venerdì 25 settembre 2015

Patatina…Tu si que vales!

L’invasione delle friggitorie a Napoli

di Marcello de Angelis

E alla fine ci fu l’invasione delle patatine. Voglio subito precisare ai maschietti maliziosi che hanno rizzato le antenne speranzosi, che mi sto riferendo ai gustosissimi tuberi, tagliati in svariati modi e grandezze, e fritti in olio bollente. Già, perché dato l’impressionante numero di patatinerie sorte negli ultimi due anni a Napoli anzi, meglio dire in Campania, si può parlare davvero di invasione.

Il "cuoppo" di patatine
Ma andiamo con ordine e cominciamo dal principio: la devastante crisi economica esplosa nel 2008 sta ancora facendo sfracelli nella nostra penisola: un tornado finanziario che ha risucchiato nei suoi vortici impetuosi qualsiasi forma di risorsa monetaria. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ripete ormai come una specie di mantra, che il periodo critico sta lentamente lasciando il nostro paese e che timidi (timidissimi aggiungerei), segnali di ripresa sono alle porte. Però, come ogni tornado che si rispetti e che svolge con impegno e dedizione il proprio mestiere, anche quello finanziario ha lasciato dietro di sé macerie e distruzioni. 

Napoli e tutta la regione Campania hanno subìto negli ultimi due anni un tracollo economico senza pari, caratterizzato dal quasi totale appiattimento del commercio. Un numero enorme di negozi ha chiuso i battenti dopo anni di onorata carriera. Quasi 5.000 saracinesche nell’intera regione si sono abbassate facendo calare un sipario di povertà sui proprietari, i commessi e le relative famiglie. Imprenditori grandi e piccoli, storici o meno, non hanno avuto più la possibilità, la forza o, addirittura, il coraggio di andare avanti. Le situazioni sono tante e differenti l’una dall’altra: ci sono i negozi al dettaglio che vengono risucchiati dalla grande distribuzione, che può vantare la forza del numero di scorte acquisite a buon mercato e su cui può abbassare i prezzi di vendita, o altri esercizi che non riescono più a pagare affitti troppo elevati a causa della diminuzione delle vendite. 

Non c’è strada, piazza o quartiere dove non abbia chiuso o stia per chiudere almeno un negozio. E quello che maggiormente colpisce, è vedere come si sta velocemente ridisegnando la città e come tale trasformazione la stia facendo allontanare sempre più da quell'immagine di modello culturale del meridione, quando Napoli era un centro di gravità in cui venivano attratti artisti ed intellettuali da ogni parte del mondo. Già perché Napoli era anche questa in epoche remote, prima della crisi. La nostra città non presenta più la raffinatezza dei suoi storici negozi, così come è ormai parte del passato la ricercatezza nel vestire, nel mangiare, nel vivere dei napoletani. È una Napoli diversa, dove una filiale del Banco di Napoli ha preso il posto di un rinomato calzaturificio di via dei Mille, proprio lì, dove anche l’alta sartoria di “Blasi” è ormai scomparsa.

La classica frittura napoletana
Ed è così che hanno iniziato a proliferare negozietti di moda economica, sale slot (le infernali stanze dove si entra pieni di sogni e si esce pieni di incubi, ancora più malridotti, sia economicamente che moralmente), e di friggitorie. Ovunque lo sguardo spazi ci sono locali che friggono senza sosta e la puzza ormai onnipresente di frittura è così penetrante che il colesterolo rischia di avere un’impennata semplicemente respirando durante una passeggiata per via Toledo, via Chiaia o via Scarlatti. 

A questo punto è naturale fare una riflessione: Napoli, con le sue prelibatezze culinarie, non aveva di certo nessun bisogno di questa vero e proprio boom di friggitorie. Se si aveva voglia di “zeppole e panzarotti” bastava entrare in qualsiasi trattoria figlia della nostra tradizione gastronomica senza lasciarsi coinvolgere da questa moderna invasione commerciale proveniente dall’estero e che, in breve tempo, si è diffusa nell’intera penisola italiana con un indiscusso successo di vendita. 

Ma citare solo patatinerie e friggitorie è limitativo, in quanto sono spuntati con altrettanta velocità yoghurterie, frapperie, gelaterie, paninoteche, kebabari. Un vero esercito di attività più o meno grandi, caratterizzati dal consumo veloce ed in piedi dei prodotti culinari succitati. Una ennesima americanizzazione di cui, sinceramente, non sentivamo affatto il bisogno.

Rifiuti
Un ovvio riferimento va ora fatto anche ai contenitori per la spazzatura divenuti ormai insufficienti. Mi riferisco in particolare a quelli che vanno da piazza Trieste e Trento a via Toledo, perennemente stracolmi, debordano il loro contenuto lungo la strada: resti di cibo, vaschette vuote e tovaglioli sporchi. Un lerciume indegno per una strada che è il bigliettino da visita del centro storico di Napoli e che dal 1536, anno in cui fu voluta dal Viceré Don Pedro de Toledo, è sempre stata una strada elegante, sempre piena di gente raffinata. Oggi di quella strada importante non è rimasto più nulla. I palazzi storici che la delimitano, sono nascosti tra insegne di dozzinali negozi che niente hanno a che fare con le attività di un tempo ormai passato. 

Gli artisti e gli intellettuali che un tempo la popolavano non ci sono più e le botteghe superstiti perdono valore non solo per le condizioni della strada, la cui pavimentazione è a pezzi e malamente rattoppata da antiestetiche colate di asfalto, ma anche per la presenza della concorrenza abusiva, con ambulanti che vendono merce contraffatta di ogni tipo e che smerciano le più disparate cianfrusaglie, dai pacchi di calzini “venduti anche senza busta paga” (solo chi ci è incappato sa a cosa mi riferisco) o telefonini "pezzotti". A chiusura dei negozi la strada è un tappeto di cartoni e cartacce, frutto dell’indisciplina e dell’inciviltà di molti commercianti e dei napoletani. 

La strada che solo centocinquanta anni fa era considerata da storici ed intellettuali tra le più belle del mondo oggi è degradata fino a diventare poco più che un volgare mercato a cielo aperto.

Ma chi se ne frega? I ragazzi di oggi no, non quelli della “Napoli bene” per intenderci, quelli dalla capigliatura alla moicana, quelli che con l’occhio fisso su whatsapp per essere precisi, camminano per via Toledo con il loro “cuoppo” di patatine tra le mani, parlottando e gesticolando con le dita unte senza domandarsi quale bellezza si nasconda dietro quelle insegne luminose, di quale storia sono impregnati quei palazzi, quella strada, quella città che loro sporcano e talvolta mortificano senza pietà. Ma forse, anche se sapessero quale glorioso passato si cela intorno a loro, neanche si interesserebbero più di tanto. Ora scusate, ma è pronto il mio “cuoppo” di patatine, vi devo lasciare!

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