venerdì 27 febbraio 2015

Sergio Mattarella, il Presidente di tutti.

di David Lebro

Lo dipingono tutti come un uomo sobrio, riservato, schivo. Dotato di grande equilibrio, saggezza e lungimiranza. Garante della Costituzione e della legalità e un profondo conoscitore delle dinamiche istituzionali e politiche. Questo, in sintesi, il ritratto del neo presidente, Sergio Mattarella che, dopo aver superato abbondantemente il quorum, da qualche settimana, si è insediato al Palazzo del Quirinale. Principale regista della sua candidatura è senza dubbio Beppe Fioroni che, insieme al Vicesegretario PD Lorenzo Guerini, ha visto in Mattarella, sin da subito, la persona giusta per trovare la più ampia condivisione possibile tra le forze politiche.
Sergio Mattarella
Emblema del cattolicesimo democratico incarnato da Aldo Moro, il vero punto di riferimento del suo agire politico, Mattarella ha sempre lavorato, come lui, in punta dei piedi e sempre con la massima discrezione e autorevolezza. Un presidente, dunque, apparentemente poco in sintonia con lo stile mediatico al quale siamo ormai abituati, e più propenso ad evitare i riflettori che ad attirarli.

La formazione cattolica, l’impegno sociale, la politica, quella che all’inizio non ha rincorso, ma nella quale si è ritrovato quasi per necessità all’indomani dell’omicidio del fratello Piersanti, hanno profondamente segnato il percorso di vita di Mattarella. E proprio l’ansia di rinnovamento della classe dirigente, fortemente auspicata dal fratello, e la volontà di continuare a portare avanti quel cammino ha fatto scattare in lui la molla dell’impegno politico.

“Occorre recuperare credibilità e questo vuol dire soprattutto moralità” ricordava al congresso della DC del 1984. La necessità di ripartire proprio dalla questione morale rendeva bene l’idea della caratura morale dell’uomo. Soprattutto perché fare politica in quegli anni significava saper “mediare”, resistere alle provocazioni delle lobby di potere e mantenere la schiena dritta, nonostante il contesto difficile e le tensioni sociali in atto.
 
Aldo Moro
Si può affermare con forza che Mattarella ha attraversato la storia della Repubblica Italiana. Una vita trascorsa nella Democrazia Cristiana. Eletto per la prima volta in Parlamento nel 1983, da sempre nella corrente di Moro, la più a sinistra della sinistra della Dc, è stato tra i protagonisti della nascita del Partito Popolare Italiano insieme con Beniamino Andreatta e Rosi Bindi. Prima nella Margherita, poi tra i fondatori dell’Ulivo. Più volte ministro, membro della Consulta, padre della storica legge elettorale che segnò la svolta in senso maggioritario, negli anni, Mattarella ha lasciato il segno e lo ha fatto sempre con la calma che lo caratterizza.

Nei giorni scorsi anche il Wall Street Journal ha voluto celebrare l’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. E lo ha fatto sottolineandone l’unicità della leadership, già rinvenibile nel suo discorso di insediamento e il conforto per la notizia che in Europa ci sia ancora un Paese “che ha la volontà di affrontare i maggiori problemi del nostro tempo”. Non è un caso che proprio nel discorso alle Camere abbia toccato temi importanti come la crisi economica, la necessità di correre sulle riforme e portare avanti politiche di crescita, il rispetto della Costituzione e dei diritti civili. E ancora la Resistenza, il rispetto della legalità, la lotta alla criminalità organizzata e alla mafia, ma anche quella alla corruzione e all'evasione fiscale. Come molti hanno notato, anche se Mattarella non lo ha mai citato apertamente, Moro è stato ben presente in quei 35 minuti di discorso e ne ha costituito il riferimento culturale, politico ed etico.

Il nuovo Presidente, insomma, anche alla luce dell’ampia maggioranza con cui è stato eletto, ha tutte le carte in regola per fare la differenza e da uomo del Sud, di certo, non farà mai mancare il suo contributo al nostro territorio.

De Magistris sfida Caldoro sull’art. 32 della Costituzione.

Il Summit delle polemiche

di Gennaro Tullio

Senza non poche polemiche, nei giorni scorsi, si è tenuto il primo summit della sanità a Napoli. Con l’altisonante sottotitolo, del G15 per la sanità, si è voluto sottolineare la presenza dei 15 operatori individuati dall’organizzazione del summit, che a vario titolo sono attori nell’erogazione dei servizi sanitari metropolitani.

Alla tre giorni hanno quindi partecipato i direttori generali delle Aziende ospedaliere Cardarelli, Ospedale Dei Colli, Santobono, Pausilipon, SS. Annunziata, SUN, dell'ARSAN e dei vertici sindacali- sia di funzione pubblica che medici - di CGIL CISL e UIL e di quelli di categoria ANAAO ASSOMED, CIMO e SUMAI.

Dalla pubblicazione dell’invito alla polemica il passo è breve. A dare il via è proprio il grande assente, il presidente dell’ordine dei medici di Napoli, il Dott. Silvestro Scotti che in una nota puntualizza: “Prendo atto che il Comune e il sindaco de Magistris non ritengano necessario l’apporto dei rappresentanti dei medici che non sono stati coinvolti nell’organizzazione del primo Summit sulla sanità che ha preso il via oggi”, definendosi “basito per la totale assenza di coinvolgimento mostrata dal Comune di Napoli“. Con non poco imbarazzo gli replica l’organizzatore del summit, ritenendo il mancato invito, una mera svista invitandolo a partecipare già dal secondo giorno. Appare subito evidente il clima da campagna elettorale che in una Regione allo stremo delle forze si respira in ogni comunicato stampa.

Archiviate le polemiche di rito, si è entrati subito nel vivo della tre giorni e con due tavole rotonde, la prima su “Punti nascita e assistenza neonatale nella Città di Napoli” e la seconda su “Il pronto soccorso nel centro storico”, il Sindaco De Magistris entra a gamba tesa nel tortuoso terreno della sanità Campana e sfida apertamente il Governatore Caldaro. Quasi a sottolineare la totale assenza delle opposizioni in Consiglio regionale, De Magistris invia un articolato documento al Governatore, frutto del lavoro unitario dei presenti al summit. 

 Con abile maestria, da navigatore di lungo corso è Angelo Montemarano, il Direttore dell’ARSAN a sfilarsi dal documento: “Ho partecipato alla riunione promossa dal Sindaco Luigi De Magistris, perché era opportuno accettare l’invito di confronto. Non ho firmato però nessun documento, ne ho avuto modo di conoscerne le indicazioni finali”. Il documento, infatti, articolato in diversi punti, affronta il problema della drastica riduzione dei finanziamenti ad opera del Fondo Sanitario Nazionale, dell’impasse del Governatore nella nomina di un Assessore alla Sanità, proponendo persino la creazione di sotto organismi di rilievo metropolitano e provinciale che partecipino attivamente alla regia regionale per le programmazioni future della sanità nei territori di loro competenza. Si fa eco agli ordini di categoria che da anni lamentano la quasi totalità di assenza di investimento sulle piante organiche delle strutture pubbliche e di come, al contrario quelle delle strutture private manchino di un totale controllo. Tiene banco, infine, la discussione sullo sblocco del turn over: oggettivamente in ambito regionale e nazionale è assurdo che il protrarsi di tale problematica non sia vista come una risorsa per il rilancio di un servizio di maggior qualità.

Trova tutti d’accordo però la disponibilità dell’ASL NA 1 che, anche dopo la tanto agognata apertura dell’ospedale del mare, vuole garantire l’assistenza ospedaliera di emergenza nel centro antico e con gli ospedali, Pellegrini, Loreto Mare ed Ascalesi, garantire il pronto soccorso ostetrico. 

Imparare a disimparare: l'esperienza particolare di una famiglia comune

di Alessia Nardone

“Ma se lasciassimo la zona comfort della nostra esistenza, disimparando la religione del comfort per condividere i tempi, gli spazi, le logiche e i meccanismi di relazione con chi ha un concetto diverso di famiglia?”

Su questo interrogativo nasce Unlearning, in inglese “disimparare”, un documentario che racconta il viaggio di Lucio, Anna e la piccola Gaia che in sei mesi si sono confrontati con stili di vita molto diversi dai loro.
La riflessione sulla loro vita quotidiana nasce quando la piccola Gaia disegna un pollo che invece di due zampe ne ha quattro, ricordando le quattro cosce di pollo contenute normalmente nelle confezioni vendute al supermercato.
Quel disegno scardina le certezze che fino a quel momento li aveva guidati nelle scelte di vita e nell’educazione culturale di Gaia. Hanno deciso quindi di disimparare, smontare i pregiudizi nei quali avevano vissuto fino a quel momento per aprirsi alla comprensione di famiglie che vivono senza la televisione, che lasciano città e lavoro per trasferirsi in campagna e dedicarsi ad una fattoria sociale, che vivono in roulotte e portano in giro per il mondo la loro arte circense, che non mandano i figli a scuola ma preferiscono l’educazione libertaria, non autoritaria, dove si impara ad appropriarsi della propria personalità o, che vivono in una comune dove la reciprocità permette una gestione del tempo e del lavoro assolutamente diversa.

Lucio, Anna e Gaia hanno vissuto con loro in eco-villaggi vegani, comuni anarchiche, fattorie sociali, hanno dormito in tende, grotte e roulotte. Hanno barattato gli spostamenti, le cose che non gli servivano più, ore di lavoro, competenze e professionalità. Hanno perfino scambiato la propria casa con turisti e viaggiatori. Per fare questo hanno dovuto disimparare. Disimparare che bisogna lavorare otto ore al giorno, che bisogna accettare la precarietà, che le cose vecchie vanno buttate per comprarne di nuove e che il pagamento del mutuo e delle bollette sono la cosa più importate che puoi lasciare a tua figlia. Con intelligenza hanno dimostrato a tutti noi che, per sei mesi, un insegnante precaria può mettersi in aspettativa, un libero professionista, dedicarsi ad altro ed una bimba di sei anni assentarsi dalla scuola, senza per forza operare decisioni estreme e rischiose per il futuro. I sei mesi in giro per le diverse realtà familiari hanno insegnato loro ad avere fiducia nel prossimo, ma più di tutto gli hanno insegnato che un'altra vita è possibile e, per fortuna, hanno deciso di insegnarlo a tutti noi.

giovedì 19 febbraio 2015

Nel mirino del Jobs act i contratti di lavoro “flessibili”

I contratti atipici sotto la lente di ingrandimento del Consiglio dei Ministri

di Alessandro Coccia

Mancano pochi giorni al terzo atto della riforma del lavoro, che avrà come obiettivo quello di porre correttivi alla disciplina dei contratti a termine. I primi due decreti attuativi del Job Act (la Legge n. 183/2014), hanno riguardato rispettivamente l'introduzione della figura del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e la nuova Aspi (assicurazione sociale per l'impiego), che ha allargato la fruizione del sussidio di disoccupazione anche ai co.co.pro e ad altre tipologie contrattuali alle quali tale istituto era, prima, precluso. Il Consiglio dei ministri del 20 febbraio si occuperà di dare un'altra fondamentale risposta all'esigenza sociale di rilanciare lo sviluppo occupazionale del paese attraverso un azione di contrasto al fenomeno del “precariato”. Saranno, quindi, analizzati al microscopio i rapporti di lavoro “atipici”, detti anche “flessibili”. Grande, pertanto, è l'attesa relativa al testo del provvedimento che si andrà a discutere ed approvare. Numerose sono le indiscrezioni che circolano a riguardo, tuttavia il documento non è stato ancora divulgato. «L’obiettivo è quello di promuovere il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, per effetto del mix tra maggiore flessibilità in uscita e incentivi, contrastando l’area grigia dei contratti parasubordinati, che mascherano rapporti di subordinazione» con queste parole si è espresso il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei. Il provvedimento dovrebbe, pertanto, ridurre drasticamente le tipologie contrattuali, secondo l'orientamento del Jobs act di privilegiare come forma di assunzione il contratto a tempo indeterminato. A tal fine si dovrà prevedere un periodo ponte tra le due discipline nel quale disciplinare la dismissione dei contratti flessibili ancora attivi.
Così sembra dall'interpretazione di una nota del Presidente della Commissione Lavoro Cesare Damiano della Camera dei Deputati nella parte in cui afferma che: “Ci auguriamo ...che venga prosciugato il mare delle forme di assunzione precarie e che aumenti il numero degli occupati. In questo contesto diventa del tutto naturale cancellare il lavoro coordinato e continuativo ed a progetto, gli associati in partecipazione, il lavoro ripartito e a chiamata, nonché’ ridurre a 24 mesi la durata massima del contratto a termine. Ci auguriamo che il Consiglio dei ministri di venerdì prossimo vari queste misure dando senso compiuto e coerenza agli interventi del Governo sul mercato del lavoro”. Pare infatti che il governo si appresti a intervenire sulla continuità e sulle proroghe dei contratti a termine riducendo il termine massimo da 36 a 24 mesi e abbassando il numero massimo di rinnovi da 5 a 3. Nell'ordine del giorno dell'adunanza del 20 febbraio si troverà spazio per correggere il nuovo regime delle partite Iva come si deduce dalle dichiarazioni del Ministro del lavoro Giuliano Poletti rilasciate ad un convegno con i militanti del Pd di Torino e i vertici piemontesi di Confindustria e dei sindacati. L'intenzione di intervenire sulla disciplina dei lavori autonomi è stata confermata anche il giorno di San Valentino dal Presidente del Consiglio con un tweet e ribadita dallo stesso Renzi in un intervista alla radio, dove annunciando di presentare la riforma fiscale nel CDM del 20 febbraio ha dichiarato che "nei decreti delegati sul fisco c'è anche lo spazio per modificare in meglio le norme sulle partite Iva”.

Vento di speranza, a Napoli il 21 marzo arriva Papa Francesco.

Attesi milioni di fedeli. Tutte le tappe del percorso.

di Sonia De Martino

E’ il 13 marzo 2013, San Pietro è in tripudio quando la chiesa cattolica elegge il suo nuovo Papa, Francesco I. Argentino ma di origini italiane, Mario Bergoglio, a due anni dalla sua elezione continua a godere di un elevatissimo consenso: è un Papa rivoluzionario il cui obiettivo è rimodellare la chiesa allontanandola da quella austerità assolutistica e conservatrice di cui, invece, si era fatto portavoce il suo predecessore Benedetto XVI.

E’ il Papa dal sorriso dolce, delle telefonate inaspettate, il Papa simbolo della semplicità, il cui scopo primario è quello di avvicinare la chiesa il più possibile ai suoi fedeli, riportando fede e speranza nella società. La sua agenda, infatti, è sempre ricca di appuntamenti, visite e viaggi, sia nelle maggiori città italiane che all’estero e proprio quest’anno Papa Bergoglio ha scelto di visitare anche Napoli.

E’ il 19 settembre 2014, siamo all’interno del Duomo di Napoli, e il cardinale Crescenzio Sepe al termine del miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro, annuncia la conferma di un evento che i napoletani aspettano con ansia e trepidazione da mesi: l’arrivo del Papa previsto in città il prossimo 21 marzo.
La visita del pontefice è un’occasione di rinnovamento e di rinascita, è un punto di partenza per una città affamata di speranza e di fiducia. E’ un abbraccio carico di sostegno per tutti i fedeli che ogni giorno lottano contro miseria, egoismo e indifferenza religiosa. L’atmosfera è carica di aspettative, i napoletani non nascondono in ogni gesto, in ogni sospiro, in ogni sguardo la speranza, se non la certezza, che finalmente una svolta concreta sia concessa anche a loro. Non a caso a supporto della comunità ecclesiastica, così come auspicato da Francesco I, non poteva che esserci la comunità civile: trasporto pubblico gratis per facilitare lo spostamento dei numerosi fedeli, uno stanziamento straordinario di 160mila euro per tutti gli interventi necessari e un sussidio preparato dall’arcidiocesi di Napoli e distribuito presso le parrocchie, le scuole e gli istituti religiosi. Il primo cittadino Luigi De Magistris dichiara:”un evento di questo rilievo rappresenta una preziosa occasione di rilancio per la città. Proprio per questo abbiamo istituito una ‘cabina di regia’ con tutti i servizi comunali interessati, che ha affrontato tutte le problematiche legate all’evento con le altre istituzioni coinvolte”. Il Santo Padre atterrerà in elicottero a Scampia alle 9.00 per incontrare associazioni e forze sociali del territorio; alle 11.00 celebrerà la Messa a piazza del Plebiscito a cui seguirà una visita ai detenuti, presso il carcere di Poggioreale. Successivamente si recherà al Duomo per la venerazione delle reliquie di San Gennaro e subito dopo sarà presente presso la chiesa del Gesù Nuovo per portare conforto agli ammalati. Ma il Papa non dimentica i giovani e le famiglie e ritaglia uno spazio per una festa-incontro che si terrà alle 17.00 sul lungomare Caracciolo. Infine lascerà Napoli sempre in elicottero dal porto alle 18.15.

Il 21 marzo sarà una giornata fitta di impegni per il nostro pontefice e sarà come una benedizione per sostenere quel tanto atteso cambiamento che Napoli aspetta da tempo. Sarà uno di quegli eventi atteso da migliaia di cittadini e fedeli e che di certo resterà nel cuore della comunità partenopea.



Papa a Napoli, Comitato civico Carlo III: pronto ad accoglierlo con una grande festa.

Per l’occasione previsto il rintocco dell’orologio di Palazzo Fuga, fermo dal 1980.

di Alessia Nardone



In occasione della visita di Papa Francesco a Napoli, prevista per il prossimo 21 marzo, la città sta lavorando a tutta una serie di iniziative che renderanno indimenticabile l’attesissima giornata.

In particolare, il Comitato civico Carlo III e Palazzo Fuga, un comitato attivo da anni nella difesa e valorizzazione del territorio, ha deciso di omaggiare il Papa argentino, organizzando una grande festa sullo scalone principale dell'ingresso del Real Albergo dei poveri, con tanto di striscioni, bandiere e stendardi.
Sarà una festa a tutti gli effetti –spiega Osvaldo Vicente De Mase, componente del Direttivo del “Comitato civico Piazza Carlo III e Palazzo Fuga”-, ci saranno tanti bambini delle Parrocchie di Sant'Antonio Abate e di San Tarcisio ai Ponti Rossi, oltre all’intero Comitato, che parteciperà in massa alla visita del Santo Padre”.

Il dottor De Mase, argentino di origine e trapiantato a Napoli da decenni, negli anni ‘70 ha frequentato il corso di Medicina all'Universidad del Salvador a Buenos Aires, dove ha avuto l’opportunità di conoscere i Padri Gesuiti e, in particolare, proprio Padre Jorge Mario Bergoglio che ricorda con stima e affetto.

"Stiamo facendo il possibile -continua ancora De Mase- per sensibilizzare l’Amministrazione comunale affinchè il Papa possa essere accolto a piazza Carlo III con il rintocco dell'orologio di Palazzo Fuga, orologio ormai fermo dai tempi del terremoto del 1980 e che, grazie ad una nostra richiesta al Sindaco de Magistris, è ormai prossimo al restauro”.

Una delle piazze simbolo della città, dunque, è già pronta e si sta dando molto da fare per assicurare un’accoglienza impeccabile all’attesissima visita di Papa Bergoglio alla capitale del Sud.

Disegno di Legge Costituzionale sull’accorpamento delle Regioni

Le Regioni da 20 potrebbero diventare 12

di Michele Capasso



Tra circa un mese entrerà nel vivo una delle riforme più importanti e complesse: quella delle Regioni. Infatti, a breve, il Governo riceverà la relazione della Commissione tecnica recentemente costituita per definire il perimetro della riforma. Nel mirino ci sono regioni del Nord e regioni del Sud. Se l'idea così com'è stata concepita dal deputato Roberto Morassut e dal senatore Raffaele Ranucci andasse in porto, dovremmo prepararci a dire addio alla cartina dell'Italia così come la conosciamo oggi.

"Dopo 45 anni dalla nascita delle Regioni – spiegano in una nota congiunta Morassut e Ranucci - pensiamo che in Italia sia arrivato il momento di discutere concretamente di una riforma del regionalismo. Oggi ci troviamo in una fase in cui stiamo riorganizzando lo Stato, le massime istituzioni e le basi fondamentali della nostra Costituzione; parliamo poi di riforma della legge elettorale e discutiamo di spending review, cioè di riduzione delle spese. Allora, in questo quadro, il tema delle Regioni diventa fondamentale. Le Regioni - concludono - sono nate negli anni '70 per cercare di dare rappresentanza alle diverse identità italiane. Ma se in una prima fase hanno fatto bene e hanno aiutato la crescita del Paese, in un secondo momento sono diventate protagoniste di fenomeni non positivi della vita pubblica. Ben 15 sono finite sotto inchiesta, 494 sono stati i consiglieri coinvolti, quasi 60 milioni di euro - tutti soldi pubblici - la cifra sulla quale i magistrati stanno ancora indagando. È per questo che ora bisogna cambiare".
L'obiettivo è ormai chiaro: la riforma della Costituzione, che per diventare legge ha bisogno di quattro passaggi parlamentari, entrerà a breve nel vivo della discussione nell'aula della Camera e ora si tratta per trovare un accordo fra i partiti e i Presidenti delle Regioni per inserire nel testo alcune modifiche agli articoli 131 e 132 che stabiliscono il numero delle Regioni e le loro missioni principali.

Si tratta di un maxi-accorpamento che cambierebbe il volto dell’Italia senza tener conto, in alcuni casi, delle tradizioni e della storia delle città che confluirebbero in un’altra Regione. Ma siccome per i soli consigli regionali si spendono circa 1160 milioni di euro, dall’aggregazione potrebbero arrivare soltanto da questo capitolo risparmi per almeno 400 milioni di euro.
Nella muova mappa d'Italia ridisegnata dai due esponenti del Partito Democratico, la sola amministrazione del Nord Italia a non essere toccata sarebbe la Lombardia. Oltre alla Regione Alpina, che unirebbe Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria, nascerebbe infatti il Triveneto dall'unione di Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Nel centro Italia, invece l'Emilia Romagna ingloberebbe dalle Marche la provincia di Pesaro mentre Toscana, Umbria e provincia di Viterbo si unirebbero per formare la Regione Appenninica. Marche, Abruzzo e Molise darebbero vita alla Regione Adriatica. Il Lazio poi scomparirebbe diventando un unico grande Distretto di Roma Capitale e lasciando le province meridionali alla Regione Tirrenica che includerebbe anche la Campania. Nel Sud Italia, poi, la Puglia guadagnerebbe dalla Basilicata trasformandosi così nella Regione Levante. Immutate, infine, Sicilia e Sardegna.

Tra l'altro è l'Europa a dare una mano a chi vuole semplificare il sistema italiano di governo del territorio. In Francia il presidente socialista Francois Hollande il mese scorso ha deciso di ridurre le Regions da 22 a 14 e ha semplificato le funzioni dei 96 Dipartimenti, così oltralpe chiamano le Province. Anche nella Germania Federale, che ha 16 potentissimi Lander, sta accadendo l'impensabile: i Lander più piccoli stanno chiedendo di unificarsi ad altri perché non ce la fanno più a ripagare i debiti.

La tradizione di S. Valentino nella storia

di Francesco Spisso

Febbraio è il mese tanto atteso dagli innamorati. Il 14, festa di S. Valentino, è il giorno in cui si festeggia l'amore. I negozi e le strade si vestono a festa: fiori, cuori, dolci e deliziosi pupazzi contribuiscono a creare un'atmosfera allegra e variopinta.

La festa è oggi conosciuta e festeggiata nella maggior parte del mondo e probabilmente nel IV secolo avrebbe sostituito la festa pagana dei Lupercalia in onore del dio Lupercus. Secondo una leggenda narrata da Ovidio, al tempo di re Romolo si verificò un periodo di sterilità nelle donne. Uomini e donne supplicarono Giunone, la quale rispose che le donne dovevano essere penetrate da un sacro caprone; le donne ovviamente rimasero sbigottite da tale rivelazione ma un augure etrusco diede all'oracolo una più semplice interpretazione: sacrificò un capro e colpì le schiene delle donne tagliando con delle strisce di pelle dell'animale e dopo dieci mesi lunari le donne partorirono.

Una leggenda narra che nel 270 D. C l’Imperatore Claudio II ospitò il vescovo Valentino a Roma per tentare di convincerlo a convertirsi al paganesimo, ma il suo rifiuto fu causa della sua condanna a morte. Si narra inoltre che in prigione Valentino si innamorò della figlia cieca del guardiano e che miracolò la fanciulla ridonandole la vista.

I primi a provvedere alla diffusione della tradizione di S. Valentino furono i monaci benedettini, custodi della basilica dedicata al santo in Terni, i quali la fecero conoscere in Italia, in Francia e in Inghilterra attraverso i loro monasteri.

Una curiosità: in Brasile il giorno degli innamorati non si festeggia il 14 febbraio, bensì il 12 giugno, giorno che precede la ricorrenza di Sant’Antonio, considerato il protettore dei matrimoni. In questo giorno ogni ragazza in cerca di marito porta con sé una statuetta del Santo, sperando di veder realizzato il proprio desiderio.

La Divina Commedia V Canto dell'Inferno - l'incontro con Paolo e Francesca
Non in tutti i Paesi del mondo San Valentino è una festività ben vista, soprattutto per ragioni religiose. In Russia ed in alcuni stati dell’ex Unione Sovietica la ricorrenza è considerata non attinente ad alcuna festività ufficiale ortodossa.

L’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli ha lanciato l’iniziativa “La notte degli innamorati” e tra le Istituzioni culturali della Città anche la Biblioteca Nazionale ha organizzato la mostra “Amor che ne la mente mi ragiona. Storie d'amore nei secoli” (14-28 febbraio 2015). Documenti e immagini appartenenti alla Biblioteca costituiscono un vero e proprio excursus tra le storie d’amore di tutti i tempi. Dalla raffigurazione di coppie classiche come Ettore e Andromaca e Enea e Didone, si passa a quella dell'amore medievale di Paolo e Francesca attraverso un prezioso manoscritto della Divina Commedia e le principali liriche petrarchesche. L’amore del periodo rinascimentale è rievocato da suggestive edizioni illustrate dell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. L’amore nel Settecento è testimoniato dalle commedie di Goldoni e i melodrammi di Metastasio. Infine i documenti musicali, arricchiti dai versi di Salvatore Di Giacomo e da immagini che rievocano il teatro e il cinema del primo ‘900, ci configurano il concetto dell’amore nell’Ottocento e nel Novecento.































mercoledì 11 febbraio 2015

No a blocco assunzioni, Governo trovi soluzione per idonei concorso


COMUNICATO STAMPA

Gli idonei manifestano a Roma
"Il Governo si adoperi per tutelare le legittime aspettative degli idonei vincitori di concorso, perché non è tollerabile che centinaia di giovani, dopo aver affrontato un concorso pubblico e dopo essere stati illusi per anni sullo scorrimento delle relative graduatorie, si ritrovino oggi con un pugno di sabbia e senza nessuna speranza di stabilizzazione futura”. Così David Lebro, Consigliere metropolitano di Napoli e Capogruppo de "La Città-Campania Domani" al Consiglio comunale, presente oggi a piazza Montecitorio a fianco degli idonei, alla manifestazione nazionale di protesta contro la decisione del Governo di bloccare le assunzioni.
“Una decisione, quella del Governo, -puntualizza Lebro- che lascia a dir poco sconcertati, vista la grave carenza di personale qualificato presente nella maggior parte degli Enti locali e, in particolare, nel Comune di Napoli dove, a breve, si corre il rischio di non poter più garantire i servizi essenziali ai cittadini. Una situazione a dir poco allarmante perché il Comune, nonostante avesse programmato per il 2015 lo scorrimento delle graduatorie Formez, si ritrova oggi con le mani legate a causa dalle scelte sancite nell’ultima legge di Stabilità, che ha bloccato lo scorrimento per i prossimi due anni”.

“L’auspicio -conclude Lebro- è che il Governo intraprenda al più presto tutte le azioni utili per trovare una degna soluzione al problema perché ci troviamo di fronte ad una vera e propria ingiustizia sociale per tanti giovani meritevoli e preparati, che non farà altro che alimentare ancor più quel senso di sfiducia nei confronti delle istituzioni”.

(d.leb)

lunedì 2 febbraio 2015

“On Stage”: spazio a costumisti e scenografi italiani

di Gennaro Tullio

S’inaugura il 20 febbraio presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli un'esposizione di 40 artisti il cui lavoro si svolge da sempre dietro le quinte del teatro e del cinema. Si tratta della prima mostra del settore in Campania dal dopoguerra. Costumi e scenografie, infatti, sono i protagonisti indiscussi della mostra dal titolo “On Stage”, a cura di Renato Lori (per la sezione scenografia) e Federica De Rosa (per la sezione costumi).
 
L’esposizione prosegue il percorso artistico contestualizzato tra gli anni ’80 e ’90 del Novecento, inaugurato con “Rewind – Arte a Napoli 1980 – 1990”, presso il Castel Sant’Elmo, e seguito da “Blow up – Fotografia a Napoli 1980 – 1990” ed “Shake up” in Accademia. Per questa fortunata occasione e in una location che ben si presta al contenuto che si vuol mostrare, sotto le luci della ribalta ci finisce proprio chi è abituato a stare dietro le quinte, ma che è comunque responsabile della riuscita di una pièce teatrale o di un’opera cinematografica. E sono proprio il lavoro e l’impegno profuso da questi “addetti ai lavori” che vengono sottolineati e premiati qui in questa mostra, che ne vuole celebrare la fondamentale importanza al livello artistico in modo da farla conoscere ufficialmente al pubblico che spesso ne ignora le diverse ed impegnative fasi di lavorazione.

Gli artisti che espongono le loro opere in questa mostra sono in prevalenza ex docenti, ex allievi o insegnanti dell’Accademia. Tra gli scenografi qui presentati spiccano i nomi di Salvatore Farina, Lino Fiorito, Giuliano Lo Priore, Renato Lori, Rosario Squillace, Tony Stefanucci, Adriana Carli, Tata Barbalato, Franco Autiero e Antonio Angiuoni. I costumisti in esposizione sono invece Zaira De Vincentiis (vincitrice del “Premio le Maschere del Teatro Italiano 2014” per i costumi di “Antonio e Cleopatra”, spettacolo diretto da Luca De Fusco), Annalisa Giacci, Annamaria Morelli, Odette Nicoletti e Giusi Giustino. 
 
I visitatori che parteciperanno alla mostra potranno notare che molti dei costumi presenti sono stati dipinti a mano. Inoltre, percorrendo le sale adibite alla manifestazione, scopriranno documenti fotografici e d’archivio e ammireranno da vicino alcuni bozzetti molti dei quali inediti. Grazie al materiale messo a disposizione dalla Rai, un’area della mostra sarà dedicata ai contributi video a cura di Stefano Incerti e, rimanendo in tema visivo, non mancherà inoltre una vasta rassegna cinematografica e di videoclip. C’è tempo per visitare la mostra fino al 18 aprile, dalle ore 10 alle 14, l’ingresso è libero.

Maschere e colori: Carnevale a Napoli tradizione vecchie e nuove

di Alessia Nardone

Il carnevale è la festa che per eccellenza rappresenta il connubio tra il Sacro e il profano. Giorni in cui ci si può sbizzarrire con scherzi, travestimenti e tanto gioioso divertimento. Ogni città ha una maschera tradizionale ma anche un modo per festeggiarlo, dalla tavola alle strade. Le prime informazioni sul carnevale napoletano risalgono al XVI secolo e ci sono pervenute grazie all’opera “Ritratto o modello delle grandezze, delle letizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli”, scritta dal Marchese Giovan Battista del Tufo. Una festa riservata all’alta aristocrazia napoletana, la quale ben mascherata aderiva a tornei, balli e battute di caccia al toro. Presto però anche il popolo, affascinato dalle mascherate decide di scendere nelle piazze e nei vicoli per festeggiare. Costumi tradizionali e travestimenti stravaganti, giochi, orge, canti osceni e ricchi di doppi sensi fino alla rappresentazione volgare delle commedie popolari.
Pulcinella
Nel Cinquecento nasce anche Pulcinella, tipica maschera napoletana. Un personaggio creato da Silvio Fiorillo per la sua commedia “La Lucilla costante con le ridicole disfide e prodezze di Policinella”. Una maschera che per certi aspetti incarna perfettamente un certo tipo napoletano che riesce a sorridere ai problemi, schernendo pubblicamente i potenti di cui racconta segreti e malefatte. Scaltro, irriverente ma anche emblema della peggiore cialtroneria, tipicamente italiana. Da qui «l’Italia è il Paese di Pulcinella» per intendere una nazione ritenuta poco seria soprattutto all’estero e soprattutto dal punto di vista politico.

In perfetto stile Pulcinella, il carnevale a Napoli oggi è festeggiato nei luoghi più bui, nei vicoli dei quartieri più arretrati e malfamati, come se i cittadini in quei giorni volessero ridere e sorridere alle avversità, sbeffeggiando con suoni e colori il resto della città. Creare una “tradizione” in un quartiere “senza storia” è partito tutto da questo obiettivo di Felice Pignataro e sua moglie Mirella che assieme ai loro Gridas (Gruppo risveglio dal sonno) decisero di organizzare, nel 1983, il primo Carnevale del quartiere Scampia. Oggi giunto alla XXXIV edizione il Corteo di Carnevale di Scampia riscuote sempre più interesse da parte sia dei napoletani che da gente proveniente dal resto dell’Italia. Ogni anno viene scelto un tema sociale di attualità, per questo 2016: «CONTINENTI E CONTENUTI ovverossia LA DERIVA DEGLI INCONTINENTI … ASPETTANDO LA PANGEA», in riferimento ai contrasti e alle guerre tra Stati, l’unica soluzione pare essere la Pangea, un supercontinente primordiale, verso cui ri-tendiamo, o ci piacerebbe tendere, per non avere più distanze né barriere fisiche e mentali.

Ma se carnevale dura una settimana perché accontentarsi di un solo corteo? Ed ecco che per la sua undicesima edizione il Carnevale di Montesanto, affronta il tema delle paure: “La paura di ciò che è diverso. La paura del presente, la paura del futuro. La paura delle guerre e delle bombe. La paura di crescere troppo in fretta. La paura dei confini e delle barriere. La paura di cambiare o di restare sempre uguali. Conosci la tua paura, sconfiggi i tuoi mostri… ARUAP arrevotamm’a paura!”

Alla sesta edizione il Carnevale di Materdei sceglie di puntare tutto su un incoraggiamento a fare di più per il proprio quartiere: “Voliamo liberi senza FRONTIERE. Abbelliamo il MONDO, cominciando dal nostro QUARTIERE…”

Alla prima edizione, invece, Bagnoli, sempre in lotta per la riqualificazione del quartiere, decide in questa occasione di far scendere in campo noti e meno noti Supereroi. A detta degli organizzatori anche Jeeg Robot è contrario al commissariamento e pronto a combattere.

Sulla scia, quest’anno, anche Forcella e i Quartieri Spagnoli danno vita a diverse attività laboratoriali tese alla costruzione di carri allegorici e maschere. Un modo stimolare la creatività dei più piccoli, per discutere di temi importanti e insegnare l’arte del riciclo.

Tra tradizioni vecchie e nuove speriamo di salvare la lasagna del martedì grasso e Pulcinella, ma allo stesso tempo puntiamo al futuro incoraggiando la nascita di nuovi Cortei di quartiere.

domenica 1 febbraio 2015

Dopo trent'anni il maxi processo di Palermo fa ancora riflettere

di Alessia Nardone

Il 10 febbraio 1986 ha inizio un processo contro la mafia che resterà pietra miliare nella memoria e nell’anima di tutti gli italiani. Sono passati trent’anni dal Maxi-processo di Palermo, ma ancora siamo pervasi da un brivido lungo la schiena quando pensiamo a quegli anni e ai suoi più coraggiosi protagonisti tra i quali i giudici Falcone e Borsellino. Fu un processo di proporzioni enormi, il più grande mai celebrato al mondo: 22 mesi di dibattimento, 349 udienze, 474 imputati, 8000 pagine di verbale, 1314 interrogatori, 635 arringhe difensive, 900 testimoni, 200 avvocati penalisti, 600 giornalisti arrivati da tutto il mondo.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Oltre alle pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione e ai 19 ergastoli sentenziati dalla Corte di Cassazione, il processo fu importante perché mise in luce l’organizzazione e i regolamenti con cui agiva Cosa Nostra. Infatti molto importante fu il ruolo dei pentiti, ossia di persone affiliate ai clan mafiosi che decidono di collaborare con la giustizia svelando quanto sanno sugli accaduti. In particolare Tommaso Buscetta rivelò, riguardo a Cosa Nostra, informazioni dettagliate sulla sua organizzazione rigidamente piramidale, con alla base le “famiglie”. Più “famiglie” formavano un “mandamento”; i capi-mandamento della provincia di Palermo formavano la “Commissione” la quale aveva il compito di esprimersi in merito agli omicidi di maggior rilievo. A intercettare la fiducia di Buscetta fu proprio il Giudice Istruttore Giovanni Falcone, l’unico con il quale il pentito parlava. Ci vollero due mesi prima che Buscetta esaurisse le cose che aveva da raccontare. A quei tempi si sapeva poco o nulla dell'organizzazione e delle regole di Cosa Nostra, per cui tali rivelazioni avevano un valore incalcolabile e consentivano per la prima volta agli inquirenti di penetrare in quel mondo ancora ignoto.

Tra gli imputati presenti vi erano Luciano Leggio, Pippo Calò, Michele Greco, Leoluca Bagarella, Salvatore Montalto e moltissimi altri; tra i contumaci figuravano Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Le accuse ascritte agli imputati includevano, tra gli altri, 120 omicidi, traffico di droga, rapine, estorsione, e, ovviamente, il delitto di "associazione mafiosa" in vigore da pochi anni.

Per comprendere a fondo l’importanza di questo processo è bene ricordare che in quegli anni a Palermo imperversava la seconda guerra di mafia; in poco più di due anni furono commessi circa 600 omicidi, alcuni dei quali a danno di numerosi uomini delle istituzioni come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il segretario provinciale democristiano Michele Reina, il commissario Boris Giuliano, il giornalista Mario Francese, il candidato a giudice istruttore di Palermo Cesare Terranova, il presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, il procuratore Gaetano Costa, il segretario regionale siciliano del PCI Pio La Torre e molti altri ancora.

L’unico modo per far fronte ad una simile situazione, fu quello di costruire un pool antimafia ossia un gruppo di giudici istruttori che si sarebbero occupati esclusivamente dei reati di stampo mafioso. Per eseguire questo arduo compito furono scelti Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello. Questi avrebbero svolto tutte le indagini su Cosa Nostra, coadiuvati dal sostituto procuratore Giuseppe Ayala e tre colleghi, il cui compito era inoltre quello di portare a processo come pubblici ministeri i risultati delle indagini del pool e ottenere le condanne.

Il 10 febbraio 1986, in un'aula bunker colmata di circa 300 imputati, 200 avvocati difensori e 600 giornalisti da tutto il mondo, si aprì il processo. Cosa Nostra fu sconfitta nonostante avesse sfoderato tutte le sue “armi” per impedire lo svolgimento del maxiprocesso. Molti uomini lavorarono a questo risultato giorno e notte, con coraggio, lealtà e amore. Questi uomini hanno fatto la storia, a scapito della loro stessa vita.