. Irrituale, perché cambiano i personaggi, ma purtroppo non le situazioni. A ogni governo che s’insedia, indifferentemente dall’appartenenza politica, ideologica e sociale, la richiesta fatta è sempre la stessa: le riforme.

C’è chi le propone, le propaganda come la soluzione a cui nessuno aveva mai pensato, il placebo a ogni problema, e chi le osteggia, le censura come frutto di una mente insana, nemica del popolo e amica delle più sordide combriccole segrete.
Quando finalmente le riforme giungono in Parlamento inizia la bagarre tra Deputati e Senatori. E prima quelli di un’aula poi dell’altra giurano di porvi rimedio, così che emendamento dopo emendamento esse sono addomesticate e svilite. Insomma da qualsiasi punto si osservino, le critiche sono sempre troppe e le soluzioni proposte sempre poche. Questo era ieri. 

Il Governo Renzi, lo si ami o lo si odi, ha stravolto questa routine e tra scioperi ed emendamenti, o il ricorso alla fiducia, questo Esecutivo sembra aver portato a termine il percorso dell’idea iniziale nella sua interezza: cambiare passo. I 1500 lavoratori che Marchionne ha da poco annunciato di voler assumere nello stabilimento di Melfi sembrano urlare che la direzione intrapresa sia quella giusta.
Fanno ben sperare, inoltre, le previsioni nel primo trimestre 2015: più di 8400 assunzioni e un incremento del 6% dei contratti a tempo indeterminato. In pratica, se non si può certamente parlare di ripresa vera e propria, alcune dinamiche fotografate da UNIONCAMERE e Ministero del Lavoro nell’ambito del sistema informativo Excelsior, lasciano intendere che qualcosa inizia a muoversi.

Con il via libera definitivo del Senato il Jobs Act è diventato legge. Già da gennaio dovrebbe entrare in vigore il primo decreto delegato, che riguarda i contratti unici a tutele crescenti e a tempo indeterminato, oltre che la semplificazione delle norme sui licenziamenti e sugli indennizzi. Il resto dei provvedimenti, come per esempio le norme sulla cassa integrazione, entreranno in vigore presumibilmente tra qualche mese.
Eppure le critiche mosse sono evidenti ma considerando le criticità, le posizioni espresse dal Governo e dai Sindacati, sono davvero così agli antipodi?
La riforma si propone il riordino delle tipologie di contratto già esistenti, con l’introduzione di un contratto unico a tempo indeterminato per le nuove assunzioni, il quale prevede tutele crescenti in base all’anzianità di servizio. Parallelamente si riducono le altre forme contrattuali come i contratti di collaborazione a progetto, che esisteranno sino al loro naturale esaurimento.

Per il Governo si tratta di un primo importante passo verso la semplificazione e la notevole riduzione dell’enorme numero di contratti di lavoro esistenti, anche se Confindustria ha già chiesto di ampliare l’accesso a queste forme di contratto anche ai lavoratori che hanno oggi un contratto in essere.
La riforma prevede il superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per i licenziamenti illegittimi. Le nuove regole, infatti, escludono il reintegro del lavoratore, prevedendo un risarcimento economico che aumenta con l’anzianità di servizio, e individuano termini certi per impugnare il licenziamento. 

Per Confindustria lo schema di decreto legislativo contiene importanti novità e coglie l'obiettivo prefissato dalla legge delega: favorire le assunzioni a tempo indeterminato, garantendo anche alle parti certezza in merito alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro. Sempre per gli industriali, positiva anche la disciplina dell'offerta di conciliazione che il datore di lavoro può attivare per evitare il possibile contenzioso giudiziario successivo al licenziamento. 

Per i Sindacati, invece, c’è l’evidente assimilazione del trattamento dei licenziamenti legittimi e illegittimi, facendo così saltare il principio per cui “se non c’è giusta causa l’impresa riceve una sanzione”. Ecco perché essi chiedono di correggere gli interventi sui licenziamenti individuali, a partire dalla necessità di ripristinare la proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione del licenziamento, ravvisando anche un eccesso di delega sui licenziamenti collettivi.

L’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi) unificherà il sussidio di disoccupazione, estendendolo ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. La nuova tutela sarà estesa a circa 300 mila lavoratori. I Sindacati chiedono che la nuova indennità di disoccupazione sia innalzata a 24 mesi così come per il 2015 e il 2016, anche per il 2017.

Lo scontro al tavolo delle trattative, dunque, sembra vedere ancora lontana la sua conclusione.

Immagine da Internet




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