lunedì 26 ottobre 2015

Tassa di soggiorno: chi paga realmente lo scotto?

di Gennaro Tullio


Tassa di soggiorno si, tassa di soggiorno no. Sembra esser diventato il leitmotiv del momento. Ma cos’è, di cosa si tratta e come funziona? Dobbiamo risalire agli inizi del secolo, con la precisione al 1910, per trovarne l’istituzione, ma allora a differenza di oggi i motivi alla base di tale “obolo” erano ben altri. A quei tempi c’era la consapevolezza di godere di un bene quasi unico, le stazioni termali, che di per sé rappresentavano un attrattore naturale, offrendo relax e cure allo stesso tempo. Proprio al fine di preservarle e migliorarle per le future generazioni si pensò, “non ad una tassa” ma alla partecipazione degli avventori alla conservazione di tale risorsa naturale. Oggi i motivi sono d’infima, ma pur sempre giustificata natura. I Comuni, così come i loro residenti, devono combattere con la quadratura del bilancio e i tagli del Governo sugli Enti locali non è che abbiano reso vita facile ai Sindaci. Così quando i fondi scarseggiano, mentre in borsa si capitalizza, in Italia si tassa e per fare cassa i Comuni di tutto il bel paese stanno ricorrendo a questo strumento.

E’ il decreto legislativo n°23 del 14 marzo 2011 a conferire, grazie al federalismo fiscale municipale ai comuni, la facoltà di istituire l’imposta di soggiorno. Più precisamente, i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Tale limite, ad oggi, risulta superato dalla città di Roma che arriva sino ai 7 euro per le strutture particolarmente lussuose.

Da una rilevazione di Feder Alberghi il dato è in progressivo aumento, infatti: ”il gettito nazionale accertato è stato pari a circa 162 milioni di euro nel 2012, 248 milioni nel 2013 e 337 milioni nel 2014. Il trend è generato sia dalla costante crescita del numero di comuni che applicano l'imposta (oggi sono 735, erano 332 a luglio 2012) sia dai cospicui aumenti delle tariffe, come ad esempio nel caso di Roma e Milano, che nel 2015 quasi raddoppieranno gli incassi rispetto al 2014. Il prelievo medio è di 1,63 euro a pernottamento: 3,44 a Milano, 3,20 a Roma, 2,59 a Firenze, 2,48 a Venezia, 1,01 a Napoli”. In pratica, una famiglia (padre, madre e figlio undicenne) che in periodo di alta stagione soggiorna in un albergo a 3 stelle per due giorni spende 24 euro di imposta a Roma, 17,50 euro a Venezia, 14 euro a Firenze, 12 euro a Milano, 8 euro a Bologna, 6 euro a Napoli e 4,2 euro a Bibione.

Le ricadute sul turismo? Da una rilevazione effettuata a luglio scorso, il bel paese risultava essere primo tra i Paesi europei per le presenze turistiche concentrate nei quattro mesi estivi da giugno a settembre 2014: il 16,1% del totale Ue, davanti a Francia (15,9%) e Spagna (14,3%). Quindi più introiti, più turismo, possibile che sia tutto così semplice? Chi paga realmente lo scotto? Gli albergatori di sicuro no. Loro si limitano ad incassare un’imposta ormai estesa ovunque e nota a chi viaggia, quindi si sono trasformati in uno sportello esattoriale per i Comuni, niente di più. E come al solito, dunque, il prezzo lo pagano le famiglie.

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