di Gian Marco Sbordone
La cronaca nera a Napoli è purtroppo da sempre drammaticamente ricca. Dagli anni 80’ viene stilato un resoconto annuale dei morti ammazzati che fa rabbrividire. Oggi, se è vero che le statistiche appaiono ben più “positive” rispetto ai terribili anni delle guerre tra i cutoliani e i loro avversari, si assiste tuttavia a fenomeni quotidiani di violenza inaudita che determinano, nella popolazione, un senso profondo di paura e insicurezza.
Con termine gergale si parla di “stese”. Si tratta di spari, con pistole e mitragliette, che i guaglioni della camorra indirizzano generalmente verso abitazioni e negozi semplicemente per dare segnali di forza, di potenza e prepotenza. Queste raffiche vogliono dire :”attenti che siamo noi i più forti, adeguatevi.” E’ successo in molti quartieri cittadini, con conseguenze talvolta nefaste: alcuni innocenti, come a Piazza Calenda e alla Sanità, ci hanno rimesso la vita.
Le “stese” sono un fenomeno nuovo, da ascriversi alla nuova camorra, quella sorta dalle ceneri dei vecchi clan, decimati da ammazzamenti ed inchieste giudiziarie. Ed è una camorra senza regole, quella dei baby boss, che non si preoccupa di evitare di fare morti innocenti, né fa valutazioni strategiche.
E questa camorra sregolata fa veramente paura perché induce a ritenere, in ultima analisi, che non è sufficiente essere persone perbene per non finire vittime inconsapevoli di un agguato camorristico. Come è successo a Ponticelli, ove il giovane Ciro Colonna, di 19 anni, è morto solo per essersi trovato in un circolo nel momento in cui i Killer hanno fatto fuoco per eleminare un boss locale.
Naturalmente i danni provocati da questa emergenza criminale sono anche più generali, perché ne risulta pesantemente offuscata l’ immagine della città, in Italia e all’ estero, con conseguenze evidenti sugli investimenti economici e sul turismo.
Cosa fare? Cosa sperare? In realtà siamo stanchi e disillusi. Anche di sentire parole roboanti sui massicci rinforzi di poliziotti e carabinieri, nonché dell’immancabile Esercito, che dovrebbe con la sua presenza risolvere tutti i problemi di criminalità, di qualsiasi tipo, a Napoli come altrove. Con tutto il rispetto per le Forze dell’ Ordine e per l’ Esercito italiano, purtroppo non è così. Perché la realtà è ben più complessa, e anche la possibile soluzione lo è.
La partecipazione sociale e popolare alla lotta contro la malavita e l’illegalità è importantissima e non va disconosciuto che essa ha avuto un ruolo fondamentale, soprattutto in Sicilia, contribuendo a costituire una nuova base sociale e culturale. E’ tuttavia evidente che questa partecipazione da sola non basta.
C’è un problema enorme, che va affrontato con urgenza. Certezza delle pene, certo, ma anche pene adeguate. E c’è un problema, e questo è senz’altro l’aspetto più drammaticamente complicato, che riguarda l‘esigenza di rinnovare dalle fondamenta la società napoletana.
Occorrono investimenti enormi, in termini economici ed in termini di cultura. Bisogna affrontare la situazione di chi non ha altre strade che quella della criminalità e del malaffare ed individuarne una alternativa. L’alternativa si costruisce garantendo una sicurezza economica e sociale ed anche, naturalmente, con il proporre in modo credibile modelli di riferimento diversi. Anche questi sono discorsi fatti e sentiti mille volte, e tuttavia avvertiamo il dovere morale di continuare a farli, affinchè la rassegnazione non ci prenda e sommerga tutti: allora sarebbe veramente la fine.
Con termine gergale si parla di “stese”. Si tratta di spari, con pistole e mitragliette, che i guaglioni della camorra indirizzano generalmente verso abitazioni e negozi semplicemente per dare segnali di forza, di potenza e prepotenza. Queste raffiche vogliono dire :”attenti che siamo noi i più forti, adeguatevi.” E’ successo in molti quartieri cittadini, con conseguenze talvolta nefaste: alcuni innocenti, come a Piazza Calenda e alla Sanità, ci hanno rimesso la vita.
Le “stese” sono un fenomeno nuovo, da ascriversi alla nuova camorra, quella sorta dalle ceneri dei vecchi clan, decimati da ammazzamenti ed inchieste giudiziarie. Ed è una camorra senza regole, quella dei baby boss, che non si preoccupa di evitare di fare morti innocenti, né fa valutazioni strategiche.
E questa camorra sregolata fa veramente paura perché induce a ritenere, in ultima analisi, che non è sufficiente essere persone perbene per non finire vittime inconsapevoli di un agguato camorristico. Come è successo a Ponticelli, ove il giovane Ciro Colonna, di 19 anni, è morto solo per essersi trovato in un circolo nel momento in cui i Killer hanno fatto fuoco per eleminare un boss locale.
Naturalmente i danni provocati da questa emergenza criminale sono anche più generali, perché ne risulta pesantemente offuscata l’ immagine della città, in Italia e all’ estero, con conseguenze evidenti sugli investimenti economici e sul turismo.
Cosa fare? Cosa sperare? In realtà siamo stanchi e disillusi. Anche di sentire parole roboanti sui massicci rinforzi di poliziotti e carabinieri, nonché dell’immancabile Esercito, che dovrebbe con la sua presenza risolvere tutti i problemi di criminalità, di qualsiasi tipo, a Napoli come altrove. Con tutto il rispetto per le Forze dell’ Ordine e per l’ Esercito italiano, purtroppo non è così. Perché la realtà è ben più complessa, e anche la possibile soluzione lo è.
La partecipazione sociale e popolare alla lotta contro la malavita e l’illegalità è importantissima e non va disconosciuto che essa ha avuto un ruolo fondamentale, soprattutto in Sicilia, contribuendo a costituire una nuova base sociale e culturale. E’ tuttavia evidente che questa partecipazione da sola non basta.
C’è un problema enorme, che va affrontato con urgenza. Certezza delle pene, certo, ma anche pene adeguate. E c’è un problema, e questo è senz’altro l’aspetto più drammaticamente complicato, che riguarda l‘esigenza di rinnovare dalle fondamenta la società napoletana.
Occorrono investimenti enormi, in termini economici ed in termini di cultura. Bisogna affrontare la situazione di chi non ha altre strade che quella della criminalità e del malaffare ed individuarne una alternativa. L’alternativa si costruisce garantendo una sicurezza economica e sociale ed anche, naturalmente, con il proporre in modo credibile modelli di riferimento diversi. Anche questi sono discorsi fatti e sentiti mille volte, e tuttavia avvertiamo il dovere morale di continuare a farli, affinchè la rassegnazione non ci prenda e sommerga tutti: allora sarebbe veramente la fine.
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