giovedì 19 novembre 2015

Il sostegno della Regione Campania alle PMI

di Antonio Cimminiello

Operaio al lavoro
Le iniziative messe in campo dal Governo Renzi in ambito lavorativo cominciano a sortire i primi effetti positivi. Tra questi, con il “Jobs Act”, si pensi che nei primi sette mesi del 2015 i nuovi contratti stabili nel settore privato sono stati 1.093.584, in aumento di 286.126 unita’ (+35,4%) rispetto allo stesso periodo del 2014.

Nonostante ciò, però, le regioni meridionali sul piano economico ed occupazionale sono ancora afflitte da un gap oramai “storico” rispetto al resto d’Italia, il quale non a caso ha spinto lo stesso Esecutivo a programmare ulteriori misure in favore delle stesse- attualmente in fase di discussione- come ad esempio la reintroduzione del credito d’imposta a favore degli investimenti e l’estensione della decontribuzione integrale per i neoassunti.

Su questa scia, la Regione Campania, nell’ottica di valorizzazione delle realtà imprenditoriali già presenti sul territorio ed al fine specifico di favorire la loro competitività, ha approvato un apposito programma di investimenti per complessivi 120 milioni di euro.

Nello specifico si tratta di un finanziamento a tasso agevolato rimborsabile in 40 rate, cioè una sorta di “prestito”- dato lo scarso successo delle precedenti erogazioni “a fondo perduto”- dalla utile trasversalità, visto che interessa una molteplicità di settori dall’industria al turismo. Con tale finanziamento, inoltre, sarà possibile sostenere attività materiali ed immateriali, il che, tradotto in termini concreti, permetterà di finanziare una miriade di attività, dal semplice ampliamento di una struttura fino allo sviluppo di know-how e tecnologie varie.

La “direttiva sugli interventi straordinari per la competitività” può rappresentare, dunque, un importante e concreto provvedimento di sostegno effettivo ad imprese per le quali le principali difficoltà, spesso, si annidano proprio in un difficile accesso al credito, problema questo che non può trovare la sua risoluzione nella concessione di incentivi a tempo. Al tempo stesso, il programma impone una responsabilizzazione che orienta senza dubbio ad una corretta gestione delle risorse ottenute, non trattandosi, come già evidenziato, di un finanziamento a fondo perduto.

L’attenzione istituzionale così mostrata al variegato mondo delle piccole e medie imprese, inoltre, va oltre lo status di mera iniziativa “promozionale”: il sostegno che così si offre a ciò che rappresenta ben l’80 per cento dell’intero sistema economico campano è sintomo di quella valorizzazione di modelli produttivi positivi primo passo per l’effettivo superamento di ogni “questione meridionale”.

Direzione scolastica regionale Campania: pronto il piano assunzione precari

di Danilo D'Aponte
Schema assunzioni 2015-2016
Novità in vista per l'istruzione in Campania, la direzione regionale ha infatti messo in calendario, per un periodo che andrebbe da fine novembre ai primi quindici giorni di dicembre, l'assunzione di circa seimila precari, che vedrebbero, probabilmente già dai primi giorni dell'anno, la fine di anni travagliati con la firma di un contratto a tempo indeterminato.
Nonostante il clima polemico che circola sulla legge 107, al di la' delle circostanze che di recente avevano costretto moltissimi insegnanti a trasferirsi al Nord o al Centro per l'assunzione della cattedra, parte adesso la fase "C", che tradotto significa un investimento a larga scala, ovvero cinquantamila insegnanti assunti a tempo indeterminato.

Luisa Franzese, direttore scolastico della Regione Campania ha varato il piano, su direttive fornite dal Miur, ripartendo 6005 nuovi docenti, di cui 2689 alle superiori, 1815 alle elementari e 810 alle medie. C'è posto anche per 691 nuovi insegnanti di sostegno, destinati per di più alle scuole superiori che, storicamente, sono le più "povere" in tal senso.

Se invece vogliamo farne un discorso di "provincia" è ovviamente Napoli a beneficiare del grosso del dispiegamento di nuove "forze lavoro": 3398 docenti su 6005, distribuiti in maniera proporzionale a quanto detto sopra, tra elementari, medie, superiori e insegnanti di sostegno.

Alla base di tutto ci sono calcoli, al momento approssimativi, che sono largamente influenzati dall'offerta formativa delle singole scuole. Per esempio, c'è molta richiesta di insegnanti di matematica, materia dove deficiano molto la maggioranza degli studenti. C'è poi anche molta richiesta di insegnanti di lingue, con l'Inglese, ovviamente, a farla da padrona, e a seguire Francese e Tedesco, ma solo marginalmente (al contrario di quanto invece avviene al Nord, dove è richiestissimo, anche per motivi geografici).

Sono invece le Discipline economiche e giuridiche quelle che beneficeranno dei maggiori innesti, seguiti a ruota da Inglese ed Educazione artistica (per le scuole medie). Agli istituti scolastici non resta che attendere dal 12 al 20 novembre per vedersi comunicare i potenziamenti a loro destinati.

Questa fase "C" va ovviamente letta nell'ottica di dar seguito a quanto stabilito dalla Corte di giustizia europea che aveva condannato l'Italia per i troppi precari del settore scolastico. È ancora fresca nella nostra memoria la polemica scaturita dalle "migrazioni" in massa di docenti che, anche in virtù di un maggior punteggio nelle graduatorie, si sono visti costretti ad accettare cattedre a centinaia e centinaia di km di distanza in una sorta di "fuga di cervelli" del nuovo millennio.

VISCERE E IMPEGNO: il ricordo di Pierpaolo Pasolini

di Germana Guidotti

Il quarantennale della scomparsa di Pierpaolo Pasolini, che si commemora quest’anno, rappresenta più che altro un’occasione per celebrare la vita: la vita di un uomo controcorrente, di un vero e proprio dissidente, di una figura solitaria che si è eretta contro il proprio tempo e, dal profondo della sua esperienza singolare, ha assunto posizioni indubbiamente polemiche, quasi “eretiche”, nei riguardi della propria epoca. Di Pierpaolo si è scritto tanto, forse tutto, ma si è detto veramente troppo poco. Il suo essere Pasolini l'ha reso solo, fortemente debole. Profeta e portatore di luci, ma mai per se stesso.

Un artista la cui intera esistenza è caratterizzata da un inesauribile confronto con la realtà circostante, all’interno della quale si è messo a nudo per primo e che ha cercato di mettere a nudo, grazie alla propria “vitalità”, per la voglia di far sentire la propria presenza totalizzante nel mondo. Ha voluto essere (non lasciare) in ogni momento presenza nel mondo, intervenendo per affermare -forte e chiaro- esigenze imprescindibili di valore universale. E’ come se Pierpaolo avesse voluto costruirsi da solo il proprio monumento a se stesso. Ecco perché omaggiarlo non può assolutamente prescindere da una rappresentazione “in memoriam”, il che significa relazionarlo non soltanto con la sua attualità, il suo presente, ma anche e soprattutto con la nostra attualità, con la contemporaneità del nostro tempo storico.

In una tensione continua e crescente fra vita personale, rapporti privati, scelte culturali, orizzonte storico, contesto socio-politico, Pasolini sembra letteralmente posseduto da una smania di intervenire, parlare, esprimersi; si sente interpellato in maniera irresistibile a provocare il tessuto sociale. E vive tale condizione, tale stato di cose, in maniera viscerale, come manifestazione della sua “vitalità”, che però poi vuole trasformare in responsabilità sociale: da qui “VISCERE E IMPEGNO”. La sua è la perfetta testimonianza della fusione fra passione personale ed ideologia, fra scelte individuali e senso del dovere e dell’impegno pubblico.

Nell’immaginario collettivo, in questo mese si omaggia un mito che racchiudeva in se’ avanguardia, essenzialità, spontaneità, tendenza a mostrarsi nudo e vero, a vivere fuori dagli schemi e soprattutto fuori dalle discriminazioni, quelle stesse all’interno delle quali però è rimasto prigioniero per tutta la vita, anzi, quelle di cui poi alla fine è rimasto vittima. Perfetto esempio di libertà bloccata.

La sua analisi dell'evoluzione futura della società è chiaramente davanti ai nostri occhi, lucida, profetica, inequivocabile: ha fornito una rappresentazione esaustiva della società italiana degli anni ’50, perché è sulla sua pelle che stanno avvenendo e si stanno consumando i profondi stravolgimenti del tessuto sociale, per cui egli ne partecipa in maniera assoluta e si lascia assorbire da quegli avvenimenti. Ma disperatamente vuole intervenire, vuole gridare, vuole palesare il suo netto rifiuto, e lo fa in modo sempre provocatorio. Assumendo per esempio posizioni assolutamente controcorrente di fronte alle tendenze dominanti degli anni del Sessantotto, del movimento studentesco, della nuova sinistra, la sua attualità. Intravede fra i principali responsabili del degrado (morale, civile, politico, storico) della vita italiana dell’epoca proprio il Sessantotto col suo antiautoritarismo; l’avvento della televisione, dei mass-media, della scuola di massa, del consumismo, del capitalismo.

Il Pasolini regista cinematografico
Si scaglia apertamente contro il potere, anzi i Poteri, la classe politica dirigente, il Palazzo. Ed il terreno dove tutto ciò si fa più evidente è quello del cinema, perché chiaramente questa arte è quella che più di tutte si presta a raccontare la realtà nella sua immediatezza, maggiormente in grado di cogliere i rapporti diretti col contesto circostante e gli effetti materiali. Pasolini sceglie il cinema e la carriera di regista cinematografico proprio in quanto il cinema “fa parlare” la realtà. E dunque al cinema dona tutto il suo furor intellettuale, tant’è che per la stragrande maggioranza delle proprie pellicole, oltre a curare le varie fasi di regia, partecipa in prima persona alla stesura delle sceneggiature, alla selezione dei cast attoriali. Perché questo è il mondo che vive e sente di più. Come tutta la sua esperienza esistenziale, anche quella cinematografica non poteva che essere provocatoria, “scandalosa”, aggressiva: i suoi sono film di protesta, secondo alcuni volgari, ma solo perché egli aveva il chiaro intento di sottolineare la volgarità e la corruzione dominante.

Ha indugiato sul sesso e sulle problematiche psico-sociali, con evidente eco alla personale esperienza di omosessuale, alla luce della quale vive la relazione con la realtà sotto il segno dello scandalo, dell’impurità. Del resto, ad una grande carica aggressiva fa da contraltare una straordinaria sensibilità personale, che gli ha permesso di comprendere gli effetti della rovina in cui vede precipitare l’Italia, e la sua stessa esistenza, come una deriva inevitabile: quando viene assassinato nella notte del 2 novembre 1975 da un diciassettenne, nello spiazzo polveroso all’idroscalo di Ostia, si consuma una “tragedia annunciata”. La drammaticità della scomparsa lo rende vittima di quell’orrore che tanto aveva voluto combattere, martire di un’intera società. Quasi desiderata, attesa, sperata, la sua morte si è cristallizzata nel sentire comune come vero e proprio atto sacrificale reclamato e disperato, a conclusione della sua ossessiva provocazione contro il mondo. Da qui si è generato il mito di Pasolini.

La locandina del concerto celebrativo per Pasolini
Uno dei tributi più significativi per commemorare l’evento di quest’anno è stato senza dubbio il concerto celebrativo per Pier Paolo Pasolini del Maestro Roberto De Simone, tenutosi la sera del 2 novembre presso il teatro Mediterraneo di Napoli, che ha rappresentato l’evento di spicco della manifestazione istituzionale “Vivi nel ricordo”, dedicata alla memoria del grande scrittore, saggista, giornalista, poeta, regista bolognese. Una sorta di tributo nel tributo, perché il grande Maestro De Simone ha rievocato, in maniera suggestiva ed intensissima, l’arte di Pasolini, all’interno di un’opera ricca di contaminazioni e richiami culturali, musicali, territoriali (con la città partenopea, cui Pier Paolo era particolarmente legato). Diversi i brani, le rivisitazioni proposte, sebbene tutte avessero un solo comune denominatore: musicare, cantare, ciascuna con la propria cifra stilistica, con/di/per Pasolini.

Atmosfere cupe e severe, come nel caso del Lamento per la morte di Pasolini, si sono alternate a quelle invece molto più ritmate e colorate della originalissima Samba de roda, creata e presentata per la prima volta in tale occasione da Roberto de Simone, in cui il Maestro ha voluto celebrare la spiritualità ‘eretica’ di Pasolini commista alla religiosità tutta popolare di cui egli stesso è espressione. Un’operazione di importante contaminazione stilistica, che coniuga la dimensione mediterranea (la lingua napoletana) con la cultura e l’espressività artistica latino-americana (la danza del samba), con l’intento di sfatare tutti i luoghi comuni riguardanti la nostra città: nei versi si elenca, cioè, tutto ciò che ‘Napoli non è’.

Infine, se la forza delle idee si deve accompagnare necessariamente al consenso della moltitudine per diventare efficace, senz’altro si può affermare che le idee, le spinte, le energie pasoliniane trovano amplissimo spazio e consenso ancora adesso, a distanza di un quarantennio dal suo trapasso. A tal proposito lui stesso scriveva: “l'indipendenza e' la mia forza, la solitudine la mia debolezza”.

Oncofertilità: presto a Napoli la prima biobanca di tessuto ovarico del sud

Anche i malati di tumore potranno preservare la propria capacità riproduttiva

di Luigi Rinaldi

Dal prossimo anno, anche in Campania sarà creata una rete assistenziale per conservare la fertilità dei pazienti oncologici. Le procedure di crioconservazione sono state oggetto di un recente convegno, tenutosi all’Hotel Royal Continental di Napoli, promosso dal dott. Giuseppe De Placido, responsabile della unità operativa complessa di Ostetricia e Ginecologia e del Centro di riferimento regionale Sterilità ed Infertilità di coppia dell’azienda ospedaliera universitaria Federico II e dal dott. Cristofaro De Stefano, direttore del centro sterilità dell’Azienda ospedaliera Moscati di Avellino.

Al centro del dibattito, le tecniche di conservazione del tessuto ovarico, in azoto liquido, prelevato in donne in età fertile, ammalate di tumore, che intendano preservare la propria capacità riproduttiva ed evitare che le terapie anticancro, in particolar modo chemioterapia e radioterapia, possano condurle alla sterilità.
Crioconservazione
Il tessuto ovarico destinato alla crioconservazione viene prelevato nel corso di un intervento laparoscopico, a meno che la paziente non debba essere sottoposta a laparotomia per altra indicazione (nel qual caso, i due interventi possono essere contemporanei) e può essere eseguito anche in pazienti in età pediatrica. La laparoscopia operativa, infatti, può essere effettuata in tempi molto rapidi (pochi giorni), configurandosi come prestazione urgente. Il tessuto ovarico prelevato è suddiviso in numerosi, piccoli frammenti che vengono immediatamente congelati, e crioconservati fino al momento dell'impiego. La crioconservazione del tessuto ovarico consente di preservare la funzione ovarica nella sua totalità, e, a differenza di quella degli ovociti, prevede tempi più rapidi, senza bisogno di stimolazione ormonale e con minori rischi di danni da congelamento.

Le nuove tecniche, in ogni caso, non sostituiranno anzi andranno ad affiancare il congelamento e la conservazione di gameti maschili e femminili (spermatozoi e ovocellule) ed il trattamento farmacologico gonadoprotettivo che per anni hanno rappresentato le uniche armi per salvaguardare la fertilità delle persone giovani malate di cancro.

La sperimentazione delle nuove tecniche è partita nel 2011, in collaborazione con il centro pilota di Copenaghen, ove sono state conseguite 20 delle 45 gravidanze sinora ottenute al mondo con questa nuova procedura. Il progetto coinvolgerà almeno dodici strutture oncologiche ospedaliere periferiche ed anche la Seconda Università.
L’affannosa lotta al cancro registra così un ulteriore positivo passo in avanti, con l’intento di migliorare sempre di più la qualità di vita delle persone affette da malattie neoplastiche. La crioconservazione rappresenta oggi un importante sostegno per tante persone, soprattutto nella fase, purtroppo delicata e sofferta, della diagnosi della patologia tumorale, poiché consente loro di affrontare la malattia senza rinunciare alla speranza di conservare inalterata la propria fertilità.

Come in tutti i progetti, non mancano criticità e punti oscuri. Le maggiori perplessità riguardano il rischio di trapiantare alla persona guarita anche cellule neoplastiche eventualmente contenute nei frammenti ovarici prelevati. Vanno poi considerati i costi dei trattamenti ed il reperimento di fondi pubblici per la copertura delle spese delle biobanche e la gestione delle cure preventive basate su farmaci. Quest’ultimi, al pari della crioconservazione, rientrano nell’alveo delle 208 procedure ad alto rischio di inappropriatezza, di cui al decreto attuativo della legge sul riordino degli Enti locali.

Non appare nemmeno chiaro quale sarà il codice da attribuire al paziente che, prima di sottoporsi alle cure antitumorali, non è ancora sterile, ma lo diventerà in seguito. Una serie di dubbi che solo il Ministero della salute e la Regione Campania potranno chiarire. Ora ciò che maggiormente conta è predisporre un efficace piano di informazione, in modo tale che i giovani pazienti oncologici sappiano che anche dopo i trattamenti di chemio o radio avranno comunque la possibilità di mettere al mondo un bambino, senza dover tristemente e forzatamente rinunciare alle proprie aspirazioni di vita.

La storia di Francesca: quando la tutela dei più deboli soccombe all’esigenza mediatica

di Gian Marco Sbordone

Sono stati giorni turbolenti per Trentola Ducenta, (provincia di Caserta) quelli che hanno visto la Scuola Media Statale del paese finire sotto i riflettori della cronaca e dei media.

Ad inizio anno scolastico, una bimba di undici anni, disabile e malata di Aids, non viene accettata dalla scuola in cui i genitori affidatari l’avevano iscritta. Eppure, a detta dei genitori, a luglio scorso il Preside dell’Istituto aveva manifestato senza incertezze la sua disponibilità ad accogliere a scuola Francesca (nome di fantasia). La decisione di escluderla sarebbe sopraggiunta -da parte del dirigente scolastico- in un secondo momento, dopo essere venuto a conoscenza della patologia di Francesca.

I genitori, addolorati e scossi, decidono di rivolgersi al Ministro della Pubblica Istruzione, Stefania Giannini. «Non possiamo accettare una vicenda vissuta come violenza istituzionale, perché Francesca ha diritto a crescere in classe come tutti». Queste le parole rivolte al Ministro, il quale riesce a sbloccare la problematica situazione. Francesca può così tornare a scuola.

Tutto ciò desta comprensibilmente preoccupazioni e non poche perplessità da parte dei genitori degli altri bambini. Il primo giorno di scuola un gruppo di madri si riunisce in una sala della scuola per ascoltare il parere del pediatra della bambina, il quale rassicura le presenti circa la possibilità di un contagio. Viene stabilito, infine, di creare un comitato per meglio assistere e seguire la bambina durante le ore scolastiche.

Si tratta evidentemente di una situazione molto delicata, nella quale sono coinvolti due tipi di interessi. Due esigenze entrambe fondamentali e meritevoli di massima attenzione. Da un lato vi è la situazione di Francesca, una bambina malata, in difficoltà, che tanto ha sofferto e che tanto avrà-per forza di cose-ancora da soffrire. Colpisce e commuove il provare, anche solo per pochi istanti, a immedesimarsi nei suoi panni, cercando di immaginare cosa possa provare una bambina indifesa nel vedersi chiudere porte in faccia, nel sentirsi rifiutata dal mondo, gli sguardi diffidenti del prossimo, pesanti come macigni. D’altro canto, non si può e non si deve assolutamente sottovalutare l’apprensione di genitori che vengono a sapere che il proprio figlio dovrà stare ogni giorno a contatto con una persona malata di Aids. E’ umano, tutti di fronte ad una cosa del genere ci sentiremmo turbati e inquieti.  
Una volta conclusosi il passaggio fondamentale mediante il quale un medico esperto assicura che non vi sia possibilità alcuna di contagio, lo Stato deve intervenire per rimuovere tutti gli ostacoli che impedirebbero a Francesca di godere del proprio diritto allo studio, di crescere culturalmente e socialmente relazionandosi con i suoi coetanei. Fondamentale sarà seguire la bambina attentamente anche quando il polverone mediatico sarà scomparso. Bisognerà assicurarsi che Francesca riesca ad ambientarsi nel contesto scolastico, senza il rischio di essere bistrattata o emarginata.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: lo Stato e la scuola sono in grado di garantire tutto questo? No, a giudicare dalle condizioni in cui versano troppe scuole italiane. Sporche, fatiscenti, spesso non a norma sotto il profilo della sicurezza. Il Ministro è intervenuto dando modo a Francesca di frequentare le lezioni, ma si è anche preoccupato di mettere l’edificio scolastico nelle condizioni-dal punto di vista del personale e delle strutture-di affrontare una simile evenienza? Perché altrimenti stiamo parlando del nulla, come al solito.

Un’altra osservazione può essere fatta a proposito dell’aspetto mediatico della vicenda. Giusto che in generale si parli di certi argomenti, in quanto è sempre opportuno sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo temi così spinosi e delicati, ma un po’ meno opportuno ci sembra il sollevare un polverone su una specifica vicenda, come accaduto in questo caso. Ciò di sicuro non giova né alla sfortunata Francesca -già chiaramente provata dalla sua condizione e da un mondo non ancora pronto a prendersi cura di lei- né agli altri ragazzi della sua scuola trovatisi, loro malgrado, nell’occhio del ciclone di una contingenza palesemente troppo più grande di loro.

E’ inoltre poco leale, da parte di una certa stampa, gettare la croce addosso ad un Preside-troppo frettolosamente accusato di discriminare una bambina malata-senza prima analizzare attentamente il problema.

Tuttavia questa vicenda ci mette di fronte-per l’ennesima volta-a ciò che è paradosso e patologia di questo Paese: un problema, per essere preso in considerazione dagli organi competenti, necessita di clamore mediatico. Quando quest’ultimo manca ci si ritrova, troppo spesso, nella spiacevole e frustrante condizione di essere ignorati.

In mostra al Pan: 20 anni con Pino (addòve!)

di Antonio Ianuale
Al PAN (Palazzo delle Arti Napoli) la mostra su Pino Daniele
Una mostra per ricordare e celebrare Pino Daniele: 20 anni con Pino (addove!). Fino al 10 gennaio 2016 al Pan sarà possibile ricordare il popolare cantante partenopeo attraverso fotografie e video di uno dei suoi amici più cari, Alessandro D’Urso. La mostra è curata da Roberta de Fabritiis, con il patrocinio del Comune di Napoli.

Addove è una parola che Daniele era solito usare, così D’Urso ha deciso di aggiungerla al titolo. D’Urso oltre che fotografo è stato grande amico di Daniele, con cui ha collaborato per dieci anni: dal 1990 al 2009 ha collezionato foto dell’artista pubblico, ma anche dell’uomo colto nel suo privato, oltre ad aver girato video e creato ben otto copertine. Alla presentazione della mostra lo stesso D’Urso ha presentato il suo lavoro: “si tratta di una mostra frutto di 20 anni di amicizia e collaborazione con Pino e che avrà il compito di mostrare questo straordinario artista nel pubblico e nel privato. Da napoletano ho proposto questa mostra al Sindaco de Magistris, che ha subito accettato”.

La mostra è formata da centottanta fotografie, per lo più inedite che seguono ed illustrano il percorso professionale di Daniele, ma anche il suo lato più privato. Dalle foto dei suoi primi concerti, alle foto che ritraggono Pino al mare in compagnia di amici, passando per le foto delle nozze. Le fotografie saranno accompagnate da testi sull’artista scritti dai suoi collaboratori più intimi. Oltre al materiale fotografico, D’Urso ha anche messo a disposizione quattro ore di video realizzate dallo stesso fotografo che il pubblico, tramite postazioni apposite, potrà visionare.
Il manifesto della mostra
Sono in programma anche visite guidate con lo stesso artista che illustrerà il proprio lavoro al pubblico, ed incontri con artisti che hanno condiviso parte della loro vita con Daniele. Il sindaco Luigi De Magistris si è detto certo del successo della rassegna: “Ogni iniziativa di qualità su Pino che ci chiede ospitalità è per noi un dovere e un onore visto il legame indissolubile tra Pino e Napoli e con ognuno di noi. Sono sicuro –ha concluso– che in questi tre mesi saranno moltissimi i napoletani che verranno ad abbracciare Pino”.

In occasione della presentazione della mostra, si è parlato anche dell’antologia di racconti dedicati a Pino Daniele :“Ho sete ancora. Sedici scrittori per Pino Daniele” volume edito dalla libreria napoletana Iocisto. Non è certo la prima testimonianza di affetto verso il cantautore, la cui scomparsa ha colpito la penisola intera, infatti, pochi mesi fa è stata inaugurata via Pino Daniele, nelle immediate vicinanze della sua casa natale e dei luoghi che hanno ispirato i primi successi musicali. In occasione della cerimonia di inaugurazione lo stesso sindaco ha puntualizzato come il prossimo capodanno sarà dedicato a Pino Daniele. La mostra allestita al Pan terminerà il 10 gennaio del prossimo anno, quindi c’è tutto il tempo per approfittarne, sia per i numerosi affezionatissimi del cantante sia per coloro che si sono avvicinati a Daniele solo dopo il tragico evento che lo ha colpito.

Alluvione nel Sannio: la voglia di ripartire

di Antonio Cimminiello

Solo poche settimane fa una straordinaria ondata di maltempo ha messo in ginocchio gran parte della Campania. La regione sannitica è stata quella che ha dovuto fare i conti con le conseguenze più gravi: case inondate d’acqua, strade diventate torrenti di fango, e fiumi tracimati. Dovendosi anche registrare la morte di alcune persone. Questi ed altri effetti sono dovuti all’incidenza di molteplici fattori.

Effetti dell'alluvione
A prescindere dalla straordinarietà dell’evento naturalistico- 140 mm di pioggia circa caduti in poche ore- c’è però l’amara sensazione che sia mancata negli anni un’esatta valutazione del rischio idrogeologico, il quale, del resto, attanaglia larga parte del Belpaese: l’alluvione ha comportato lo straripamento dei fiumi Calore e Tammaro, i cui argini non avevano mai ricevuto un’adeguata manutenzione territoriale- con la predisposizione di canali di sfogo e strutture similari- nonché un’adeguata attività di ripulitura. Non a caso, la Procura della Repubblica di Benevento ha ipotizzato il reato di “inondazione colposa”.

A ciò si aggiunge il black-out che ha praticamente fatto saltare la linea fognaria beneventana, ben cinque punti della rete stradale provinciale e l’intera zona industriale in località Pantano: segno di una infelice pianificazione urbanistica e tenuta delle infrastrutture, che, di certo, non può trovare scusante nella violenza della natura.

Infine, si registra l’assenza di un’interazione istituzionale che quanto meno avrebbe potuto contenere l’impatto del disastro: tristemente nota è la polemica mediatica che ha visto protagonisti il sindaco di Benevento Fausto Pepe e ed il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio. Per il primo cittadino, infatti, la comunicazione della Protezione Civile non avrebbe evidenziato il rischio, visto che “…il bollettino con allerta a livello arancione, tradotto, significa piogge moderate e non certo alluvione…” mentre per il capo della Protezione Civile “quel territorio era in allerta” ma “bisognerebbe capire cosa prevedeva per quel livello di allerta il piano comunale”.

Nonostante tutto la voglia di ripartire è stata più forte dello scoramento, e senza dubbio meritano un plauso le iniziative solidali che, immediatamente, sono state messe in campo per salvare soprattutto le realtà economiche e produttive fiore all’occhiello del Sannio: dall’hashtag #SaveRummo a salvaguardia dell’omonimo pastificio operante con successo fin dal 1846, fino a “Prendici così”, l’invito ad acquistare bottiglie di vino di Solopaca salvate dal fango.

Nel frattempo, a seguito dell’approvazione dello stato d’emergenza, il Consiglio dei ministri ha destinato 38 milioni agli interventi relativi ai danni, dopo lo stanziamento di un milione di euro deciso a seguito della riunione operativa tenutasi in prefettura a Benevento con i sindaci del beneventano ed i vertici regionali.

Tutto ciò può solo dare impulso ad un’attività di ricostruzione e riordino che si prospetterà imponente. Ma, a fronte di centinaia di milioni di euro di danni, 4000 aziende ferme e una produzione agricola bloccata, secondo le stime, per almeno cinque anni, si comprende come prevenzione e coordinamento possano fare molto più di iniziative emergenziali.

A Napoli è già Natale: tutte le iniziative in programma in città

di Teresa Uomo

S. Gregorio Armeno
C’è aria di Natale in città. E non solo. Da poco inaugurata la fiera dei pastori. Contemporaneamente l’accensione delle luminarie lungo i decumani. Ed è già caos a San Gregorio Armeno: un vero e proprio assalto da parte di turisti –oltre che ovviamente di napoletani– nel cuore del centro storico di Napoli.
Le feste natalizie si avvicinano sempre di più e le persone pensano a come trascorrere le proprie vacanze di Natale. Quest’anno il Comune di Napoli ha pensato di organizzare un vero e proprio Villaggio di Natale, con un’ampia struttura che sarà posta proprio all’uscita della metropolitana di Piazza Garibaldi. Al suo interno saranno allestite diverse luminarie e stand, oltre duecento espositori, spazi dedicati alla cucina e all’enogastronomia e una grande pista di pattinaggio sul ghiaccio. Non mancheranno palchi per spettacoli, musica, mostre, esibizioni sportive e il classico mercatino di Natale. Un grande evento, dunque, che caratterizzerà la città di Napoli a partire dai primi di dicembre. Vuole dunque essere questa una risposta indiretta alla polemica innescata da Massimo Giletti, su “Napoli città indecorosa” – frase pronunciata durante la trasmissione “L’arena”, in onda su Rai Uno domenica 1° novembre.
Villaggio di Natale a Piazza Garibaldi con pista di pattinaggio
Proprio l’assessore Enrico Panini ha detto che con questo progetto si vuol creare un percorso di Natale a Napoli che parte da Piazza Garibaldi e che arrivi a San Gregorio Armeno, passando per i diversi mercatini del territorio cittadino. Inoltre una grande presenza commerciale in piazza Garibaldi potrà vedere coinvolti diversi albergatori e commercianti, oltre che essere un bel biglietto da visita per i turisti.
Inoltre, se ci spostiamo dal centro della città, sarà possibile visitare il Santa Claus Village, il villaggio di Babbo Natale, allestito alla Mostra d’Oltremare a Fuorigrotta. I visitatori potranno vivere la magia del Natale dal 28 novembre al 20 dicembre 2015: emozioni imperdibili ed indimenticabili.

La locandina del Santa Claus village
Nel villaggio è possibile trovare diverse aree: l’Ufficio Postale, dove i bambini potranno imbucare la propria letterina e gli elfi postini la faranno arrivare a Babbo Natale; l’Ufficio Passaporti, il luogo in cui ottenere il passaporto per visitare il villaggio; la PharmaClaus, la farmacia del Santa Claus Village in cui “acquistare” erbe, piante medicinali, aromatiche, spezie e pozioni usate per curare gli Elfi. La Camera di Santa Claus, la stanza di Babbo Natale, con tanti giocattoli e giochi per bambini. La Cucina di Mrs Claus inebriata dall’odore di dolci, dei biscotti e delle leccornie natalizie. E ancora la Stanza dei racconti dove c’è chi narra, inventa o semplicemente ascolta favole. Infine, un’Area disco per Baby Dance di Natale, dedicata ai più piccoli, i quali si divertiranno a ballare per festeggiare il Natale.
All’interno del villaggio non mancheranno veri e propri mercatini natalizi, caratterizzati da casette in legno in cui trovare presepi, quadri, candele, giocattoli e tutto l’occorrente per rendere magica ed indimenticabile l’atmosfera del Natale.


Easyjet: a Napoli 4 airbus e 7 nuove rotte

di Danilo D'Aponte

A partire dalla fine di marzo 2016 Napoli vedrà rimpolpare il suo parco aeromobili Airbus A319 per quanto concerne la compagnia olandese. Saranno 7 le nuove destinazioni di cui beneficerà l'aeroporto napoletano, con mete italiane e europee.

Ciò avviene dopo circa un anno dalla decisione di rendere la Regione Campania fondamentale per la crescita dell'azienda sul territorio. La cosa si rifletterà nell'assunzione di circa 100 persone tra piloti e assistenti di volo, dopo un lungo processo di selezione. Sono circa 13 i milioni di viaggiatori quelli che hanno scelto questa compagnia dal suo insediamento nel 2000, e quindi la crescita continua contando, da aprile 2016, di trasportare circa 2,2 milioni di passeggeri, che equivalgono indirettamente a 220 posti di lavoro, figli della maggiore spesa di ogni turista, come già registrato in operazioni simili nel recente passato.
Un velivolo della compagnia EasyJet
Amsterdam, Barcellona, Minorca, Cagliari, Praga e Vienna, oltre a Lione, raggiungibile già dal 16 dicembre 2015, sono le nuove tappe che si aggiungono alle 25 attuali e saliranno a 7 i paesi europei raggiunti da Napoli. Aumenteranno del 20% i voli settimanali, e ogni giorno ci saranno circa 25 voli per lo scalo napoletano, con alcune tratte, come quella di Parigi, che diverranno a cadenza giornaliera. Cosa simile sarà fatta per la stagione estiva 2016, dove Corfù e Mikonos e un collegamento settimanale aggiuntivo verso Ibiza e Spalato rafforzeranno l'offerta del periodo.

«La crescita del nostro investimento con più destinazioni, più aeroplani e più equipaggi basati a Napoli, è un modo concreto per celebrare il successo delle nuove operazioni presso l’aeroporto Capodichino [...] Siamo un partner del territorio e con questo investimento, ancora una volta superiore ai livelli medi dell’industria, contribuiremo anche l’anno prossimo a imprimere un impulso allo sviluppo del turismo, dell’occupazione e dei flussi di interscambio con l’estero [...] senza contare i benefici sull’indotto in termini di crescita di occupazione», così Frances Ouseley, direttore EasyJet per l'Italia.

Monia Aliberti, responsabile area comunicazione, promozione e marketing del Comune di Napoli, ha aggiunto: «È per noi una grande soddisfazione constatare che realtà importanti come quella di EasyJet continuino a investire nel nostro territorio». Conclude Armando Brunini, amministratore delegato di Gesac Spa, Società di gestione dell'Aeroporto Internazionale di Napoli: «L'investimento della compagnia non può che riempirci di soddisfazione perché conferma il potenziale del nostro territorio, in quanto Napoli sta registrando risultati eccellenti proprio sotto il profilo del traffico internazionale, cresciuto negli ultimi 2 anni del 40%».

Ovviamente sono previste anche operazioni di ammodernamento, come l'introduzione di varchi di sicurezza dedicati, l'istituzione di una carta easyJet Plus o di tariffe flessibili Flexi.

Come si evince quindi dalle principali parti in causa, l'aeroporto di Napoli, i viaggiatori, il turismo come settore ed i suoi operatori, potranno beneficiare di un maggiore influsso di capitali che, nel breve termine accresceranno l'economia cittadina e provinciale (se si pensa ai numeri che girano intorno agli Scavi di Pompei e Ercolano, di recenti interessate a nuovi vertici gestionali), e magari sul lungo periodo porteranno Napoli a competere con le metropoli del Settentrione prima, per giro d'affari, e con le capitali europee, per visite annue poi.

La marcia in più dei napoletani

di Marcello de Angelis

Spesso capita di sentire in giro che i napoletani hanno qualcosa che li distingue dagli abitanti delle altre città, qualcosa che li rende, come dire, unici: una cosiddetta marcia in più! Ma cosa vuol dire esattamente avere una marcia in più? Qual è il segreto che fa di noi un popolo speciale? Ovviamente quel "più" indica qualcosa di positivo, un valore aggiunto di cui siamo dotati a differenza di altri.

Si può parlare di intelligenza? Di sicuro! Infatti molte delle menti più illuminate d'Italia hanno visto i propri natali proprio qui, però è una peculiarità presente anche in altre città e non è sicuramente questa che ci rende speciali. Potremmo allora riferirci alla simpatia! Diceva Eduardo che i napoletani "fanno teatro" dappertutto tranne che nel luogo deputato a questo. Ed infatti è sempre divertente ed interessante chiacchierare con un partenopeo che coi suoi gesti e modi di dire trascina, affascina e affabula: diciamolo, siamo ottimi imbonitori, e non per niente Napoli è universalmente riconosciuta come la culla dell'avvocatura, professione che delle chiacchiere e dell'intelligenza è figlia primogenita. Ma non basta mica questo. 

Il tipico traffico napoletano
Forse potremmo aggiungere la scaltrezza? Il sapercela cavare in ogni occasione? Ci stiamo avvicinando, ma ancora manca qualcosa. Mettiamoci una spolverata di napoletanissima "cazzimma". Certo, quell'innata capacità tutta nostra di agire con perfidia, in modo palese, aggiungendovi anche il gusto beffardo di farlo. Una caratteristica, anzi una dote, che però non è sufficiente. Quella famosa marcia in più deriva dalla fusione delle qualità appena accennate e ha un nome ben preciso: rassegnazione. Una rassegnazione nata da un ormai sedimentato senso di sopportazione e di rinuncia a reagire di fronte a tutto ciò che da troppo tempo non funziona, una tolleranza portata all’eccesso che col tempo si è evoluta in una apatica, tacita accettazione quotidiana del fatto che qui da noi nulla potrà mai cambiare. Ma dove sono quei napoletani che nel 1647 con a capo Masaniello si rivoltarono contro il regime spagnolo? Dove è finito quello spirito combattivo del popolo partenopeo che in soli quattro giorni si liberò dall’oppressione nazista? Indubbiamente c’è ancora, ma si è trincerato dietro quelle frasi che ormai sentiamo come un mantra tutti i giorni, da quei “vott’ ‘a campà”, “fatt’ ‘e fatt’ tuoi”, “ma che ce ne fott’”, fino a “ma pienz ‘a salut’” divenuti elemento fondamentale del vivere quotidiano.
Il treno della Cumana in fiamme
E’ una rassegnazione che offende e che ci assale ogni volta che scendiamo per strada e rimaniamo regolarmente imbottigliati in un traffico globale, perenne, caotico che stoicamente affrontiamo senza batter ciglio. Ogni volta che mettiamo la freccia per superare le auto parcheggiate in seconda, terza fila e invece di segnalarle a chi di dovere, ci limitiamo a borbottare contro la polizia municipale puntualmente assente nei punti nevralgici; ogni volta che la città impazzisce per un nuovo, folle, surreale dispositivo per la circolazione stradale, disegnato nella notte precedente da un signore che evidentemente vivendo in un piccolo paesino di montagna nulla conosce delle ciclopiche ondate di auto che investono ogni giorno le strade di Napoli. Ogni volta che ci si imbatte nelle manifestazioni di protesta: scioperare è senza alcun dubbio un diritto riconosciuto e giusto ma permettere a tre, quattro cortei di sfilare contemporaneamente è un chiaro sintomo della profonda incompetenza che alberga nella mente di chi permette tutto ciò, di chi ignora che le strade fondamentali della città sono poche, strette e malconce, bloccate le quali si manda in tilt tutto il sistema cittadino. Ogni volta che dobbiamo muoverci con i mezzi pubblici pregando di non finire in un bus pieno di borseggiatori o in un taxi il cui conducente applica le tariffe a suo piacimento o in un treno della circumvesuviana che salta senza alcun avviso una corsa o la ritarda senza motivo o in un treno della cumana che mentre attraversa la zona di Fuorigrotta prende fuoco per l’indicibile vetustà e abbandono del convoglio. Ogni volta che elogiamo la tanto attesa metropolitana di Piazza Garibaldi che dopo anni di altalenante lavoro, è stata finalmente resa operativa sì, ma con un tetto a “cielo aperto” che oltre ad essere un pugno nell’occhio che ha deturpato il panorama della zona, è ineluttabile preda della pioggia, delle grandinate e di quelli che, un tempo definiti bonariamente “scugnizzi” oggi divenuti “branco” si divertono, impuniti, a buttare dal “cielo aperto” bottiglie vuote, se tutto va bene, sul sottostante passeggio.
La stazione della metropolitana di Piazza Garibaldi
E noi? Pregni della nostra indifferenza per tutto ciò che non funziona, del nostro carattere ormai votato all’adattamento, ci crogioliamo in una continua ricerca di metodi per sopperire alle tante carenze di Napoli, trovando sempre il sistema non di risolvere, ma di aggirare i problemi usando metodi ortodossi o meno, ma con intelligenza, simpatia, scaltrezza e “cazzimma”! Ecco la famosa marcia in più che siamo così orgogliosi di avere e che tanto ci fa sembrare dei “dritti” al di fuori della nostra città ma che in realtà, unita agli inesorabili colpi della malavita e ad un abbandono da parte delle istituzioni sempre più palpabile, ci sta confinando in un angolo buio lontano chilometri dal resto della nazione.

Ma quanto ne dovremmo fare a meno di questa marcia in più! Saremmo un po’ meno “speciali”, ma un po’ più “uguali” agli altri. E quanto sarebbe fondamentale il non rassegnarsi alla rassegnazione da parte delle nuove generazioni: sarebbe l’anticamera della fine. Una fine che è sinonimo di abbandono della propria terra, di “emigrazione”, per dirla alla Troisi, in posti dove la gente sarà meno intelligente, meno scaltra, meno furba, ma più reattiva e viva, con ancora nelle vene la voglia di combattere, di cambiare e di ribellarsi a quello che ormai qui da noi non è più un vivere, ma un sopravvivere quotidiano.

Conoscere Napoli attraverso i Narratori dell’Arte tra passeggiate, eventi e visite guidate

di Germana Guidotti


Il logo dell'associazione
La nostra città per vocazione ha sempre avuto una vita culturale particolarmente attiva, ricca, intensa, brulicante di fermenti ed energie, dettate principalmente dalla voglia, ogni volta sempre più forte, di rinnovarsi, re-inventarsi, ma soprattutto di ri-scoprirsi. A tale scopo opera una realtà associazionistica sul nostro territorio, che propone programmazioni interessanti e calendari fitti di eventi: MANI E VULCANI. Il nome sottolinea la commistione strettissima fra elemento artificiale (le mani dell’uomo) con l’elemento naturale (i vulcani, non soltanto il Vesuvio, di cui è costellato paesaggisticamente l’intero territorio della nostra regione), perfettamente e sinergicamente fusi. Ma anche la creatività, l’estrosità, l’operosità che da sempre contraddistinguono -come cifre caratteristiche dal punto di vista culturale- la gente di Napoli, che a loro volta generano “esplosioni” di idee.

Nata nel 2005 e sita nel cuore di Napoli, in Via Port’Alba, MANI E VULCANI opera nel settore della promozione della cultura e dell'arte, attraverso la progettazione, lo sviluppo, l’organizzazione di attività ed iniziative volte ad una migliore fruizione del patrimonio culturale nel settore del turismo, della cultura, della didattica e degli eventi. L’associazione, però, ha ideato un nuovo modo emozionale ed esperienziale di far rivivere ai turisti e ai visitatori l’arte e il territorio: la tecnica del racconto. Conosciuti ed imitati fin dal 2006, i Narratori dell'Arte di MANI E VULCANI, attraverso una particolare cura per lo studio delle fonti, hanno saputo rivisitare, reinterpretare luoghi noti e meno noti, da portare a conoscenza del pubblico.

Questa particolare attenzione per il racconto narrato ha condotto alla creazione della Compagnia dei Narratori dell’Arte, all’interno della quale non solo studiosi, ma anche scrittori, speaker, attori, musicisti, mimi, cantanti e ballerini contribuiscono, con le proprie proposte artistiche e declinate in multiformi performances, a far rivivere, quasi a far “parlare”, appunto, quello che è lo straordinario patrimonio di tradizioni che ha reso la nostra città famosa nel mondo. Si tratta di percorsi ed eventi che riescono a coinvolgere, ad emozionare, a trascinare quanti vivono queste esperienze in maniera totalizzante, generando un vero e proprio clima ed atmosfere davvero suggestive.

La convinzione di fondo che anima ogni iniziativa messa in campo dall’Associazione è che un luogo può essere visto o vissuto. Ed è proprio da tale consapevolezza che discende la differenza tra turista e viaggiatore: il primo si perde nell’ansia di accumulare fragili ricordi da portare con sé al termine del percorso, il secondo colleziona intensi momenti che ha assimilato ed interiorizzato profondamente. Chiunque compia un viaggio si rende protagonista di un’esperienza completa, unica ed irripetibile. Entra in sintonia con un luogo, ascoltandone la storia, immergendosi completamente nella sua cultura, immedesimandosi nei personaggi che appartengono a quella storia e a quel luogo. I Narratori dell’arte, come moderni menestrelli, accompagnano alla scoperta delle meraviglie partenopee, arricchendole con aneddoti tratti da fonti poco conosciute, percorrendo sentieri poco battuti, coinvolgendo i viaggiatori in un racconto appassionato che, senza dubbio, regala nuove sensazioni. 
Ciascun luogo della nostra città è oltretutto un simbolo, un richiamo, una eco di qualcos’altro, con una storia da imparare a scoprire e conoscere, e al termine di quel “viaggio” niente sarà uguale a prima: ci si sentirà diversi rispetto al momento iniziale della partenza.

Turismo e cultura per bambini
In continua formazione, questa importante realtà cittadina è cresciuta, evolvendosi mediante la sperimentazione e l’arricchimento dovuto agli innumerevoli ed insostituibili contributi ed interventi delle proprie risorse umane, che provvedono fra l’altro anche a variare e diversificare la ricca offerta turistica-culturale. A tal proposito, è nato MANI E VULCANI KIDS: il segmento dell’Associazione incentrato su visite guidate, eventi a tema, percorsi narrati e recitati, dedicati ai più piccoli, il cui slogan è: Eruditi e Divertiti. Dopo il grande successo della manifestazione svoltasi in occasione di Halloween, intitolata “Le Streghe del Castello”, questi gli itinerari proposti per gli appuntamenti prossimi e futuri: 28/29 novembre 2015 “…da Parthenope a Milena, la caccia al tesoro delle Sirene”; 12/13 dicembre 2015 “La magia del presepe… visita guidata ai presepi della Certosa”; 2/3/6 gennaio 2016 “La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte”.




Mani e Vulcani è inoltre un tour operator che cura l’incoming a Napoli ed in tutta la regione Campania, impegnato a proporre un’offerta nuova e di qualità a chi chiede di vivere appieno il proprio viaggio. L’agenzia propone una vasta scelta di pacchetti turistici, soggiorni a tema, visite guidate, percorsi naturalistici ed enogastronomici, cene spettacolo e laboratori didattici. A tale scopo sono stati pensati dei percorsi didattizzati per le scuole di ogni ordine e grado: MANI E VULCANI, avvalendosi di narratori e narratrici specializzati e professionali, in grado di raccontare in maniera semplice, ma mai banale, le ricchezze della nostra terra, riesce dunque ad arrivare a coinvolgere studenti di tutte le età. Questi progetti per la scuola, da affiancare all’insegnamento istituzionale che si svolge nelle aule coi docenti, hanno ovviamente attinenza col settore dei Beni Culturali, settore di per sé vastissimo in quanto spazia dai monumenti ai siti archeologici all’ambiente naturale che ci circonda; dalle aree urbane alle tradizioni popolari. In ogni caso tutti i progetti prevedono sempre e comunque un imprescindibile contatto col territorio; sono strutturati in differenti moduli parametrati sul target di riferimento (Scuola Primaria, Scuola Secondaria di primo grado, Scuola Secondaria di secondo grado) e possiedono un approccio didattico improntato di volta in volta su metodologie e tecniche comunicative differenziate, sebbene la costante resti quella del racconto narrato.

Infine, l’Associazione si rivolge ovviamente anche agli adulti, i quali vengono invitati a prendere parte ogni week end ad eventi, incontri, ritrovi, visite guidate, serate con spettacoli, passeggiate napoletane, che si prefiggono di andare alla scoperta di una Napoli insolita, mai vista, raccontata alla luce di misteri, leggende, aneddoti che contribuiscono a rendere ancora più ricco il patrimonio artistico-culturale della nostra città.

Rosi e il suo cinema di impegno civile

di Antonio Ianuale

Un cinema inteso come grande esercizio di verità, che indaga il potere in tutti i suoi aspetti e che racconta qualcosa che appartiene a tutti noi. Questo il cinema di Francesco Rosi, nato a Napoli nel 1922 e morto all’inizio di quest’anno a Roma. Uno dei più lucidi registi della seconda metà del Novecento, che ha fatto dell’impegno civile la sua bandiera conducendo vere e proprie inchieste politico-sociali.

Gli inizi lo vedono affiancare registi del calibro di Visconti, Antonioni e Monicelli prima di intraprendere un percorso autonomo con la sua prima pellicola: La Sfida. Siamo nel 1958 e Rosi traccia un ritratto della Napoli dei quartieri popolari nel dopoguerra. Il protagonista, un contrabbandiere di sigarette, è al centro di un intreccio tra capitalismo e criminalità, una ragnatela dalla quale non uscirà vivo.
La locandina del film
Stesse tematiche al centro anche di I Magliari, in cui Rosi analizza anche la piaga dell’emigrazione. Nel cast attori come Alberto Sordi e Renato Salvatori. Rosi si concentra sempre più sulle dinamiche sociale dell’Italia del dopoguerra affrontandone gli aspetti più oscuri: nella pellicola Salvatore Giuliano ripercorre la vita del boss Salvatore Giuliano attraverso dei flash-back, ottenendo il suo primo riconoscimento: l’Orso d’argento al Festival di Berlino.

Forse il film più famoso di Rosi è Le mani sulla città, pellicola del 1963 ambientata nella sua Napoli, dove vi denuncia con forza le commistioni tra malavita e Stato e la grande speculazione edilizia nel periodo del boom economico. Il film sarà insignito del Leone d’Oro alla Mostra del cinema di Venezia.

Nello stesso anno Rosi porta a teatro il testo In Memoria di una signora amica, di Patroni Griffi, conosciuto durante la collaborazione con Radio Napoli. A questo punto Rosi si concede una pausa dal suo filone di inchiesta girando un film favolistico C'era una volta..., con Sophia Loren e Omar Sharif.
Gian Maria Volontè (Il caso Mattei)
Con il Caso Mattei, Rosi riprende il cinema d’inchiesta, con un ritratto del compianto presidente dell’Eni, morto in circostanze ancora oggi misteriose. Rosi analizza le diverse ipotesi sulla morte di Mattei senza pretendere di indicarne una con esattezza. Altro ritratto, ma stavolta del gangster americano in Lucky Luciano, il padre del moderno crimine organizzato. Il successo di queste due pellicole si devono anche alla grande interpretazione dell’attore Gian Maria Volontè, che aveva già lavorato con Rosi in Uomini Contro ispirato al romanzo di Emilio Lussu, Un anno sull'Altipiano, sulla follia della guerra.

Rosi si dimostrerà molto abile nel portare sullo schermo grandi successi narrativi, come nel caso di Cadaveri Eccellenti, ispirato al Contesto di Leonardo Sciascia, Cristo si è fermato a Eboli, tratto dall’omonimo testo di Carlo Levi, ed infine Cronaca di una morte annunciata, che porta sullo schermo uno dei più grandi successi dello scrittore messicano Gabriel Garcia Marquez. In mezzo a queste pellicole, Rosi affronta in Tre Fratelli, una tematica più intimistica, nel rapporto tra tre fratelli molto diversi tra loro: un giudice, un operaio e un maestro che si ritrovano nella vecchia casa del padre, sullo sfondo dell’Italia negli anni del terrorismo.
Francesco Rosi
Le ultime performance di Rosi si concentrano sul meridione, come gran parte del suo cinema, con Dimenticare Palermo e Diario Napoletano dove si trova ad analizzare le stesse tematiche dopo molti anni: gli intrecci tra criminalità e potere. La tregua, tratto dal romanzo omonimo di Primo Levi è il suo commiato alla proficua attività di regista cinematografico. Negli ultimi anni di attività si dedicherà, infatti, a regie teatrali, portando in scena tre grandi classici della tradizione eduardiana: Napoli Milionaria, Le voci di dentro, Filumena Marturano. Oltre ai già citati, Orso d’Argento e Leone d’Oro, Rosi conquisterà moltissimi premi cinematografici tra cui tre nastri d’argento, una Palma d’Oro a Cannes, undici David di Donatello, tra cui quello del cinquantenario e un Leone d’Oro alla Carriera.

Napoli è con Parigi: il cordoglio delle istituzioni

di Antonio Lepre

La polizia francese prontra ad intervenire
La notte del 13 novembre a Parigi si compie una strage di stampo terroristico. Gli attacchi avvenuti nel I, nel X e XI arrondissement sono stati rivendicati dallo Stato Islamico, Isis ed hanno prodotto 129 vittime e ferito quasi 400 persone.

Anche il capoluogo campano ha risposto la mattina successiva al cordoglio parigino, infatti, il Sindaco Luigi De Magistris ha alzato la bandiera a mezz’asta a Palazzo San Giacomo. Sempre il primo cittadino di Napoli ha ricevuto il console Jean Paul Seytre e gli esponenti della comunità islamica cittadina Abdullah Cozzolino e Amar Abdallah. Erano anche presenti Nicola Quatrano dell'Osservatorio internazionale per i diritti e il presidente dei Giovani musulmani d'Italia Hareth Amar. All’incontro Luigi De Magistris ha ricordato quanto sia “necessario impegnarsi per la convivenza democratica di popoli e culture nelle nostre città e nel Mediterraneo tutto ricordando al contempo come il concetto di popolo e di cultura siano di per se mutevoli e sintesi di tutti coloro che abitano le nostre città. Uniti nelle differenze contro ogni razzismo, è il messaggio che parte da Napoli". 
Luigi de Magistris e Vincenzo De Luca
Anche il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca ha incontrato il console francese al quale ha espresso il suo cordoglio dichiarando: "i sentimenti di vicinanza e solidarietà della nostra regione di fronte al vile attacco terroristico che ha colpito Parigi e l'Europa intera. Saremo ancora più vicini da subito alla comunità francese sul fronte della sicurezza e della prevenzione. Intensificheremo i rapporti tra i nostri paesi per rendere più strette le relazioni umane e culturali, e i programmi di sicurezza comuni”.

Oltre alle istituzioni della Regione anche le comunità cittadine hanno voluto esprimere il loro cordoglio, così come è avvenuto la sera del 16 novembre quando musulmani residenti a Napoli e cittadini hanno manifestato per le strade di via Toledo con lo slogan, ormai diventato celebre, “Restiamo Umani”. Nel corteo, a cui hanno partecipato studenti e non, vi erano, come detto, molte persone musulmane e una di loro così ha dichiarato "l'Islam - ha spiegato Sofia giovane italo marocchina - non è l'Isis. In questi giorni per noi è difficile, noi musulmani siamo le prime vittime".

Napoli è con Parigi, è lo slogan che su Twitter campeggia maggiormente, anche sulla pagina del Sindaco.

TAV Napoli-Bari: meglio tardi che mai

di Gian Marco Sbordone

E’ ormai cosa fatta l’avvio delle opere che porteranno alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità ed alta capacità Napoli-Bari. Dopo anni di vaniloqui e di buoni intenti, a cui però non hanno mai fatto seguito atti consequenziali, finalmente ci siamo.

Ad aprire la prima fase di effettuazione di opere civili è stata l’inaugurazione del cantiere di Acerra, in provincia di Napoli. Salvo intoppi burocratici o impedimenti di altra natura, i cantieri dovrebbero rimanere aperti per dieci anni. I lavori dovrebbero essere portati a termine tra il 2024 e il 2025. Si tratta di un’opera del costo di 6,2 miliardi di euro, per la quale saranno impiegati circa 2.200 operai.

Presenti all’avvio dei lavori il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio e i Presidenti delle Regioni Campania e Puglia, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano. Tutti esprimono parole di soddisfazione.
Il Ministro Delrio in particolare, ha annunciato: "il potenziamento ferroviario al Sud è realtà, così recuperiamo fiducia. Assumiamo un impegno preciso oggi. Accanto alle infrastrutture ferroviarie ci vogliono investimenti in sistemi logistico-industriali.” E ancora: “Il Mezzogiorno deve essere la nuova parte avanzata dell'Italia verso i Paesi in via di sviluppo. Se non cresce il Sud, l'Italia non cresce. I dati sono incoraggianti, c'è una ripresa”.

Il Presidente della Regione Puglia, tuttavia, nonostante parli della Tav come “un'infrastruttura che la Puglia ha lungamente desiderato e incoraggiato, perché fosse progettata”, pone l’accento sulla necessaria attenzione da rivolgere per scongiurare eventuali attività illecite che, troppo spesso, vanno a ledere e ad intaccare l’attuazione di opere pubbliche.

A lavori ultimati dunque, sarà finalmente possibile raggiungere Bari da Napoli (e viceversa) in due ore, cosa che adesso appare come un miraggio. Attualmente risulta infatti impossibile, per chi viaggia in treno, recarsi da una delle due città all’altra senza effettuare dei cambi durante il viaggio, la cui durata può arrivare ad aggirarsi attorno alle 5 ore. Saranno invece tre le ore di viaggio necessarie per raggiungere Roma dal capoluogo pugliese, a fronte delle quattro di adesso.

Ma i vantaggi legati al compimento di una tale opera non si esauriscono qui. Lo sviluppo dei trasporti risulta-fin dall’antichità -collegato a quello di interi territori, da un punto di vista commerciale, economico e sociale.
Un treno AV
La linea ad alta velocità porterebbe ad una maggiore sostenibilità ambientale ed i lavori ad essa connessi creerebbero un aumento di occupazione. Le due principali città del Sud dell’Italia peninsulare -e le loro rispettive aree metropolitane- saranno collegate in modo più celere ed efficiente. Era anche ora in un Paese spaccato in due metà che procedono a velocità troppo diverse, in un mondo in cui i tempi per gli spostamenti da un posto all’altro diventano sempre più rapidi.

L’augurio è che i tempi di realizzazione previsti vengano rispettati, scongiurando spiacevoli intralci e lungaggini burocratiche.

Tra le pagine di un libro...la scoperta di Napoli

di Maria Di Mare

Per un popolo così sentimentale e viscerale come quello napoletano, il senso di appartenenza alla propria terra è davvero forte. In genere si tendono a difendere il territorio e le sue bellezze, i grandi uomini che hanno contribuito a renderla famosa nel mondo, la sua storia antica e le sue bellezze artistiche. Ma quanti saprebbero rispondere a domande del tipo “Dove si trova il Foro Carolino?” oppure “Sai cos'è il decumano?”, “Cos'è la Quadreria?”. In realtà, probabilmente sarebbe un problema per i più anche risalire alle origini del nome della città. E allora, se dinanzi a queste domande avete dovuto ammettere a voi stessi che, orgoglio a parte, non conoscete molto della vostra città, esistono strumenti semplici con cui poter rimediare.
La copertina del libro
Edito nel 2006 dalla casa editrice Ellepiesse Il mistero corre nella rete di Mario Visone è un romanzo per ragazzi che può dare qualcosina anche a chi tanto ragazzino non è più, ma ha voglia di approfondire aspetti della storia e della cultura napoletana in maniera semplice e piacevole.

Scritto in un linguaggio accessibile, dato il target a cui è indirizzato, si mostra al lettore come scorrevole e immediato nella comunicazione dei suoi contenuti: tre amici ci coinvolgono in una storia che unisce la tradizione dei misteri napoletani con l'innovazione dei computer game. I tre, quasi per caso, si imbattono in un gioco virtuale di indovinelli e per concluderlo devono risolvere una serie di enigmi il cui tema è proprio Napoli, la città che si mostra ad ognuno di noi con i suoi vicoli stretti che hanno voglia di far sentire la loro voce. Ma ci viene raccontata anche la Napoli sotterranea con le pareti rocciose che urlano la storia dei reperti preistorici di 5000 anni fa, fino a mostrarsi come rifugio contro i bombardamenti durante la guerra.

Leggendo si scopre così che il Foro Carolino altro non è che il nome originario di un luogo di ritrovo noto e trafficatissimo: Piazza Dante, dove anticamente il mercoledì si teneva il Mercatello, durante il quale i cavalli erano lasciati liberi a gironzolare per la piazza, mentre qualcun altro si ingegnava in lezioni di equitazione per i nobili.

Il termine decumanus invece, già utilizzato dai Romani, era la linea che, in direzione est-ovest, suddivideva nella città i territori centuriati dagli accampamenti militari, oggi Spaccanapoli, l'arteria che nel centro storico si sviluppa per due chilometri e mezzo, dividendo in due la città.

La Quadreria è il complesso di locali che comprende, tra l'altro, anche la pinacoteca del Pio Monte della Misericordia, l'edificio, costruito nel 1601 per assistere i poveri e gli emarginati. Oggi essa ospita al suo interno preziosi quadri realizzati da artisti napoletani tra il XVI e XVIII secolo.

Il pretesto per comprarlo potrebbe essere quello di regalarlo ad un cuginetto, piuttosto che ad un nipotino, la verità è che si rivelerebbe un piacevole svago per perdersi, attraverso le sue pagine, nei vicoli e nelle piazze napoletane... e chissà che, dopo un'oretta di lettura, non mancherà il diletto nel riscoprirsi dei cittadini nuovi e più consapevoli.


Energie rinnovabili: quattro anni per realizzare una Napoli geotermica

di Luigi Rinaldi

Il progetto di una Napoli geotermica è una delle proposte più originali comprese nel Rapporto 2015 sul Mezzogiorno, recentemente presentato da Svimez alla Camera dei Deputati. Si tratterebbe di utilizzare l’energia geotermica presente nel sottosuolo, sostituendo le caldaie tradizionali, con pompe di calore geotermiche, per riscaldare e raffreddare tantissimi edifici, sia privati che pubblici, per l’intero territorio di Napoli e provincia, sino ad oltre 40mila abitazioni, in un arco temporale di appena quattro anni.

L’Italia, fatta eccezione per l’Islanda, è il paese europeo in cui vi sono maggiori fonti geotermiche ed il livello tecnologico nel settore è il più elevato al mondo. Soprattutto nel Mezzogiorno sono presenti enormi disponibilità di risorse geotermiche a bassa profondità. Secondo la banca dati nazionale geotermica CNR-ENI, la Regione Campania conta 98 pozzi geotermici e 56 sorgenti, di cui rispettivamente 69 e 32 nell’area metropolitana di Napoli.

Secondo il Rapporto, ipotizzando interventi su un fabbricato di 10 unità abitative, si potrebbe conseguire un risparmio di circa 6.600 euro annui, vale a dire 660 euro l’anno per ogni famiglia, con un impatto positivo sul Prodotto Interno Lordo della città di Napoli pari all’1,4% su base annua.  
Il progetto geotermico presentato dalla Svimez considera un coinvolgimento, in una prima fase, di circa il 25% del patrimonio residenziale della città di Napoli (circa diecimila edifici), per un investimento pari a circa 510 milioni di euro l’anno, oltre 100 milioni per la manutenzione. Ma l’attuazione del programma geotermico rappresenterebbe anche un volano sotto il profilo occupazionale. La Svimez, infatti, ha stimato che, in un lasso temporale di quattro anni, si potrebbero creare oltre 15mila nuovi posti di lavoro. Un’opportunità che la difficile realtà napoletana non dovrebbe assolutamente lasciarsi scappare. Secondo molti analisti economici è proprio sul fronte delle green Energy che si fondano le prospettive di rilancio del nostro Paese ed, in particolare, del Mezzogiorno dove esiste un vantaggio competitivo in termini di potenza prodotta da solare, eolico e biomasse.
Investire nel campo delle cosiddette energie pulite significa contribuire a superare la debolezza dell’Italia nel settore energetico, riducendo la sua dipendenza dalle importazioni di energia e favorendo lo sviluppo di nuove attività in settori innovativi. Le statistiche, d’altronde, dimostrano la costante crescita della green economy italiana. Centinaia di migliaia di aziende italiane hanno investito in prodotti o tecnologie ecosostenibili. Una scelta che, dati alla mano, sembra pagare, visto che le aziende green hanno visto crescere il proprio fatturato in modo maggiore rispetto alla media italiana, merito di una maggiore concorrenzialità sui mercati internazionali e maggiore capacità di produrre innovazione.

Numeri importanti, che si riflettono anche sulla quantità di lavoratori impegnati nel settore. Sono infatti oltre 3 milioni in Italia i lavori green, il 13,3% dell’occupazione complessiva nazionale, ed è previsto che crescano ancora nei prossimi anni, con oltre 234.000 assunzioni di figure con competenze green, circa il 61% dell’attuale domanda di lavoro. Quelli della Green Economy italiana sono, dunque, numeri importanti che devono convincere a guardare la difesa dell’ambiente sotto un nuovo punto di vista: non più una necessità, ma un’opportunità.

Come è cambiato il tempo? Alla scoperta dell’origine dell’ora legale tra passato e presente.

di Germana Guidotti

Nel corso della storia il computo del tempo, i calcoli astronomici relativi alle ore del giorno, ed altri argomenti simili, sono stati oggetto di attenta osservazione e particolare attenzione. Presso le civiltà antiche, che fra l’altro eccellevano nello studio di tali discipline, e prima della diffusione degli orologi, l'organizzazione delle società, all’epoca prettamente agricole, non si basava su bioritmi fissi come nelle nostre moderne civiltà industrializzate.

I contadini, che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione, la cui attività si forgiava esclusivamente sui tempi e i ritmi della natura e delle stagioni, si alzavano quotidianamente all'alba, andavano a letto subito dopo il tramonto, seguendo in tal modo, quasi inconsciamente, l’andamento del sole.

Nell'impero romano la cosiddetta “ora” prima era sempre quella che seguiva il sorgere del sole, indipendentemente dal momento in cui tale evento astronomico si verificasse. Del resto, nell'età contemporanea quello dell'ora legale non è altro che un espediente per cercare di riprodurre almeno in parte questo antico spostamento dei bioritmi umani a seconda delle stagioni.

È solo con l’avvento della rivoluzione industriale, e la diffusione degli orologi, che le attività giornaliere cominciano ad essere “collocate” in un tempo che smette di seguire la ciclicità delle stagioni, e si fissa invece su un orario condiviso e convenzionale. Per la prima volta, quindi, l’uomo non si sveglia più all’alba e va a dormire poco dopo il tramonto, bensì si trova a sprecare ore di luce dormendo la mattina, per poi eccedere energia (o meglio candele) per illuminare la notte, in attesa di prendere sonno.  
Affinchè tali abitudini di certo poco efficienti e proficue, soprattutto in ambito lavorativo, fossero nuovamente modificate, intervenne la mente brillante dell’illuminista Benjamin Franklin, già inventore del parafulmine e delle lenti bifocali, ma anche autore (non a caso probabilmente) del famoso adagio inglese: “Early to bed and early to rise, makes a man healthy wealthy and wise“: Presto a letto e presto alzato, fan l’uomo sano, ricco e fortunato. Questa illustre personalità del XVIII sec., da sagace illuminista quale era, illuminò (e mai gioco di parole fu più calzante) lo Stato francese con un’idea, che successivamente si rivelerà rivoluzionaria: la pubblicò nel 1784 sul Journal de Paris, ed incitava la popolazione di Parigi ad adottarla. Si trattava di spostare in avanti le lancette dell’orologio con l’arrivo dell’estate, ossia svegliarsi un’ora prima, approfittando delle giornate più lunghe e risparmiando così candele, in altre parole energia.

Tuttavia, si sa che spesso il destino delle grandi innovazioni, delle nuove idee, non è fortunato, e non lo fu neppure per questa soluzione trovata da Franklin. Perché la sua proposta trovasse finalmente ascolto ed accoglimento, bisogna attendere il secolo successivo, anzi oltre, quando, con la forte accelerazione impressa da un fattore in particolare, cioè la guerra, l’ora legale venne riproposta nel 1907 dal costruttore inglese William Willet, e quasi immediatamente prese piede a causa delle esigenze di risparmio energetico dettate dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Nel 1916 la House of Common inglese, infatti, adottò il British Summer Time, che in breve tempo si impose in molti altri Paesi d’Europa (in quanto in tempo di guerra il risparmio energetico rappresentava per tutti una priorità), fra cui l’Italia. Qui il nuovo orario estivo fu introdotto per la prima volta nel 1916, con il decreto legislativo 631 del 25 maggio; fu poi abolito e ripristinato svariate volte. Rimase in vigore fino al 1920, per essere riproposto nuovamente durante la Seconda Guerra Mondiale, più precisamente dal ‘40 al ’42, e adottato definitivamente con una legge del 1965, applicata a partire dall’anno seguente. Infatti il 1966 è l’anno in cui l’ora legale venne adottata con un calendario comune in tutta Europa.

A marzo le lancette avanti di un'ora alle 2 di notte
Nei primi anni Ottanta si decise di estenderne la durata, portandola da 4 a 6 mesi. Dal 1966 al 1979 in Italia l’ora legale durava solitamente dalla fine di maggio alla fine di settembre; nel 1980, da aprile a settembre; dal 1981 al 1995, dall'ultima domenica di marzo all'ultima domenica di settembre; infine, dal 1996 ad oggi, l’arco temporale dell’ora legale si estende dall'ultima domenica di marzo all'ultima domenica di ottobre. Il cambio dell'ora avviene sempre nelle ore notturne, tra le 2 e le 3 di notte, per arrecare il minor disagio alle persone. In particolare il sistema dei trasporti ne risente pochissimo, dal momento che questi orari sono quelli in cui la circolazione dei treni e degli altri mezzi pubblici è ridotta al minimo, e dunque si minimizzano i disallineamenti e gli sfalsamenti rispetto agli orari giornalieri programmati.

Scopo precipuo dell'ora legale è quello di consentire un risparmio energetico grazie al minore utilizzo dell'illuminazione elettrica. L'ora legale chiaramente non può andare ad aumentare le ore di luce a disposizione, ma solo indurre un maggior sfruttamento delle ore di luce che solitamente vengono "sprecate", con conseguente aumento di costi in termini economici, semplicemente ritardando di un'ora l'accensione della luce elettrica alla sera.

Il bisogno di ottimizzare l'uso della luce solare al fine di ottenere un risparmio nel consumo di energia è un tema molto sentito, soprattutto durante la crisi energetica degli anni ‘60 e ‘70 del Novecento. Il concetto basilare è di sfruttare l'allungamento delle giornate estive anticipando l'inizio della vita produttiva del Paese. Spostando di un'ora in avanti l'orario, si riesce ugualmente ad avere la luce naturale al mattino, ma in più si guadagna un'intera ora di luce per la sera, e in ultima analisi si inquina di meno.

Attualmente l’ora legale è in vigore in quasi tutti i Paesi del mondo, alternandosi con quella cosiddetta “solare”, l’orario naturale, (che sarebbe tecnicamente diversa in ogni punto del globo terrestre, in quanto si relaziona alla posizione del sole), termine che si riferisce al periodo invernale. Ma in alcuni paesi l'ora solare è di fatto sospesa, pertanto si adotta l'ora legale per tutto l'anno.

Nei giorni immediatamente successivi al "cambio dell'ora" (ossia al passaggio da ora solare a legale e viceversa), molti lamentano disturbi causati dall'alterazione del ciclo sonno-veglia: si tratta dello stesso fenomeno che alcune persone avvertono quando viaggiano in aereo in Paesi attraversati da più fusi orari (il cosiddetto jet lag). Tuttavia a volte le conseguenze sono di ordine psicologico, dovute alla riduzione di luce nel pomeriggio, cui i più non riescono ad abituarsi, o almeno non immediatamente.

Infine, la vera questione da risolvere nel nostro Paese è quella riguardante i fautori dell’ora legale e gli oppositori: da un sondaggio è emerso che gli italiani sono per il 50% a favore e per il 50% contrari all'ora legale. In più la medesima inchiesta ha rilevato che la maggior parte degli intervistati sosterrebbe l'abolizione dell'ora solare. Questa soluzione comporterebbe l’entrata in vigore dell'ora legale per l’intero anno, eliminando i fastidi legati al cambio di orario. Ma il problema sarebbe che d'inverno, con meno ore di luce a disposizione, uno slittamento in avanti di alba e tramonto potrebbe apportare un'ora di luce in più alla sera, ma anche una in meno ogni mattina, mentre le attività dell’uomo continuerebbero a scorrere con il solito orario.

Il Cimitero delle Fontanelle tra storia e leggende

di Antonio Ianuale

La targa del Cimitero delle Fontanelle
Nel quartiere popolare della Sanità sorge un antico luogo di culto, estremamente caratteristico e raro se non unico nel suo genere: il cimitero delle fontanelle. Prende il nome dalle abbondanti sorgenti e fonti d'acqua che si trovavano in questa parte delle città.

Un pezzo di storia della nostra città, accompagnato dalla leggende delle anime pezzentelle, che magari ai più giovani non dirà niente, ma sicuramente conosciute da tutte le persone di una certa età. Il cimitero è stato costruito nel XV secolo, quando il suo ingresso avveniva tramite un passaggio dietro l’altare della chiesa Maria Santissima del Carmine.

Il cimitero ha sempre raccolto resti anonimi e i morti dell’epidemia di peste nel 1656 e di colera del 1836. Nel 1872 il cimitero fu aperto al pubblico, grazie all’impegno del canonico Gaetano Barbati che curò personalmente la sistemazione dei resti. Dal 1884 si sviluppò un vero e proprio culto di estrazione pagana, verso le anime che riposavano nel cimitero. Stava nascendo il culto delle capuzelle: ogni fedele adottava un teschio, gli consacrava dediche scritte, affidandogli preoccupazioni, pensieri, chiedendo la grazia per sé o per i proprio cari. Tale culto delle adozioni degenerò in feticismo per cui il Cardinale Ursi, nel 1969, ordinò la chiusura dell'ossario.

Negli anni '80 si decise di aprire il cimitero al pubblico, ma la mancanza di sicurezza, ne determinò l’immediata chiusura. Per molti anni il cimitero venne dimenticato, ma negli anni 2000, dopo aver provveduto alle necessarie misure di sicurezza, il cimitero venne riaperto, anche se solo per pochi giorni all’anno.

Nel 2010 i cittadini del rione occuparono il cimitero, accessibile al tempo solo durante il Maggio dei Monumenti, chiedendo all’amministrazione comunale la riapertura immediata del luogo di culto. Da allora il cimitero è aperto al pubblico quotidianamente, meta di pellegrinaggio, anche e soprattutto per le leggende che si sono create intorno alle capuzzelle più famose.
La "capuzzella del capitano"
Vera e propria attrazione del cimitero delle fontanelle è la capuzzella del capitano, che secondo la leggenda era stata adottata da una giovane donna che desiderava ardentemente di sposarsi. Il fidanzato, ingelosito delle tante attenzioni riservate al capitano, accompagnò la promessa sposa al cimitero, prendendosi il teschio, ed infine infilando un bastone al suo occhio destro. Prima di andare via, l’uomo sfidò il capitano a presentarsi il giorno delle nozze. I due giovani convolarono a nozze, dimenticandosi del capitano, ma durante il ricevimento si presentò un uomo vestito di nero che chiese di ricevere gli sposi. Una volta solo con gli sposi, l’uomo misterioso, mostrò la sua corporatura di ossa e non di carne, spaventando a morte i due sposi.

Una variante della leggenda ci è fornita dal maestro Roberto De Simone: stavolta l’uomo è un delinquente, che vuole violare la sacralità del cimitero, giacendo con una ragazza. Il Capitano rimproverò l’uomo, invitandolo ad allontanarsi, ma il giovane si fece beffe del teschi e lo invitò al matrimonio per sfidarlo a duello. Il capitano si presentò al banchetto, mostrò la sua identità e provocò la morte dei due sposini, toccando loro le mani. Il teschio del capitano si presenta ancora oggi con un’orbita completamente nera. Alle leggenda del Capitano sembra ispirarsi anche il Don Giovanni del commediografo francese Molière.

L'antico accesso al Cimitero delle Fontanelle
Famosissima è anche la leggenda di Donna Concetta, la capa che suda, poiché il suo teschio rimane sempre lucido, nonostante nessuno lo tocchi mai. Mai ricoperto di polvere, mai opaco o sporco. Altra capuzzella famosa è quella del monaco detta anche a’ capa e Pascale in grado di far conoscere i numeri vincenti al gioco del lotto.

Si tratta, insomma, di un vero e proprio patrimonio culturale che, spesso, rischiamo di dimenticare.