di Germana Guidotti

Il quarantennale della scomparsa di Pierpaolo Pasolini, che si commemora quest’anno, rappresenta più che altro un’occasione per celebrare la vita:
la vita di un uomo controcorrente, di un vero e proprio dissidente, di una figura solitaria che si è eretta contro il proprio tempo e, dal profondo della sua esperienza singolare, ha assunto posizioni indubbiamente polemiche, quasi “eretiche”, nei riguardi della propria epoca. Di Pierpaolo si è scritto tanto, forse tutto, ma si è detto veramente troppo poco.
Il suo essere Pasolini l'ha reso solo, fortemente debole. Profeta e portatore di luci, ma mai per se stesso.
Un artista la cui intera esistenza è caratterizzata da un inesauribile confronto con la realtà circostante, all’interno della quale si è messo a nudo per primo e che ha cercato di mettere a nudo, grazie alla propria “vitalità”, per la voglia di far sentire la propria presenza totalizzante nel mondo. Ha voluto essere (non lasciare) in ogni momento presenza nel mondo, intervenendo per affermare -forte e chiaro- esigenze imprescindibili di valore universale. E’ come se Pierpaolo avesse voluto costruirsi da solo il proprio monumento a se stesso. Ecco perché omaggiarlo non può assolutamente prescindere da una rappresentazione “in memoriam”, il che significa relazionarlo non soltanto con la sua attualità, il suo presente, ma anche e soprattutto con la nostra attualità, con la contemporaneità del nostro tempo storico.
In una tensione continua e crescente fra vita personale, rapporti privati, scelte culturali, orizzonte storico, contesto socio-politico, Pasolini sembra letteralmente posseduto da una smania di intervenire, parlare, esprimersi; si sente interpellato in maniera irresistibile a provocare il tessuto sociale. E vive tale condizione, tale stato di cose, in maniera viscerale, come manifestazione della sua “vitalità”, che però poi vuole trasformare in responsabilità sociale: da qui “VISCERE E IMPEGNO”. La sua è la perfetta testimonianza della fusione fra passione personale ed ideologia, fra scelte individuali e senso del dovere e dell’impegno pubblico.
Nell’immaginario collettivo, in questo mese si omaggia un mito che racchiudeva in se’ avanguardia, essenzialità, spontaneità, tendenza a mostrarsi nudo e vero, a vivere fuori dagli schemi e soprattutto fuori dalle discriminazioni, quelle stesse all’interno delle quali però è rimasto prigioniero per tutta la vita, anzi, quelle di cui poi alla fine è rimasto vittima. Perfetto esempio di libertà bloccata.
La sua analisi dell'evoluzione futura della società è chiaramente davanti ai nostri occhi, lucida, profetica, inequivocabile: ha fornito una rappresentazione esaustiva della società italiana degli anni ’50, perché è sulla sua pelle che stanno avvenendo e si stanno consumando i profondi stravolgimenti del tessuto sociale, per cui egli ne partecipa in maniera assoluta e si lascia assorbire da quegli avvenimenti. Ma disperatamente vuole intervenire, vuole gridare, vuole palesare il suo netto rifiuto, e lo fa in modo sempre provocatorio. Assumendo per esempio posizioni assolutamente controcorrente di fronte alle tendenze dominanti degli anni del Sessantotto, del movimento studentesco, della nuova sinistra, la sua attualità. Intravede fra i principali responsabili del degrado (morale, civile, politico, storico) della vita italiana dell’epoca proprio il Sessantotto col suo antiautoritarismo; l’avvento della televisione, dei mass-media, della scuola di massa, del consumismo, del capitalismo.
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Il Pasolini regista cinematografico |
Si scaglia apertamente contro il potere, anzi i Poteri, la classe politica dirigente, il Palazzo. Ed il terreno dove tutto ciò si fa più evidente è quello del cinema, perché chiaramente questa arte è quella che più di tutte si presta a raccontare la realtà nella sua immediatezza, maggiormente in grado di cogliere i rapporti diretti col contesto circostante e gli effetti materiali. Pasolini sceglie il cinema e la carriera di regista cinematografico proprio in quanto il cinema “fa parlare” la realtà. E dunque al cinema dona tutto il suo furor intellettuale, tant’è che per la stragrande maggioranza delle proprie pellicole, oltre a curare le varie fasi di regia, partecipa in prima persona alla stesura delle sceneggiature, alla selezione dei cast attoriali. Perché questo è il mondo che vive e sente di più. Come tutta la sua esperienza esistenziale, anche quella cinematografica non poteva che essere provocatoria, “scandalosa”, aggressiva: i suoi sono film di protesta, secondo alcuni volgari, ma solo perché egli aveva il chiaro intento di sottolineare la volgarità e la corruzione dominante.
Ha indugiato sul sesso e sulle problematiche psico-sociali, con evidente eco alla personale esperienza di omosessuale, alla luce della quale vive la relazione con la realtà sotto il segno dello scandalo, dell’impurità. Del resto, ad una grande carica aggressiva fa da contraltare una straordinaria sensibilità personale, che gli ha permesso di comprendere gli effetti della rovina in cui vede precipitare l’Italia, e la sua stessa esistenza, come una deriva inevitabile: quando viene assassinato nella notte del 2 novembre 1975 da un diciassettenne, nello spiazzo polveroso all’idroscalo di Ostia, si consuma una “tragedia annunciata”. La drammaticità della scomparsa lo rende vittima di quell’orrore che tanto aveva voluto combattere, martire di un’intera società. Quasi desiderata, attesa, sperata, la sua morte si è cristallizzata nel sentire comune come vero e proprio atto sacrificale reclamato e disperato, a conclusione della sua ossessiva provocazione contro il mondo. Da qui si è generato il mito di Pasolini.
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La locandina del concerto celebrativo per Pasolini |
Uno dei tributi più significativi per commemorare l’evento di quest’anno è stato senza dubbio il concerto celebrativo per Pier Paolo Pasolini del Maestro Roberto De Simone, tenutosi la sera del 2 novembre presso il teatro Mediterraneo di Napoli, che ha rappresentato l’evento di spicco della manifestazione istituzionale “Vivi nel ricordo”, dedicata alla memoria del grande scrittore, saggista, giornalista, poeta, regista bolognese. Una sorta di tributo nel tributo, perché il grande Maestro De Simone ha rievocato, in maniera suggestiva ed intensissima, l’arte di Pasolini, all’interno di un’opera ricca di contaminazioni e richiami culturali, musicali, territoriali (con la città partenopea, cui Pier Paolo era particolarmente legato). Diversi i brani, le rivisitazioni proposte, sebbene tutte avessero un solo comune denominatore: musicare, cantare, ciascuna con la propria cifra stilistica, con/di/per Pasolini.
Atmosfere cupe e severe, come nel caso del Lamento per la morte di Pasolini, si sono alternate a quelle invece molto più ritmate e colorate della originalissima Samba de roda, creata e presentata per la prima volta in tale occasione da Roberto de Simone, in cui il Maestro ha voluto celebrare la spiritualità ‘eretica’ di Pasolini commista alla religiosità tutta popolare di cui egli stesso è espressione. Un’operazione di importante contaminazione stilistica, che coniuga la dimensione mediterranea (la lingua napoletana) con la cultura e l’espressività artistica latino-americana (la danza del samba), con l’intento di sfatare tutti i luoghi comuni riguardanti la nostra città: nei versi si elenca, cioè, tutto ciò che ‘Napoli non è’.
Infine, se la forza delle idee si deve accompagnare necessariamente al consenso della moltitudine per diventare efficace, senz’altro si può affermare che le idee, le spinte, le energie pasoliniane trovano amplissimo spazio e consenso ancora adesso, a distanza di un quarantennio dal suo trapasso. A tal proposito lui stesso scriveva: “l'indipendenza e' la mia forza, la solitudine la mia debolezza”.