venerdì 28 agosto 2015

Giovani: non rinunciano allo studio pur avendo trovato un lavoro

di Teresa Uomo

In Italia così come in altri paesi industrializzati, le giovani generazioni devono lottare contro tanti fattori che, giorno dopo giorno, rendono sempre più difficili le loro condizioni. Con la crisi economica questi giovani pur avendo trovato un lavoro non rinunciano allo studio, al fine di migliorare comunque le proprie prospettive future. Pur studiando, hanno deciso di iniziare già a confrontarsi con il mercato del lavoro.

 Una scelta meritevole, quella di cercare durante gli studi di mantenersi del tutto o parzialmente da soli, tanto più in un Paese come il nostro che presenta i più alti tassi di dipendenza economica dei giovani dai genitori nel mondo sviluppato. Una scelta dettata non sempre e solo da necessità, ma spinta anche dal desiderio di autonomia e da un senso di responsabilità. Ma che talvolta si scontra anche con le difficoltà a conciliare i due impegni.

Di coloro che studiano e lavorano, la percentuale aumenta con l’età. Circa un caso su quattro si avvicina ai 25 anni, e circa due casi su cinque si avvicinano ai 30 anni. Di chi è la colpa di questa situazione? La crisi, ma non solo. Diversi sono i motivi di riflessione. Talvolta il problema principale sono i limiti strutturali del mercato che dà poche occasioni, bassa qualità, contratti brevi e precari. In secondo luogo viene la situazione economica complessiva. Al terzo posto la “preferenza data ai raccomandati”. Al quarto la “minore esperienza”. Accanto alle suddette motivazioni, è possibile trovarne altri – non meno importanti – per cui l’Italia non offre ai giovani molte opportunità di trovare lavoro. 
Il Professor Alessandro Rosina –scrittore e docente universitario della Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano– nel corso di un’indagine su giovani e mondo del lavoro ha sottolineato che “quello che le nuove generazioni disdegnano non è di per sé il lavoro manuale – che può essere stimolante e appagante – ma lo sfruttamento e la mancanza di valorizzazione. Quello che temono sono offerte di impiego che intrappolano in condizione di precarietà, in cui impegno e competenze non vengono riconosciute. Senza un miglioramento qualitativo del contributo dei giovani al sistema produttivo, in qualsiasi settore, difficilmente l’Italia può tornare a crescere e ad essere competitiva”.

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