venerdì 29 aprile 2016

Turismo, Renzi e Franceschini a Pietrarsa

di Gian Marco Sbordone

Pochi giorni dopo il tanto discusso e contestato vertice su Bagnoli, il Premier Matteo Renzi è tornato a Napoli in occasione degli Stati generali del turismo.
Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi

La prima tappa del Presidente del Consiglio è stata Capodimonte, a seguire il Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, dove un tempo vi era il più grande polo siderurgico d’ Italia voluto da Ferdinando II di Borbone nel 1840 e che, nel 1845, divenne fabbrica di rotaie e locomotive a vapore.

La prima affermazione di Renzi concernente il turismo: “Al Sud c’è un grande spreco di bellezza, non è possibile che la provincia di Bolzano abbia più turisti stranieri del Sud. Il Museo di Capodimonte ha opere d’ arte straordinarie, ma fa solo centoquarantamila visitatori l’anno. Qualcosa a livello di comunicazione non funziona”.

E dopo aver ammesso di non essersi mai recato, prima di quel momento, ad ammirare le bellezze culturali napoletane il Premier ha continuato: ”Il governo è pronto ad investire un miliardo per la cultura, il turismo è elemento di cultura politica e di orgoglio nazionale. I napoletani e non solo devono tornare a sentire l’orgoglio di far parte dell’Italia.”

Alcuni dei treni esposti al Museo di Pietrarsa

Premesso che – senza offesa per nessuno – dalle nostre parti l’ orgoglio di essere napoletani è il principale sentimento nel quale si riconosce quantomeno la maggioranza dei nostri concittadini – ed è giusto che sia così – bisognerebbe tra le altre cose, prima di ricorrere a discorsi retorici sull’ appartenenza alla patria, conoscere e diffondere, senza riserve, con onestà e trasparenza, il racconto di tanti avvenimenti storici che hanno contribuito alla formazione di disparità economiche e sociali a livello territoriale nel nostro Paese. Uno di questi avvenimenti è proprio legato a Pietrarsa. Qui infatti, dopo l’Unità d’ Italia si assistette ad un rapidissimo e inesorabile declino di quella che era stata un’industria florida e redditizia. Moltissimi operai vennero licenziati, gli stipendi dimezzati. Il malcontento esplose in una protesta degli operai che fu soffocata nel sangue il 6 agosto del 1863, data in cui Carabinieri e Bersaglieri del nascente Regno d’ Italia non esitarono ad aprire il fuoco sugli operai napoletani uccidendo almeno quattro persone.

Agli Stati generali del turismo è intervenuto anche Dario Franceschini, Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. “La tre giorni di Pietrarsa è stato un importante momento di discussione sulle sfide del turismo italiano. Per la prima volta il governo ha dato il via a una grande campagna di consultazione pubblica, aperta a tutti, per definire il piano strategico del turismo sul quale l’Italia punterà nei prossimi anni” – ha dichiarato il Ministro.

Negli ultimi tempi, i passi avanti per quanto concerne lo sviluppo del turismo – a Napoli e in tutta l’Italia - sono stati ben visibili. Tuttavia resta il paradosso di un Paese in cui, soprattutto al Sud, non si riescono a trarre adeguati vantaggi economici dal tipo di turismo che per noi dovrebbe essere il più remunerativo, il turismo culturale.

Napoli Bike Festival: alla Mostra d’Oltremare dal 20 al 22 maggio 2016 il via alla V edizione.

di Teresa Uomo

Maggio, tripudio di colori e profumo di primavera. La città apre le sue porte a chi vuole esplorarla e ammirarla.

Da molti anni la città di Napoli ha un grosso numero di ciclisti e il Napoli Bike Festival è ormai diventato un luogo di incontro sia per esperti del settore che per gli appassionati con attività, gare e giri turistici.

Per il 2016 il tema del Festival sarà la «Città a Pedali» mettendo in connessione realtà europee differenti, gettando per la prima volta una pedalata storica: un fil rouge unirà tante storie legate alla bicicletta e al suo uso; queste storie ci mostreranno come l’uso della bici ha modificato in senso positivo cambiando la vita delle città italiane, e della nostra amata Napoli.

Quello del Napoli Bike Festival è un imperdibile appuntamento per tutti gli amanti della bici.

La location è la Mostra d’Oltremare, ma l’evento coinvolgerà e interesserà tutta la città alla scoperta di monumenti e bellezze che verranno proposte per la prima volta a Napoli.

Numerose sono le novità in serbo per quest’edizione 2016: prima fra tutte, verrà introdotta la bicicletta in zone come la Sanità e verranno create nuove zone pedonali e piste ciclabili. Sarà organizzata anche una pedalata vintage chiamata “Cazzimbocchia” in cui si percorreranno 50km in omaggio all’Eroica, una manifestazione cicloturistica che ha la particolarità di rievocare il ciclismo di un tempo, con percorsi che si svolgono in buona parte su strade bianche con biciclette d'epoca.

Novità, dibattiti, musica, presentazioni di libri, mostre d’arte, attività per i più piccoli, un’area food e tanto altro ancora. Allegria e divertimento. Ci saranno inoltre stand di esposizione che presenteranno diversi modelli di bici.

È questa una kermesse che ogni anno attira oltre 15 mila visitatori, tra appassionati e professionisti del mondo a due ruote.

L’evento, al via dal prossimo 20 al 22 maggio 2016, organizzato dall’Associazione Napoli Pedala, è stato presentato con largo anticipo al Palazzo dello Spagnuolo alla Sanità, all’interno della casa dello scultore Bruno Gentile. Non a caso, Luca Simeone, coordinatore di Napoli Pedala, spiega: “Per questa quinta edizione abbiamo voluto introdurre il festival qualche mese prima, in modo da permettere alle associazioni e alle istituzioni sul territorio di stilare con noi un programma di idee e progetti. Pur avendo come consueta location la Mostra d’Oltremare, il Bike Festival partirà proprio dalla Sanità, e lo farà con un evento intitolato “Pedalo per”: una vera e propria “biciclettata” aperta a tutti, il 20 maggio alle 17, con partenza dalla piazza centrale del rione, fino a Fuorigrotta.

Spazio anche al buon gusto: Ciro Oliva, pizzaiolo di “Concettina ai tre santi” (via Arena alla Sanità) realizzerà una pizza “a raggiera”, con otto spicchi che emulano la forma di una ruota di bici.

L’associazione “Napoli Pedala” ha deciso di dare alcuni suggerimenti per rendere più utile e funzionale le future piste ciclabili a Napoli.

La città in questi anni si è preparata e – continua a prepararsi – ad accogliere una rete di piste ciclabili. Era il 2009 e la città partenopea dava il via alla sua prima pista ciclabile inaugurata a fine 2012: un percorso di 16 km da Bagnoli a San Giovanni a Teduccio.

La volontà del Comune di andare avanti su questa strada ha portato alla nascita di nuovi percorsi per le biciclette, cercando di ottimizzare la vita delle persone nel migliore dei modi.

de Magistris, Renzi e Bagnoli: lo scontro continua


di Gian Marco Sbordone

Il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris
E’ da tempo immemore, ormai, che si fa un gran parlare della questione Bagnoli e delle bonifiche relative al quartiere dell’area occidentale di Napoli. La disputa, che vede come protagonisti il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Primo cittadino di Napoli Luigi De Magistris, ha al centro proprio la gestione di Bagnoli e sembra non essere destinata a spegnersi.

Un quartiere che in passato è stato sede dell’Italsider, probabilmente all’epoca il più importante insediamento industriale del Mezzogiorno nell’ ambito della siderurgia, che dava lavoro a migliaia di persone. Dopo la chiusura dell’impianto, avvenuta negli anni 90’, è subito apparsa evidente la necessità di procedere al risanamento dell’intera area tramite bonifiche che avrebbero dovuto portare al recupero di quello che potenzialmente potrebbe essere un vero e proprio paradiso naturale, situato alle pendici della collina di Posillipo a ridosso dell’isola di Nisida. Un efficace piano di bonifica, però, non è mai stato avviato.

Ciò ha spinto Renzi a decidere per il Commissariamento della zona, sottraendo di fatto all’ Amministrazione Comunale la possibilità di occuparsi di Bagnoli, suscitando così l’ira del Sindaco di Napoli che ha sempre considerato l’iniziativa di Renzi come uno schiaffo inferto alla città, un furto ai danni di Napoli e dei napoletani.

Veduta dell'area di Bagnoli
Agli inizi di aprile il Presidente del Consiglio si è recato nel Capoluogo campano per presiedere alla Cabina di regia, convocata per avviare i lavori al recupero della zona un tempo occupata dall’ Italsider. Tensione in città, dove si sono verificati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine nella zona del lungomare; scontri che ancora una volta hanno confermato la persistenza di una profonda frattura tra Istituzioni e società civile. Si spera, a questo punto, che chi ha preso l’impegno di far rinascere Bagnoli sia in grado di portarlo a termine. E’ da troppo tempo che la città di Napoli si vede privata di un’area vastissima, che abbandonata a se stessa potrebbe, invece, costituire un’enorme attrattiva per il turismo balneare.
Di sicuro, se fosse stato il Comune a farsi carico di tale impegno e se lo avesse fatto con successo, sarebbe stata un’immensa soddisfazione, per Napoli, e l’immagine della città ne avrebbe di sicuro guadagnato.

Nel frattempo, in Prefettura è partita la Conferenza dei Servizi per la bonifica di Bagnoli. Per la Cabina di regia, fa sapere De Magistris, il Comune di Napoli sarà presente con due tecnici dei dipartimenti di ambiente e di urbanistica.
Non si placano le polemiche, motivate stavolta dal fatto che più di un centinaio di famiglie residenti a Coroglio, in vista dell’inizio dei lavori, rischiano di essere sfrattate.

De Magistris si scaglia così nuovamente contro Renzi: “Noi difenderemo il territorio contro chi vuole espropriare la città e deportare i cittadini di Bagnoli che non sono mai stati risarciti per gli atteggiamenti criminali di chi negli anni ha amministrato territorio e denaro pubblico, e oggi invece di chiedere scusa, deporta queste persone.”- queste le parole di sdegno del Sindaco.

Insomma, la situazione resta turbolenta, tutto lascia presagire che di Bagnoli si dibatterà ancora a lungo.

Fondi europei 2014-2020: i progetti della Regione

di Antonio Cimminiello



La programmazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche rappresenta un vero e proprio obbligo per le istituzioni, secondo quanto prevede la normativa dell’Unione Europea e soprattutto in virtù della notevole consistenza che tali risorse assumono proprio quando provengono dagli enti sovranazionali. E’ questo il caso dei Fondi FESR 2014-2020 concessi alla Regione Campania, che garantiranno la disponibilità di più di 4 Miliardi di Euro al fine di realizzare attività ed infrastrutture di carattere strategico.

In verità l’idea dell’ente di palazzo Santa Lucia è quella di garantire un utilizzo di tali soldi il più possibile ad ampio raggio ed in via trasversale. Nello schema già predisposto del documento di programmazione FESR, infatti, se da un lato non mancano interventi “classici” come ad esempio quelli di riqualificazione dell’edilizia urbana e chiusura del ciclo dei rifiuti, dall’altro emerge la destinazione di parte dei fondi in parola per settori come innovazione e welfare. Più precisamente, in primo luogo un miliardo di euro circa sarà utilizzato per il completamento ed ammodernamento di opere centrali che vanno dalla Mostra d’Oltremare (in questo caso anche alla luce della recente assegnazione a Napoli dell’organizzazione delle Universiadi) alla Linea 1 della Metropolitana partenopea, passando per le infrastrutture di Metrocampania Nord Est - purtroppo non esenti dagli strascichi della crisi che attanaglia il trasporto pubblico locale- ed il Porto di Napoli, oggetto di nuova governance.

A conferma della ricordata trasversalità, da notare nel sociale il progetto di realizzazione di 200 nuovi asili nido; o ancora la destinazione del 30% delle risorse complessive all’innovazione tecnologica, in una sorta di ideale continuità con la scelta di colossi imprenditoriali del settore di puntare sulla Campania con l’insediamento di poli produttivi e di formazione. Nella programmazione regionale si impone però un ulteriore obiettivo, e cioè il completamento di interventi che la precedente giunta regionale Caldoro non è stata in grado di ultimare; e si tratta senza dubbio anche in tal caso di interventi di non poco conto, come ad esempio la costruzione di 12 impianti di compostaggio dei rifiuti e delle opere di contenimento dei rischi naturali connessi ad aree delicate (tra cui il fiume Sarno).

L’ente del governatore Vincenzo De Luca mira ad ottenere un’approvazione del documento programmatico in tempi brevi per scongiurare il rischio più temuto e già concretizzatosi negli anni scorsi: il mancato utilizzo integrale delle risorse europee, il quale comporterebbe la restituzione delle stesse. L’utilizzo di 4 miliardi di euro potrebbe davvero avere non solo un effetto espansivo -si pensi all’incentivo all’occupazione che deriverebbe dalla realizzazione degli interventi programmati- ma potrebbe davvero evitare il collasso di servizi attualmente in condizioni tali da non poter più tollerare l’assenza di risorse economiche per semplici lungaggini burocratiche.

Energie rinnovabili: la “sfida” delle istituzioni

di Antonio Cimminiello

Negli ultimi anni la tutela della salute e dell’ambiente, oltre a costituire una problematica nazionale sempre attuale (il caso “Tempa Rossa” ne è conferma di questi giorni) sono diventati obiettivi indispensabili, in particolare per le istituzioni campane, alla luce delle disastrose conseguenze di alcuni episodi con cui ancora oggi bisogna fare i conti, dalla fallimentare gestione del ciclo dei rifiuti fino alla “bomba” Terra dei Fuochi.

Impianti eolici per la produzione di energia
Questa è stata una delle ragioni che ha portato quindi la Regione Campania ad una massiccia attenzione verso il tema dell’utilizzo delle energie rinnovabili nonché per ogni forma alternativa di produzione di energia, come una sorta di filo conduttore anche delle azioni intraprese dalle diverse amministrazioni. A conferma di ciò, si può ricordare in primo luogo lo stanziamento già nel 2013- durante l’amministrazione Caldoro - di circa 115 milioni di euro, attinti dai fondi europei FESR 2007/2013, proprio per la produzione di energie rinnovabili con l’attuazione di due programmi specifici finalizzati tra l’altro all’incremento di impianti di produzione ed efficientamento, ma anche alla razionalizzazione dei consumi nei vari settori; 52 milioni di Euro vennero poi nel 2014 concessi ai Comuni campani di piccole e medie dimensioni che ne avevano fatto richiesta per le finalità sopra ricordate ed inseriti in apposita graduatoria.

Ma quali sono le ultime novità? Si è provveduto al completamento dei progetti precedenti, come ad esempio testimoniato dal Decreto Regionale dell’Agosto 2015 recante la disciplina di dettaglio della rimessione in pristino dei luoghi al termine della vita degli impianti produttivi, al fine tra l’altro di tutelare l’amministrazione da possibili inadempienze dei soggetti autorizzati, o ancora dalla Delibera della Giunta regionale N° 529 del Novembre 2015 con cui è stato approvato il programma regionale di sostegno alla realizzazione di diagnosi energetiche ed alla sensibilizzazione delle PMI. Ma si è riscontrato al tempo stesso un aumento di iniziative caratterizzate da maggiore dinamicità: al riguardo si può ricordare “Creative Clusters Smart Cities” e “Creative Clusters Beni culturali e turismo”, ossia l’invito della società regionale in-house “Sviluppo Campania” a presentare idee innovative per il miglioramento della qualità dei servizi delle città campane nonché per la fruizione turistica di Pompei con riferimento a vari settori tra cui appunto efficienza energetica ed energie rinnovabili; l’emissione di un bando per la concessione di contributi alle PMI per l’adozione di interventi di risparmio energetico a cura della Camera di Commercio di Avellino; la proposta di istituzione di “un ufficio tecnico e di progettazione ad hoc”, avanzata nella recente mostra –convegno “Energy Med” tenutasi alla Mostra d’Oltremare dal consigliere delegato al Patrimonio della Città metropolitana di Napoli David Lebro, proprio al fine di attuare la complessa normativa nazionale e non disegnata in materia e proprio a prescindere dalla natura delle forze politiche in campo, nel solco di quella continuità di interventi già riscontrata, come detto, a livello regionale. Iniziative di tal genere contribuiscono a dare impulso ad un processo in realtà già soddisfacente finora, se si pensa tra l’altro che la Campania negli ultimi anni è stata una delle Regioni ai vertici nazionali per l’utilizzo di energia dalle fonti rinnovabili, secondo i dati raccolti e pubblicati dal Ministero dell’Ambiente.

NAPOLI SOTTERRANEA: UN VIAGGIO NEL TEMPO.

di Luigi Rinaldi


Tra le tante meraviglie da visitare nella città partenopea, il percorso della Napoli sotterranea, a detta di molti turisti, costituisce un’esperienza unica che coinvolge tutti i cinque sensi. Un viaggio indietro nel tempo, fino all’epoca greca, quando venne fondata la città.

Questa accattivante passeggiata nel sottosuolo di Napoli è stata oggetto, lo scorso 6 Aprile, di una conferenza tenuta da Enzo Albertini, presidente dell’Associazione ”Napoli sotterranea” ed organizzata dall’Istituto italiano di cultura di Colonia. La prima associazione dedicata allo studio di questa città non illuminata dal sole, nasce verso la fine degli anni ’60, grazie ad un gruppo di professionisti che intraprendono un programma esplorativo, geologico, antropologico ed archeologico della città. Il vero obiettivo dell’associazione era però quello di conoscerne gli aspetti statici e conservativi, onde valutare la sicurezza della città partenopea che poggia in parte sul vuoto. Nel corso degli anni si è sviluppato anche l’interesse dei media, affascinati dalla scoperta di questa realtà sotterranea, riportata in superficie. Sono stati così creati dei percorsi esplorativi che da anni attirano migliaia e migliaia di persone. E’ di estremo interesse, per i visitatori, vedere come i vari strati si sovrappongono uno sull’altro: l’attuale convento francescano in stile gotico si erge sopra l’antico mercato romano che, a sua volta, prese il posto dell’agorà greca. 
La Napoli sotterranea
Nelle profondità si scopre un’antica realtà: l’erario, un forno, delle probabili pescherie e delle tintorie, dove veniva usata l’argilla per il lavaggio e l’urina per fissare il colore. Scendendo ulteriormente tra le viscere di Napoli, si scopre il sistema idrico greco, ampliato dai romani e poi potenziato nel XVII sec., sotto la dominazione spagnola. 
Si cammina per ampie cisterne e vicoli larghi non più di 60 cm, praticamente al buio, con la sola luce delle candele portate dai visitatori. Durante la seconda guerra mondiale questi ampi spazi sono stati utilizzati dalla popolazione come rifugio per proteggersi dai bombardamenti. Un complesso di opere di grande ingegneria civile, risalenti a tempi molto antichi che permettono di realizzare un viaggio nella storia, lungo oltre due millenni, dall’epoca greca a quella moderna.

Mozzarella di bufala campana dop: settore in costante ascesa.

di Luigi Rinaldi



La produzione di mozzarella di bufala campana dop costituisce, da anni, una delle principali eccellenze della nostra Regione. Nel lontano 1981, per la tutela, la vigilanza, la valorizzazione e la promozione di questo straordinario formaggio del Centro-Sud Italia, apprezzato in tutto il mondo, venne istituito il Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana, unico organismo riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. 

La Mozzarella di Bufala Campana ha ottenuto nel 1996 la Denominazione di Origine Protetta, il prestigioso marchio europeo con cui sono state istituzionalmente riconosciute le caratteristiche organolettiche e merceologiche di questo formaggio, derivate prevalentemente dalle condizioni ambientali e dai metodi tradizionali di lavorazione esistenti nella specifica area di produzione. La Mozzarella di Bufala Campana rappresenta oggi il più importante marchio Dop del Centro-Sud Italia, il quarto a livello nazionale per produzione ed il terzo tra i formaggi Dop italiani. 

Lo scorso 31 marzo, presso il Reale Yacht Club Canottieri Savoia di Napoli, il Consorzio di tutela mozzarella di bufala campana dop ha annunciato la nascita del Comitato Scientifico che avrà l’obiettivo di operare in sinergia con il mondo accademico. A far parte del Comitato ci sono Gaetano Manfredi, rettore dell'Università di Napoli Federico II e presidente della Conferenza dei Rettori delle Università italiane, Paolo De Castro, parlamentare europeo, dal 2009 al 2014 Presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale, e Germano Mucchetti, ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari presso il Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell'Università di Parma. In seno al Convegno è stato anche annunciato che l’export di mozzarella di bufala, nel 2015, ha registrato un incremento del 36,7% rispetto al 2014, con una quota che oggi rappresenta il 31,4% della produzione Dop. I paesi esteri che acquistano più mozzarella di bufala sono la Francia, la Germania, il Regno Unito e gli Stati Uniti mentre si registra un aumento nei mercati dell’Est Europa (Polonia, Bulgaria, Romania e Grecia) e +28% nei Paesi Bassi, nell’ultimo triennio. E’ stato riscontrato anche un marcato interesse da parte di nuovi mercati quali Cina, Libano, Singapore, Cile e Perù. Cresce sempre di più l’interesse da parte dei giovani nei confronti del settore della mozzarella di bufala e tutto ciò ha portato alla costituzione appunto del Comitato Scientifico, in cui ricerca e sviluppo sono le parole d’ordine. 

Un altro importante traguardo è stato conseguito con il superamento della stagionalità. La produzione di mozzarella bufala campana Dop, è diventata ormai costante da marzo a ottobre, grazie alla programmazione della riproduzione dei capi su cui si è lavorato negli ultimi anni. Quello della mozzarella di bufala è un settore, dunque, in continua espansione che negli ultimi 15 anni ha visto una crescita del 130%.

L’importanza dei test genetici come strumento di prevenzione nella lotta ai tumori.

di Luigi Rinaldi

E’ noto a tutti che la prevenzione costituisce l’arma principale per combattere la battaglia contro i tumori. Non si contano più, ormai, le iniziative finalizzate a sensibilizzare la popolazione sull’importanza della prevenzione. Un metodo nuovo e, a quanto pare, estremamente efficace consiste nel sequenziamento del genoma umano. Se n’è discusso, di recente, alla Clinica Mediterranea di Napoli, in occasione del settimo appuntamento di Mondo Donna, la rassegna dedicata al mondo femminile ed alla salute in generale, nel corso della quale gli operatori si sono confrontati sull’importanza dei test genetici. Si tratta di strumenti frutto delle più avanzate ricerche sulle cause delle malattie (in primo luogo del cancro, delle malattie neurodegenerative e cardiovascolari) e come tali costituiscono l'ausilio diagnostico del futuro.

Angelina Jolie
Test divenuti molto popolari negli ultimi tempi, dopo che la star hollywoodiana, Angelina Jolie, ha deciso di farsi asportare seno ed ovaie, proprio in seguito all’esito di alcuni esami genetici ai quali aveva deciso di sottoporsi. La famosa attrice, infatti, è risultata portatrice di una mutazione genetica che le ha dato un rischio pari all'87 per cento di sviluppare un tumore al seno e al 50 per cento di sviluppare un cancro alle ovaie. Una scelta drastica quella della star americana, che ha acceso un forte dibattito nel settore oncologico, in merito alla possibilità di evitare interventi chirurgici altamente invasivi, adottando programmi di monitoraggio per scoprire tempestivamente il nascere di nuove neoplasie. Resta il fatto che i test genetici costituiscono un punto di riferimento di enorme portata per la prevenzione delle malattie tumorali. Nella grande famiglia dei test genetici si nascondono in realtà esami con finalità diverse. Ve ne sono alcuni che cercano nel DNA del soggetto la presenza di alcuni geni che sono indice di malattia già in corso, come ad esempio il gene della fibrosi cistica, che viene ricercato nei bambini appena nati con familiarità e che presentano alcuni sintomi sospetti. Altri geni, come alcuni di quelli che provocano il cancro del colon familiare (gene della poliposi adenomatosa familiare), non indicano la malattia ma una probabilità di ammalarsi che, con l'avanzare dell'età, arriva quasi al 90%.


Sapere di essere portatori di queste mutazioni nel DNA è però importante perché le misure di prevenzione (ricorso frequente alla colonscopia e asportazione dei polipi e di altre lesioni precancerose) sono efficaci nella maggioranza dei casi. Anche la ricerca di geni che indicano un basso rischio di ammalarsi di tumore (come per esempio i geni BRCA1 e BRCA2 del cancro del seno o dell'ovaio - che indicano un rischio compreso tra il 50% e l'80% - o il gene Ret del carcinoma della tiroide), è molto utile, in quanto potrebbe invitare ad un aumento della frequenza dei controlli, ad un inizio in giovane età e all’adozione di stili di vita sani, anche se solo l'asportazione preventiva dell'organo (mammelle, ovaie o tiroide) potrebbe, spesso a caro prezzo, fornire una ragionevole sicurezza di evitare il cancro. Nel settore scientifico, però, gli esperti continuano ad evidenziare che non bisogna guardare ai test genetici come alla panacea di tutti i mali, in quanto è opportuno procedervi solo se, dopo un’accurata valutazione da parte di un genetista, sussistono indicazione specifiche che ne giustificano la necessità. Ciò significa che non tutti debbono o possono sottoporsi ai test genetici, anche per evitare, in alcuni casi, inutili allarmismi. E’ altrettanto vero, però, che le istituzioni, come sempre, sono tenute a fare la loro parte, dovendo garantire che l'innovazione tecnologica venga sfruttata per migliorare la salute dei cittadini.

Mito e Natura: l’antica arte greca tra gli Scavi di Pompei e il Museo Archeologico di Napoli

di Antonio Ianuale


La cultura del mondo greco-romano nell’ambientazione suggestiva di Pompei e Napoli è al centro della mostra “Mito e Natura” allestita negli Scavi di Pompei e nel Museo Archeologico di Napoli. Una mostra che ha riscosso un grande successo nell’allestimento milanese di Palazzo Reale, che adesso sarà fruibile nelle due sedi culturali campane: dal 16 marzo al 15 giugno agli Scavi di Pompei, mentre al Museo Archeologico la mostra continuerà fino al 30 settembre. Una sinergia tra due luoghi simboli dell’arte del Mezzogiorno, in passato gestite dalla stessa sovraintendenza, attualmente affidate a due direttori autonomi ed indipendenti. Dalla Grecia, terra per eccellenza della mitologia e della natura, giungono a Pompei 180 opere d’arte, attraverso le quali analizzare e riscoprire l’antico legame tra il mito, la natura e l’uomo: le opere in esposizione mirano ad evidenziare l’azione dell’uomo sull’ambiente e a rappresentare la natura nei suoi vari aspetti.



Tra vasi, dipinti, terrecotte, statue, affreschi e altri oggetti di lusso, ordinati cronologicamente, dal VII sec. a.C. fino al II d.C., si ricostruisce un passato unico per ricchezza. Le opere arrivano da musei italiani ed esteri: dal Museo Archeologico di Atene, dal Kunsthistoriches Museum di Vienna e dal Louvre, nonché dalla stessa Pompei. Il progetto vede la partecipazione anche della casa editrice Electa, curatori della mostra sono Gemma Sena Chiesa, Angela Pontrandolfo e Valeria Sampaolo per la sede napoletana, e Massimo Osanna, Grete Stefani e Michele Borgongino per Pompei.

Nella location napoletana si potranno apprezzare gli spazi verdi e il design dei giardini, luoghi destinati alla meditazione e a quell’otium litteratum tanto caro agli antichi. In occasione della mostra sono stati riaperti due giardini storici per rivalorizzare quel rapporto tra uomo e natura troppo spesso trascurato nell’epoca contemporanea. Partendo dall’antichità, si muove una riflessione tutta coeva agli utenti e ai visitatori che si stanno accalcando nelle sedi predisposte. A Pompei sono state riaperte cinque domus dopo gli interventi di restauro: la Casa di Giulia Felice, la Casa di Ottavio Quarto, la Casa della Venere in Conchiglia, la Casa del Frutteto, la Casa di Marco Lucrezio. Sempre a Pompei al percorso si aggiunge la sezione Natura morta, che è stata allestita nella Piramide all’interno dell’Anfiteatro. Una ricostruzione molto accurata, funzionale alla mostra, come spiega Massimo Osanna, soprintendente di Pompei: "I giardini sono stati ricostruiti in maniera filologica, seguendo sia le indicazioni che venivano dalla paleobotanica sia quelle documentali ma abbiamo mantenuto anche in parte la risistemazione voluta in alcuni di essi da Amedeo Maiuri".

Tra i pezzi più famosi ed interessanti da vedere sicuramente la Lastra della Tomba del Tuffatore, manufatto dell’arte funeraria, custodito nel sito archeologico di Paestum, al centro di molti studi ed interpretazioni. Il manufatto raffigura un uomo nudo che si lancia da un trampolino piuttosto alto verso un corso d’acqua sottostante, a rappresentare, secondo l’archeologo Mario Napoli, l’inizio del viaggio per l’aldilà. Il corso d’acqua potrebbe simboleggiare il mistero della morte, che accoglie l’uomo. Non si sottovaluta anche una connotazione sportiva, visto che già nelle colonie della Magna Grecia si disputavano i giochi sportivi. Tra i vasi, genera grande interesse il celebre vaso blu, conosciuto anche con il nome di Anforisco, custodito nel museo archeologico di Napoli. Il vaso ha la forma di un'anfora vinaria, sul cui corpo si svolge una scena di vendemmia. Accanto agli uomini impegnati nella vendemmia, troviamo suonatori di flauto o di siringa che allietano il lavoro dei loro compagni. La decorazione in vetro-cammeo ne aumenta il fascino. Tra gli affreschi citiamo “Affresco con paesaggio mitologico di gusto idilliaco. Paride Pastore”, in cui è rappresentato l’eroe troiano, pastore prima e guerriero poi nel contesto naturale. Paride spesso è rappresentato nella sua veste di pastore in numerose raffigurazione d’arte greca, sempre a contatto con la realtà naturale. Non mancano anche manufatti di natura morta, affreschi che rappresentano frutti riprodotti insieme a vasellame e ad animali. Un genere che nasce nel mondo ellenistico-romano per affermarsi anche nella pittura moderna.

Alla Casina Pompeiana la nuova sede dell’Archivio Storico della Canzone Napoletana

di Antonio Ianuale

«Il cervello dei napoletani è pieno soltanto di suoni. La musica costituisce la maggior parte delle arti liberali. Questo popolo canta da mattina a sera. Le sue Accademie sono i conservatori di musica dove ci si esprime cantando e tutti i suoi esperimenti sono esperimenti sull’armonia».

Il fortissimo legame tra Napoli e la sua musica è ben evidenziato da questo pensiero del letterato francese Ange Goudar, che nel suo “L’espion chinois” omaggiava il popolo napoletano e la sua musica. Una storia, quella della canzone napoletana, che adesso ha trovato una sede degna, aperta e disponibile a tutti coloro che vogliono avvicinarsi alla musica napoletana: la Casina Pompeiana all’interno della Villa Comunale. Un archivio multimediale, frutto della collaborazione tra Rai, Radio Rai, Comune di Napoli e Regione Campania, con oltre centomila brani, che ripercorrono la lunga e nobile storia della canzone napoletana. Molto soddisfatto il sindaco Luigi De Magistris che ha esaltato l’archivio e invitato la cittadinanza ad usufruirne: «È un museo di emozioni, invito tutti, napoletani e turisti, a fare un passaggio qui, tanto è vero che lo inseriremo nei percorsi turistici della città, perché sarà uno dei fiori all’occhiello della primavera napoletana». L’archivio contiene documenti, spartiti musicali, clip, registrazioni audio, video, testi, immagini e compilation, con un vasto repertorio per tutti gli amanti della musica napoletana: da Enrico Caruso a Sergio Bruni, passando per gli Almamegretta, Bennato, Murolo e tanti altri artisti che hanno portato la canzone napoletana nel mondo.

Gli utenti potranno ascoltare il materiale d’archivio tramite i cinque computer a disposizione, mentre nella sala più grande sarà allestita una consultazione collettiva, tramite playlist delle canzoni napoletane più famose. A disposizione non solo i successi più conosciuti, ma anche le canzoni più rare. Sono previsti, inoltre, percorsi guidati sui maggiori interpreti della canzone napoletana. Un tempio della musica che ripercorre una storia antica e secolare come quella della canzone napoletana. L’origine della canzone napoletana si può far risalire al mito greco della sirena Partenope che con il suo soave canto ammaliava i naviganti. Già nel Trecento, ci sono testimonianze della canzone napoletana: è il fiorentino Giovanni Boccaccio che durante il suo soggiorno a Napoli, ci informa che la sua Fiammetta era solita canticchiare qualche strofa. Nel Quattrocento, numerosi musicisti composero in lingua napoletana, frottole, farse e ballate, mentre nel Seicento si affermò la villanella, antesignana della musica classica napoletana. La musica partenopea si consacrò definitivamente nell’Ottocento, grazie anche all’opera di Gugliemo Cottrau, un parigino, studioso di musica, che fu condotto a Napoli ancora fanciullo. Le sue composizioni, raccolte in “Passatempi musicali”, furono pubblicate a Napoli tra il 1829 e il 1847, diventando subito molto popolari non solo a Napoli, ma anche nei maggiori centri culturali europei, come Parigi, Londra, Vienna e Madrid. Tra le sue canzoni più conosciute: La festa di Piedigrotta, Fenesta Vascia, Lamonacella, Serenata di Pulcinella, L’ amante scurnuso, La Ricciolella, La Carolina, L’aria de lo mare, la più famosa Michelemma! L’anno 1880 vede l’inizio del periodo d’oro della canzone napoletana, segnato dall’affermarsi della canzone “Funiculì, Funiculà”, dedicata alla Funicolare del Vesuvio.

Un grande contributo alla diffusione della canzone napoletana venne dato dai poeti, che scrissero canzoni entrate nella tradizione del popolo napoletano: da Libero Bovio, Roberto Bracco, a Salvatore Di Giacomo e Raffaele Viviani. Nella prima metà del novecento la canzone napoletana si modernizza, distanziandosi dalle melodie ottocentesche, ma è nel dopoguerra che autori come Aurelio Fierro, Renato Carosone e Sergio Bruni, consacrano la canzone napoletana a livello internazionale, facendo confluire sulle melodie napoletane le tonalità da jazz di stampo americano. Una storia che arriva fino a giorni nostri, con il compianto Pino Daniele autore di riferimento. Tra i brani più noti: Chella là, Era de Maggio, Funiculì Funiculà. Lazzarella, Malafemmena, O’ Sarracino, I te vurria vasà e tante altre.

L’omaggio di Scampia a De André: al cantautore genovese dedicato l’auditorium

di Antonio Ianuale

Napoli omaggia e ricorda Fabrizio De André, cantautore genovese legato a doppio filo alla città partenopea. Alla presenza del sindaco De Magistris e degli assessori alla Cultura e all’Istruzione, Nino Daniele e Annamaria Palmieri, si è svolta lo scorso 30 marzo, l’inaugurazione dell’Auditorium di Scampia, dedicato alla memoria del cantautore scomparso nel 1999. Un quartiere con al suo interno vite difficili, complicate, quella periferia del mondo che possiamo ritrovare in tante canzoni di De André, che ha sempre avuto grande attenzione per gli emarginati e per i diversi.


Fabrizio De Andrè
Fabrizio De Andrè aveva un legame speciale con la città di Napoli, che considerava una sua seconda terra, tanto da renderle omaggio con una canzone scritta ed interpretata in napoletano: Don Raffaé, in cui il cantautore denunciava la vita all’interno delle carceri negli anni Ottanta e la sottomissione dello Stato alla criminalità organizzata. Nel brano si accenna alla storia di un brigadiere, Pasquale Cafiero, che guardia penitenziaria del carcere di Poggioreale, riserva onori e gentilezze a Don Raffaé, boss temuto e rispettato da tutto il carcere. Un testo, come tutti quelli di De André, che attacca l’ipocrisia di una società, mostrandone i lati oscuri e denunciandone a gran voce la drammaticità. Nel testo vi sono riferimenti anche alla cultura napoletana che De Andrè conosceva ed apprezzava: ad esempio il nome del boss, Don Raffaé trae ispirazione dal nome del sindaco nel testo “Il sindaco del rione Sanità” di Eduardo De Filippo.

 Inoltre De André nel 1960 soggiornò a Napoli per sei mesi, durante i quali si innamorò di una ragazza del posto, nel quale fece ritorno più volte, sia per ragioni professionali che per piacere. Il sindaco De Magistris ha sottolineato il legame del cantautore con Napoli proponendo un parallelo tra i valori che inspiravano De André e quelli che si percepiscono in città: “Fabrizio de André, poeta, cantautore, cantante, artista, un fortissimo spirito libertario e un grande sete di giustizia come Napoli - ha detto il sindaco - una città con una grandissima voglia di libertà, una grande sete di giustizia, un po' anarchica e un po' alla ricerca di regole nuove. Una città senza confini, come senza confini è stata e sarà per sempre la musica di Fabrizio De André".

La targa dell'Auditoriom
Per rendere omaggio al cantautore genovese sul palco dell’auditorium si sono alternati artisti quali: O'Rom, Arrevuoto e Maurizio Capone, Concerto Musicale Speranza - Pino Ciccarelli, Manuele Cerullo con le sue poesie, La Maschera, Letti Sfatti, Maldestro, Raiz e Mesolella. Presente la compagna di una vita di Faber, presidente della fondazione a lui dedicata, Dori Ghezzi, visibilmente emozionata: “E’ un onore per me partecipare a questa inaugurazione. Sia io che Fabrizio abbiamo sempre avuto un rapporto prediletto con Napoli. Anzi, Fabrizio l’ha considerata come una sua seconda città, in linea diretta con Genova”. La cantante ha evidenziato il fine sociale dell’iniziativa, chiedendo la collaborazione delle donne e delle madri di Scampia: “Da sempre la musica, in particolare quella di Fabrizio, è uno specchio della sofferenza, ma anche una via per il rimedio. L’auditorium è un’ulteriore goccia di speranza in questo luogo multicolore, che mischia dolore e virtù. Spero possa accogliere tanti ragazzi e, soprattutto, le idee e la cura delle mamme di Scampia. È a loro che mi rivolgo principalmente: aiutate questo posto a spiccare il volo”. Dori Ghezzi si è profondamente commossa quando l’orchestra dei giovani talenti del quartiere le ha dedicato il coro “Tanti auguri a te”, nel giorno del suo settantesimo compleanno.

Il “Maggio dei Monumenti” a Napoli

di Marcello de Angelis

Tutto iniziò con un fatto davvero surreale accaduto in uno dei quartieri più popolosi di Napoli: la Pignasecca. Era il mese di maggio dell’anno 1992 quando in un condominio venne ritrovato un portone del ‘500 appartenente al Palazzo Reale. Recuperato, fu successivamente trasportato al Castel Nuovo, ove si trova ancor’oggi. Tale evento fece prendere coscienza alle istituzioni partenopee dello stato di abbandono in cui versava l’immenso patrimonio di bellezze che Napoli ha avuto in dono, sia dalla natura particolarmente benevola, sia dall’estro e dalla genialità dei più grandi personaggi che, almeno una volta nella loro vita, si sono incrociati con questa città donandole un po’ della loro arte: pittorica, letteraria o architettonica.

In realtà già nel 1984 in Francia si svolse una campagna di sensibilizzazione storico-artistica dove l’allora ministro dei beni culturali emanò un decreto con il quale tutti i monumenti di interesse storico-artistico di proprietà privata, sarebbero dovuti restare aperti al pubblico in determinati periodi dell'anno. Prendendo spunto da questo episodio, nel 1991 si svolse in terra nostrana una versione, per così dire, embrionale dell’attuale manifestazione, sempre su iniziativa privata, la “Machina ludens”, dove erano previste una serie di visite museali e un ventaglio di concerti nel corso di cinque domeniche di maggio, seguìto poi nel biennio ’92-’93 dall’evento “Monumenti Porte Aperte”, con l'intento di recuperare e valorizzare alcuni tra i monumenti più significativi della città. Ma fu solo nel 1994 che l'amministrazione comunale di Napoli decise di organizzare un evento analogo e di pianificarlo periodicamente: nacque così “Il Maggio dei Monumenti” come lo si conosce oggi. Musei e collezioni private che normalmente restavano chiusi tutto l’anno divennero, pertanto, finalmente fruibili dal grande pubblico con passeggiate tematiche nel centro storico ed itinerari selezionati (talvolta a pagamento, altre volte gratis), per riscoprire il patrimonio artistico della città. Evento che si è avvalso di sinergie e collaborazioni di notevole caratura, come quella con la Regione Campania e con altri prestigiosi Enti ed Associazioni e che col tempo è diventato una vera e propria kermesse di livello internazionale registrando ogni anno un altissimo interesse da parte dei visitatori.

Con il Maggio dei Monumenti, si è avuta inoltre la trasformazione del Centro Storico cittadino in “Museo Aperto”, inserito nel 1995 dall'Unesco nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità. Originale caratteristica dell’evento è la scelta di trattare una tematica ben precisa ogni anno che fa da fil rouge tra tutti gli eventi in programma. Quest’anno di comune accordo l’Assessorato alla cultura del Comune di Napoli col professore della Seconda Università di Napoli Francesco Cotticelli, d'intesa con il Sindaco Luigi de Magistris, Napoli dedicherà il “Maggio dei monumenti 2016”, ovvero la XXII edizione, al trecentesimo anniversario della nascita di Carlo III di Borbone ed al 700 musicale-artistico napoletano nella figura di Giovanni Paisiello.

Per anni l’attività artistica e culturale che arricchiva la Napoli borbonica è stata ignorata e dimenticata, anche dagli stessi napoletani. I Borbone erano in realtà dei sovrani molto più “illuminati” rispetto alle altre monarchie europee, padroni di un regno ricco e dalla cultura viva e pregnante, vicini al popolo e aperti nei confronti dell’arte. Ciò ha portato ad una rivalutazione dell’intero lascito di quel periodo florido della nostra storia.

Carlo III di Borbone
Carlo di Borbone nacque a Madrid il 20 gennaio 1716, diventò sovrano di Napoli e della Sicilia nel 1735 e, dal 1759, della Spagna, col nome di Carlo III (la corona partenopea passò al figlio Ferdinando). Egli fu un grandissimo innovatore. Sue sono le grandi e funzionali trasformazioni urbanistiche, a lui si deve il grande incremento delle arti, grazie alla sua capacità di creare a corte un ambiente molto ricettivo nei confronti della letteratura, la scultura e l’architettura e sopratutto la musica. Durante il suo regno rese la corte di Napoli al pari delle più grandi corti europee dell’epoca. A lui, inoltre, si devono le grandi costruzioni come l'edificazione del teatro San Carlo, il lirico più antico d'Europa realizzato in 270 giorni e inaugurato il 4 novembre 1737, giorno dell'onomastico del sovrano; ma anche la Reggia di Capodimonte, la Reggia di Caserta, famosa in tutto il mondo come diretta rivale della più famosa Versailles, il Fòro Carolino (oggi piazza Dante), l’Albergo dei Poveri, ma anche l’inizio degli scavi archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia.

Giovanni Paisiello
Per quanto riguarda la seconda figura celebrata quest’anno, verrà dedicata a Giovanni Paisiello, tra i vari eventi, una serie di concerti a tema in tutti i fine settimana di maggio, nel cortile del Maschio Angioino.

Egli è stato uno dei compositori d’opera più importanti e influenti del Classicismo. Nacque a Taranto e lì frequentò il liceo dai Gesuiti, ma la bellezza della sua voce attirò talmente l'attenzione che nel 1754 venne inviato a studiare al conservatorio di Sant'Onofrio a Napoli, dove studiò sotto la supervisione di Francesco Durante, divenendo successivamente suo assistente. Da qui in poi la sua ascesa musicale lo portò in giro per l’Europa, al cospetto delle maggiori personalità dell’epoca, desiderose di ascoltare le sue opere. Fu maestro di cappella, insegnante a Napoli e rappresenta, con Domenico Cimarosa, l’ultima fioritura dell'opera comica napoletana. Le opere di Paisiello sono 94 (almeno quelle conosciute) e abbondano di melodie sempre apprezzate per la loro delicata bellezza. La sua produzione di musica sacra fu molto ampia e si dilettò nella realizzazione di 51 composizioni di musica strumentale da camera. È noto, inoltre, per aver composto Viva Ferdinando il re, adottato nel 1816 come inno nazionale del Regno delle Due Sicilie. Il British Museum conserva numerosi manoscritti delle partiture di molte sue opere, donate da Domenico Dragonetti. La biblioteca dei Girolamini di Napoli possiede un'interessante raccolta di manoscritti che registrano le opinioni di Paisiello sui compositori a lui contemporanei, e ce lo mostrano come un critico spesso severo, soprattutto del lavoro di Pergolesi.

Napoli si appresta quindi ad accogliere i curiosi visitatori con le sue meraviglie architettoniche come la Reggia di Capodimonte, il Palazzo Reale, il Real Albergo dei Poveri, obelischi, monasteri, chiostri, le note vie del presepe, catacombe, scavi archeologici all’aperto e sotterranei, fregi monumentali, colonne medievali di antichi palazzi storici. Trecento le chiese con il relativo tesoro artistico: Caravaggio, Donatello, Giuseppe Sanmartino, Luca Giordano, Cosimo Fanzago. In conclusione si può ben dire che Napoli è da sempre caratterizzata da una storia meravigliosa e terribile al tempo stesso, disseminata di eventi altissimi, di storie degradanti, di normalità giornaliera e di fatti surreali. Uno di questi è stato narrato all’inizio di queste righe: un avvenimento che all’epoca, quanto oggi, portò stupore, meraviglia e rabbia, considerando la poca importanza data al nostro patrimonio artistico. Ma se quel portone del ‘500 non si fosse trovato in quel condominio della Pignasecca probabilmente, anzi sicuramente, non avremmo questa imponente manifestazione che ci rende famosi finalmente per qualcosa di positivo. Quindi…ben venga la follia di questa città e le sue storie surreali.

Cultura: grande successo per Comicon 2016

di Danilo D'Aponte

Che i biglietti del Comicon, per quanto concerne gli abbonamenti, siano andati via come il pane è il segno tangibile che a Napoli non esiste una cultura di serie A e di serie B, è tutto un insieme di variabili che indicano un certo risveglio culturale.

La locandina del Napoli Comicon 2016
Neanche 10-15 anni fa era improbabile immaginare folle "oceaniche" di interessati alla cultura nerd di stampo americano, così come, a suo tempo, era difficile immaginarsi tanto seguito per la vela, con le due edizioni della Coppa America ospitate nel Golfo di Napoli, o il fermento che si respira tra gli sportivi amatoriali e non per l'arrivo delle Universiadi nel 2019. O che Napoli potesse avere il suo appuntamento fisso, oltre che con la fiera del fumetto, con la Fiera del disco, DiscoDays, che si è tenuto proprio di recente nella sua versione primaverile.

Dopo iniziative per la Street Art (che in America è caldeggiata in parte dagli stessi giovani che divorano fumetti e muovono una grossa fetta di mercato), e l'invasione di opere d'arte, di cui abbiamo parlato il mese scorso, è ora il turno di esplorare un po' il passato recente e il futuro prossimo di questa "sub-cultura" che si appresta ancora una volta a deliziare l'immaginazione napoletana.

La scorsa edizione ha registrato un successo di pubblico tale da far prospettare un futuro più che roseo nel panorama italiano, e chissà, magari, prendere un giorno a modello l'inarrivabile Comic-Con di San Diego. Anche il primo cittadino, Luigi de Magistris, lo scorso anno era stato presente, in "gita di piacere" con la famiglia.

E questo è sintomo del fatto che, sebbene non sia considerata da tutti una vera e propria "cultura ufficiale" (o ufficializzata, che dir si voglia), è molto l'interesse che quest'arte muove tra gli appassionati e profani del settore. Sebbene, va detto, siano tanti anche i consueti patrocini istituzionali, nello specifico: Unione Europea, Repubblica Italiana, Regione Campania, Comune di Napoli e Provincia di Napoli, tra gli altri.

Il programma per questo XVIII Salone internazionale del fumetto (che si è tenuto dal 22 al 25 aprile presso la Mostra d'Oltremare) è diventato ancora più ricco, ed ha attratto sempre più ospiti di rilievo. Per esempio, i tantissimi appassionati di The Walking Dead (telefilm americano amatissimo dal pubblico, e relativa serie a fumetti (edita in Italia da Saldapress), hanno potuto ideologicamente abbracciare uno dei loro beniamini, l'attore Michael Cudlitz (regular dalla quinta stagione, col personaggio di Abraham Ford, uno dei sopravvissuti all'invasione zombie più amati dal pubblico).

Per restare invece in ambito fumettistico, a Napoli si e avuto il ritorno di Don Rosa (artista Disney di chiara origine italiana), che mancava dalla manifestazione da ben 13 anni. Il fumettista cresciuto col mostro sacro Carl Banks, ha incontrato i suoi fan al Teatro del Mediterraneo (all'interno della mostra), avendo modo di mostrare anche lavori inediti.

Sterminato veramente l'elenco degli ospiti (consultabile qui http://www.comicon.it/calendario-presenze-ospiti-2016), hanno spiccano alcuni nomi, tra cui (in rigoroso ordine alfabetico) Adam Kubert, l'intramontabile Milo Manara, il notissimo Silver (il cui Lupo Alberto, ancora una volta presta il volto al manifesto ufficiale della rassegna), e il sempre più popolare Zerocalcare.

Ci sono stati ovviamente nomi per tutti i gusti, non solo di fumettisti e mangaka, ma anche di personaggi noti al pubblico dei più giovani tramite internet, è il caso dello YouTuber Dario Moccia.

Ricco anche l'"antipasto" per questa manifestazione, è infatti in corso fino al 2 maggio a Villa Pignatelli la mostra La grandiosa DC Comics, su una delle più grandi case editrici al mondo, un editore che ha pubblicato le avventure di tanti supereroi. Si potranno ammirare da vicino le tavole originali di autori come Frank Miller, Todd McFarlane, Alex Ross, Jim Lee e di tanti autori.

Continua il successo di Batman v. Superman: Dawn of Justice

Il blockbuster è solo l'ultimo dei cinefumettoni che hanno sbancato al botteghino.

di Danilo D'Aponte

Nel mese del Comicon le sale italiane continuano ad assistere all'incontrastato successo di Batman v. Superman: Dawn of Justice, pellicola di Zack Snyder (già regista de L'uomo d'acciaio), che nel frattempo ha toccato quota 700 milioni di dollari nel mondo, e viaggia, non senza qualche difficoltà (di critica), verso l'obiettivo del miliardo, già raggiunto in passato da molti film dello stesso genere. Proprio il precedente lavoro del regista, alle prese con Superman, non raggiunse però tale traguardo.

Batman v Superman
 Ma se i due eroi, tra i più amati al mondo, sono solo gli ultimi a fare i fuochi d'artificio, a livello d'incassi, chi sono gli storici predecessori? E da dove è nato questo "sottogenere" ?

Se si esclude l'epoca d'oro di Hollywood, che aveva visto qualche tentativo di portare i grandi eroi dei fumetti sul grande schermo, bisogna aspettare il 1978 per vedere il primo grande successo del suo genere, Superman di Richard Donner (col compianto Christopher Reeve), vero e proprio antesignano di questo filone cinematografico. Dopo qualche tribolazione di troppo sul franchise (con film che hanno avuto un che di catastrofico, a cui si è provato a rimediare con le tanto amate Director's cut, le versioni estese per il mercato home video, che in alcuni casi possono riabilitare scempi compiuti in fase di montaggio, e post produzione più in generale).

Per avere però il primo film di Batman bisognerà attendere però circa un decennio, era il 1989 quando il visionario Tim Burton concedeva una nuova chance al crociato incappucciato. Batman (interpretato da Michael Keaton, da molti criticato per il non perfetto physique du rôle) si inseriva in un filone "dark" figlio della musica post punk/goth rock che tanto spopolava a quel tempo (coi Cure su tutti), e che aveva avuto una riflessione anche su una nuova grande epoca per il fumetto. Si lasciavano alle spalle l'epopea camp che avevo spadroneggiato per decenni, sui fumetti prima e in TV poi, col successo della serie televisiva del '66. Adam West, mattatore dello show, aveva il merito di aver sdoganato il personaggio, ma le trovate demenziali (che tanto piacevano al pubblico dell'epoca) erano oramai anacronistiche nella deprimente America di fine anni '80.

Il film di Keaton, girato in una segretezza impossibile per gli standard di comunicazione attuale, apriva le file per la consacrazione definitiva del genere, da allora con sequel più o meno riusciti (deturpati da cambi in regia non del tutto riusciti, e da forzature di marketing).

Quindi, se il filone dark trovava per Batman la consacrazione anche in una nuova serie animata (ad oggi ancora considerata un capolavoro del suo genere), e si andava perdendo sul grande schermo (almeno per quel che riguarda l'uomo pipistrello), lanciava l'assist alla concorrenza della DC (casa editrice di Batman e Superman, tra gli altri).

Dopo film e franchise di case minori, come Il Corvo e Spawn, e qualche timido tentativo con Blade e l'inaspettato successo degli X-Men (film e fumetto che strizzano all'occhio alle discriminazioni), la principale rivale della DC, la Marvel, riesce al principio degli anni '00 a far esordire un'altra icona del fumetto, Spider-Man.

È il 2002 quando il maestro della regia, Sam Raimi, coadiuvato da mezzi tecnici che erano inimmaginabili più di 20 anni prima, al tempo di Superman, rinnova il genere, con un film fresco e godibile per tutte le età.

Da allora, oltre a qualche passo falso con i "soliti" sequel, e personaggi più o meno riusciti (come Hulk) si arriva a un passaggio storico, con l'acquisizione della Marvel per conto della Disney, e la conseguente politica cinematografica di un unico grande universo condiviso.

Universo in cui a breve assisteremo alle scazzottate tra i "veterani" del grande schermo Iron Man e Captain America, coadiuvati da tantissimi personaggi che hanno avuto (o aspettano nuove pellicole a loro dedicate), come Thor (il dio derivante dalla mitologia norrena), Ant-Man, Vedova Nera, Pantera Nera e l'ennesima reinterpretazione dell'arrampicamuri Spider-Man, tra gli altri.

Per il futuro, tra telefilm che si intrecciano col grande schermo, come il successone di Daredevil, in streaming a pagamento (a sua volta già flop al cinema con Ben Affleck, ora interpete di Batman sul grande schermo) e film di preparazione a film corali (col terzo capitolo degli Avengers e della Justice League, i due principali supergruppi delle due più grandi case editrici mondiali) assisteremo a una vera e propria invasione di cinefumettoni, uno dei tanti nomignoli che questi film si sono guadagnati tra i fan del genere.


Viaggio nel Centro Direzionale di Napoli

di Marcello de Angelis


Una cabina telefonica fatta a pezzi che potremmo definire come la cosiddetta “ciliegina sulla torta”, o in modo più letterario, “la punta dell’iceberg”. La ciliegina in questione si trova di fronte al Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli e l’iceberg di cui sopra è la misura del livello di abbandono e degrado in cui è impietosamente sprofondato il Centro Direzionale nella cui zona orientale sorge, appunto, il Tribunale.

Il Centro Direzionale di Napoli
Il Centro Direzionale: quell’agglomerato urbano sito a ridosso della Stazione Centrale, nel quartiere di Poggioreale, formato quasi interamente da grattacieli, unico nel suo genere sia in Italia che in Europa meridionale. Fu concepito sostanzialmente come un’enorme operazione finanziaria finalizzata allo sviluppo di quel particolare sistema economico nato nella metà del secolo scorso e che si basava sui cosiddetti affitti immobiliari ad uso “pluridirezionale”. Le sue origini risalgono alla metà degli anni sessanta, quando il Comune di Napoli individuò nella zona orientale della città un’area industriale dismessa dell’estensione di circa 110 ettari, il luogo giusto per la costruzione di una vera e propria Cittadella Giudiziaria da adibire prevalentemente ad uso uffici con l’ulteriore risultato di urbanizzare quei territori liberati immediatamente dopo i bombardamenti del 1943 nell’area di Poggioreale.

Le torri ENEL
Nel 1982, dopo numerosi progetti bocciati, l’opera fu affidata al famoso architetto giapponese Kenzo Tange, mentre la progettazione degli altri grattacieli venne affidata ad architetti di fama internazionale come Renzo Piano, Nicola Pagliara e Massimo Pica Ciamarra. All’ingegnere Corrado Beguinot spettò il compito di progettare la Torre Telecom Italia, la più alta con i suoi 129 metri d’altezza. Il Centro Direzionale fu quindi inaugurato, ancora incompleto, il 14 maggio 1988 in presenza dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Ciriaco De Mita. Strutturalmente diviso in “isole” contrassegnate dalla lettera A alla G, è caratterizzato dallo “skyline” delle Torri gemelle Enel che ne disegnano virtualmente la porta d’ingresso oltre la quale parte un asse viario centrale sul quale si susseguono una serie di piazze, alcune delle quali adornate da fontane.

Al suo interno vennero col tempo decentrati oltre ai tanti palazzi ad uso abitativo, diversi enti pubblici, le sedi del Consiglio e della Giunta regionale della Campania, negozi di vario tipo, dalle cartolerie alla ristorazione passando per l’abbigliamento, una sede dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, una Chiesa con forme avveniristiche realizzata dall’architetto Pierluigi Spadolini, fino alla costruzione dell’attuale Palazzo di Giustizia. Esso può a ben ragione definirsi come il primo esempio di separazione netta tra un’area pedonale superficiale e il traffico automobilistico sotterraneo, essendo stato ideato su due piani distinti, legati attraverso scale mobili ed ascensori. Ai lati della rete stradale che attraversa tutta l’area sottostante sono stati ricavati una serie di parcheggi e la stazione della Circumvesuviana.

Pavimentazione in rovina al CDN
Visto dall’alto, il Centro Direzionale offre un suggestivo “colpo d’occhio” con la contrapposizione del suo moderno gruppo di grattacieli inserito nella parte antica di Napoli. Visto dal suo interno si presenta invece con uno spettacolo connotato da aspetti fortemente negativi. Innanzitutto, incredibile a dirsi per una struttura relativamente recente, il complesso è stato oggetto di un enorme errore progettuale iniziale essendo stato costruito sulla foce del fiume Sebeto, zona di conseguenza paludosa. A seguito di ripetute cementificazioni e deviazioni lungo il suo percorso, di tale corso d’acqua non resta che un fiumiciattolo, ma assolutamente in attività, tanto che lo stesso, spingendo dal basso genera veri e propri allagamenti nella parte sotterranea dei parcheggi dovuti alle continue infiltrazioni nelle pareti e provoca profonde crepe nella pavimentazione della parte sovrastante in quasi tutte le isole. Infatti, nel suo sottosuolo sono al lavoro di continuo le idrovore, onde evitare l’inondazione delle strade circostanti. Recenti studi hanno dimostrato inoltre che tutta l’area sprofonda di qualche centimetro ogni anno.


Ma oltre al disastro progettuale summenzionato, il Centro Direzionale è fortemente criticato, in primis proprio dai suoi stessi abitanti e da chi giornalmente vi lavora, anche per l’evidente stato di degrado in cui versa. In effetti esso mostra un evidente stato di trascuratezza: sporcizia e incuria si possono rilevare in ogni angolo, residui di spazzatura disseminata un po’ ovunque tra aiuole, fioriere e fontane già di per sé sporche. Gli ascensori che portavano dal piano pedonale a quello stradale sottostante sono quasi tutti bloccati e le scale mobili ferme o devastate, divenute ricettacolo per rifiuti di ogni tipo e utilizzate come quartier generale dagli zingari. Già dalle ore tardo pomeridiane, si presenta come una zona socialmente degradata e abbandonata a sé stessa, ad alto rischio di rapine. Ciò perché il complesso è scarsamente illuminato, assolutamente privo di controlli, tanto da rendere pericolosissimi soprattutto i parcheggi sotterranei. La zona centrale dei giardinetti poi, che potrebbe costituire un’area per il divertimento dei più piccoli, è divenuta inaccostabile per la continua presenza di figure poco raccomandabili. A chi dare la colpa di un simile spettacolo di totale abbandono? Nella struttura lavorano diversi soggetti atti a fornire servizi di pulizia e manutenzione come l’Asia e la Napoli Servizi che, sottoposti a tale domanda rispondono con un impetuoso turbinìo di “competenze”. La Napoli Servizi ha affermato che la pulizia delle fontane e delle aiuole non rientra nelle sue competenze, così come deve occuparsi delle potature e innaffiature del verde pubblico ma non anche della raccolta della spazzatura depositata in aiuole e fioriere. Oggi, con la presenza del Comune nelle aree pubbliche, occorre ancor più collaborazione, dialogo e sinergia tra le forze in campo per assicurare piena vivibilità alla Cittadella. Il bene collettivo è da mettere sempre al primo posto e al di sopra di tutto e di tutti, cercando di evitare l’inevitabile valzer di competenze che si viene a scatenare quando cambia lo scenario e si passa da un panorama comodo ed edonistico di “costruire” o “inaugurare” a quello più insidioso e meno di facciata di “riparare” o “chiudere”. Il progetto futuro è quello di espandere ancora il Centro Direzionale verso la sua parte posteriore al posto dell’odierno mercato ortofrutticolo, con la nascita di servizi per l’intrattenimento ed aree verdi, tra cui un laghetto dotato di chalet, una piscina coperta e attrezzature sportive. Ma l’idea, la convinzione e la certezza rimangono sempre le stesse: è anormale anche solo pensare di portare avanti un tale progetto già attualmente fallimentare in una città dove esistono ancora impalcature risalenti ai danni causati dal terremoto del 1980. È lampante che al giorno d’oggi, anziché investire ulteriori fondi pubblici in una nuova opera, sarebbe meglio ristrutturare e portare la vita cittadina ad un livello di “normalità” pari a qualsiasi altra città italiana, anziché costruire opere avveniristiche e mastodontiche per poi abbandonarle ad un disfacimento inevitabile.

Con una probabilità quasi pari alla certezza nel mentre queste righe vengono scritte quella cabina telefonica fatta a pezzi sarà già stata riparata e messa in funzione, ma solo perché si trova nel centro di una piazza frequentata ogni giorno da migliaia di professionisti: Avvocati, Magistrati, Praticanti e tutto l’universo che ruota intorno ad un Tribunale imponente come quello napoletano. Sicuramente la visione d’insieme sarà di nuovo ripristinata e la punta dell’iceberg sarà stata limata. Già, ma l’intero ghiacciaio di decadenza urbana e sub-urbana permane in tutta la sua fatiscenza.

“Museo Totò”: tra cultura ed identità

di Antonio Cimminiello

Napoli, come è noto, vive di simboli. Ed oggi tra le “cartoline” nel mondo della città partenopea, oltre al Vesuvio ed alla pizza c’è sempre spazio per il “Principe della risata” per eccellenza: Totò. La città che ha dato i natali ad Antonio De Curtis non è certo priva di testimonianze che rendono vivo il suo ricordo: dalla lapide commemorativa in Via Santa Maria Antesaecula (dove nacque Totò) fino alla dedica di opere architettoniche come la “fontana delle paparelle” in Piazza Cavour. Ma da tempo si avverte la necessità di dedicare uno spazio dove ammirare direttamente gli oggetti di ogni tipo che hanno accompagnato la carriera e la vita del comico napoletano, e cioè creare un vero e proprio Museo.

L’intenzione è molto risalente nel tempo, e per venti lunghi anni ha rischiato non solo di rimanere lettera morta, ma di rappresentare un’ennesima dimostrazione dell’inefficienza della burocrazia nel creare luoghi di aggregazione, e soprattutto quelli dove si manifesta principalmente l’identità “made in Naples”. Le ultime notizie, invece, sembrano essere più che confortanti: è in dirittura d’arrivo la conclusione dell’iter procedimentale, grazie all’imminente rilascio delle autorizzazioni indispensabili per il completamento dei lavori di adeguamento. Come anticipato, tale iter inizia tempo fa con l’acquisto, ad opera del Comune di Napoli e della Regione Campania, di una parte del “Palazzo dello Spagnolo” un caratteristico edificio costruito nel 1738 e dall’immenso ed ancora attuale valore sociale e culturale (già location, tra le altre cose, del musical “Passione” di John Turturro).

Negli anni sono stati compiuti lavori di ristrutturazione interna senza mai arrivare tuttavia ad un’apertura del Museo. Anzi, si è rischiato di sfociare nella solita vicenda “all’italiana” quando nel 2010 si svolse una strana inaugurazione, che vide aperto il Museo Totò privo di qualsivoglia cimelio e per poche ore. In verità la svolta si è manifestata in un certo senso nel Dicembre del 2014 con l’approvazione, a cura del Comune di Napoli, di una delibera con cui sono stati destinati ben più di 430.000 Euro per la realizzazione dei lavori finali (ascensore ed opere di adeguamento). E’ anche vero che la vicenda nel tempo ha catalizzato l’attenzione di tanti, il cui sforzo economico e non ha assunto un notevole rilievo, dalla Fondazione De Curtis -e dalla stessa Liliana De Curtis, figlia dell’indimenticato attore e principale promotrice del progetto - al Fondo Ambiente Italiano. Il peggio quindi sembra essere passato, ci sono ancora alcuni ostacoli da superare (come il parere definitivo dell’assemblea condominiale all’installazione dell’ascensore ed il via libera ai lavori indicati dalla Sovrintendenza, trattandosi come detto di edificio di valore culturale) ma trapela ottimismo in ordine ad una possibile e definitiva apertura entro il 2016. Sperando che l’invocata efficienza delle istituzioni locali possa dare veramente lustro al ricordo di “…comico impareggiabile per la sua mimica, uomo di nobili sentimenti, poeta insigne, fra quelli che l'Italia può contrapporre ai maggiori artisti del mondo”.

Il ricordo di Antonio De Curtis dalle pagine del Paese Sera


di Antonio Lepre


La Città di Napoli ha festeggiato, forse non nel pieno rispetto dovuto, il quarantanovesimo anno della dipartita di Antonio De Curtis, in arte Totò. Il principe della risata scomparve il 15 aprile del 1967 stroncato da un infarto dopo una lunga agonia. Totò ebbe tre funerali, il primo a Roma nella chiesa di Sant’Eugenio, mentre il secondo lo ebbe a Napoli. Quest’ultimo fu un funerale veramente cittadino, infatti oltre a partecipare i grandi nomi dello spettacolo napoletano, e non solo, partecipò un’intera popolazione; le cronache dell’epoca parlavano di circa duecento cinquanta mila persone presenti al funerale nella Città di Napoli. Il terzo ed ultimo funerale lo ebbe nel suo quartiere, il Rione Sanità, funerale quest’ultimo voluto dal guappo del Rione, ma la bara era vuota. In ultima istanza, per quanto riguarda la morte di Totò, è interessante ricordare le parole che Eduardo De Filippo gli rivolgeva sulle pagine del quotidiano romano Paese Sera nell’articolo dal titolo E’ morto Totò. 

"Oggi è morto Totò. E io, quattordicenne di nuovo, a passo lento risalgo la via Chiaia, e giù per il Rettifilo, attraverso piazza Ferrovia. Entro per la porta del palcoscenico di quello sporco locale che a me pare bello e sontuoso, raggiungo il camerino, mi siedo e mentre aspetto ascolto a distanza la sua voce, le note della misera orchestrina che lo accompagna e l’uragano di applausi che parte da quella platea esigente e implacabile a ogni gesto, ogni salto, ogni contorsione, ogni ammiccamento del “guitto”. Do un’occhiata attorno; il fracchettino verde, striminzito, è lì appeso a un chiodo: accanto c’è quello nero. Quello rosso glielo vedrò indosso tra poco, quando avrà terminato il suo numero. I ridicoli cappellini… A bacchetta, a tondino… e nero, marrone, e grigio… sono tutti allineati sulla parete di fronte. ..Manca il tubino: lo vedrò tra poco. Il bastoncino di bambù non c’è: lo avrà portato in scena. E lì, sulla tavoletta del trucco? Cosa c’è in quel pacchetto fatto con la carta di giornale? È la merenda, pane e frittata. E la miserabile musica continua, e la sua voce diventa via via ansiosa di trasportare altrove quella orchestrina, di moltiplicarla. Dal bugigattolo dove mi trovo non mi è dato vederlo lavorare, ma di sentirlo e immaginarlo com’è, come io lo vedo come vorrei che lo vedessero gli altri. Non come una curiosità da teatro, ma come una luce che miracolosamente assume le fattezze di una creatura irreale che ha facoltà di rompere, spezzettare e far cadere a terra i suoi gesti e raccoglierli poi per ricomporli di nuovo, e assomigliare a tutti noi, e che va e viene, viene e va, e poi torna sulla Luna da dove è disceso. Ora sono travolgenti gli applausi e le grida di entusiasmo di quel pubblico: il numero è finito. Un rumore di passi lenti e stanchi si avvicina, la porticina del bugigattolo viene spinta dall’esterno. Egli deve aprire e chiudere più volte le palpebre e sbatterle per liberarle dalle gocce di sudore che gli scorrono giù dalla fronte per potermi vedere e riconoscere, e finalmente dirmi: ” Edua’, stai cca’! ” E un abbraccio fraterno che nel tenerci per un attimo avvinti ci dava la certezza di sentire reciprocamente un contatto di razza. E le quattro chiacchiere, quelle riguardavano noi due, le abbiamo fatte ancora per anni, fino a pochi giorni fa"

Parole migliori per celebrare l’anniversario della scomparsa di Totò non si possono trovare. Tutto è stato detto dal grande Eduardo.

martedì 19 aprile 2016

La Città Metropolitana di Napoli a Tunisi

di Massimiliano Pennone


Rilancio del turismo, consolidamento delle relazioni e degli scambi economici, sociali e culturali tra la Città Metropolitana di Napoli e la Tunisia: sono stati questi i temi affrontati nel corso della due giorni che ha visto l’Ente di piazza Matteotti – rappresentato da Alfonso Ascione, Consigliere delegato al Turismo dal Sindaco Metropolitano, Luigi de Magistris - guidare in qualità di partner istituzionale una delegazione di più di 200 partecipanti tra tour operators, operatori commerciali, rappresentanti di Aziende autonome di soggiorno e turismo ed Ept provenienti da tutta Italia nel Workshop promosso dal Governo tunisino attraverso l’Ente Nazionale Tunisino per il Turismo e Tunisair per far scoprire le bellezze di quella terra ma soprattutto per far toccare con mano gli sforzi che sta profondendo sul piano della sicurezza interna dopo i tragici attentati avvenuti lo scorso anno in varie località.

Il flusso dall’Italia verso la Tunisia è passato dai 400mila visitatori degli inizi degli anni duemila ai circa 250mila annui del triennio 2012-2014, con ulteriori forti contrazioni per il 2015, i cui numeri non sono stati ancora diffusi; minore invece è stata la flessione sul piano dei rapporti economici, vista la sostanziale stabilità dell’import-export ed il calo contenuto delle iniziative imprenditoriali italiane in generale e campane in particolare in quei territori.

La visita ha costituito l’occasione per le autorità locali di mostrare il patrimonio storico, paesaggistico, culturale della Tunisia, il suo artigianato e la sua gastronomia: la capitale con il Museo del Bardo, la sua Medina, i suoi palazzi, le rovine di Cartagine con le Terme di Antonino protese sul mare, villaggi come Sidi Bou Said con le sue case bianche dai merletti azzurri, Hammamet, più a sud, luogo di villeggiatura particolarmente apprezzato dagli italiani per la capacità di coniugare mare e montagna, per il suo dedalo di vicoli all’ombra della fortezza e per l’accoglienza del suo popolo.

lunedì 11 aprile 2016

Mediterraneo e dintorni, XIII edizione. Natura e benessere nella Reggia di Carlo di Borbone


di Massimiliano Pennone

Dal 30 aprile al 1 maggio si rinnova nella splendida cornice dell’Orto Botanico del Sito Reale di Portici l’appuntamento con Mediterraneo e dintorni, giunta alla sua tredicesima edizione. La manifestazione sarà dedicata quest’anno a Carlo di Borbone, uno dei maggiori protagonisti della grande stagione storica del Settecento europeo, primo sovrano della dinastia che dal 1734 s’insediò sul trono del Regno di Napoli e del quale ricorre quest’anno il terzo centenario della nascita. 

Carlo, insieme alla consorte Maria Amalia di Sassonia, volle la costruzione della Reggia di Portici, facendo di questo Palazzo uno splendido esempio di residenza reale in Europa. Dal 1872 al suo interno venne istituita la Scuola Superiore di Agricoltura - che nel 1935 diviene Facoltà di Agraria della Università di Napoli Federico II.

Nel giardino superiore della Reggia fu fondato l’ Orto Botanico. Il tema della manifestazione, legato alla natura, al benessere e all’alimentazione verrà sviluppato all’interno degli spazi settecenteschi dove, nell’incantevole ambientazione di una natura primaverile, saranno presenti espositori di piante, oltre a numerosi stand provenienti dal territorio regionale dedicati all’alimentazione di qualità e alle produzione olearie e vinicole campane. Tra le novità, i profumi e le spezie della Provenza e i sapori di Serafino, vera e propria appendice culinaria della Sicilia approdata a Napoli, dalle fritture di pesce alle arancine della tradizione, dalle panelle alle granite al pane cunzato e ai cannoli farciti al momento, un viaggio tra i sapori della cultura e della tradizione dell’antica Trinacria.
  
Nei giorni della mostra sarà aperto lo splendido Herculanense Museum che ripropone l’originaria vocazione museale della Reggia e sarà visitabile la suggestiva collezione delle Macchine agricole. Importante novità di quest’anno è la collaborazione instaurata con il Museo Nazionale di Pietrarsa, grazie alla quale si potrà usufruire di un biglietto integrato che permetterà di abbinare l’ingresso a “Mediterraneo e dintorni” a quello del sito di Pietrarsa.