di Marcello de Angelis
Era il 1977 quando Maurizio Costanzo dal palco televisivo di “Bontà Loro” presentò al grande pubblico l’esordio letterario di un napoletano quasi cinquantenne, ingegnere e dirigente dell’IBM. Il libro era “Così parlò Bellavista” e quell’esordiente era Luciano De Crescenzo, classe 1928, napoletano D.O.C. del quartiere Santa Lucia: geniale e sagace umorista della vita moderna, filosofo e libero pensatore.

Attraverso lo sguardo ironico del suo alter-ego letterario, il Professor Gennaro Bellavista con quel suo manipolo di personaggi davvero surreali, De Crescenzo ci ha regalato un nuovo punto di vista sulla vita a Napoli anzi, per essere precisi, ha confezionato l’immagine di una “napoletanità” ricca di stereotipi positivi e negativi divisi tra una città buona, semplice e umana del passato e quella feroce del presente, che distrugge tutto quel poco di poesia e umanità che ancora si potrebbe scorgere.
Una novità letteraria capace di vendere
più di 600.000 copie e di essere tradotta addirittura in giapponese. Dopo un tale improvviso successo, De Crescenzo abbandona la sua lunga esperienza di ingegnere e decide di lanciarsi a tutto tondo nel mondo dell’arte: ben presto, infatti, aggiunge al settore della narrativa umoristica quello della divulgazione, illustrando, con un linguaggio semplice ed efficace, anche al lettore più inesperto, i problemi sollevati dalla filosofia antica.
Proprio nel corso degli
anni Ottanta e Novanta ha condotto sulle reti RAI degli approfondimenti televisivi sui miti e sulle leggende degli antichi greci di cui ne era pure autore. La sua poliedrica fantasia lo porta anche ad essere sceneggiatore, insieme a Renzo Arbore (con cui collabora già in radio), dei film “Pap’occhio” e “FFSS”. Recita accanto a Sophia Loren e Luca De Filippo in “Sabato, Domenica e Lunedì” di Lina Wertmuller e gira, nelle duplici vesti di regista ed interprete, quattro film tratti dai suoi altrettanti romanzi: il già citato “Così parlò Bellavista” (con cui vince due David di Donatello tra cui quello come miglior regista esordiente), il suo seguito “Il mistero di Bellavista”, “32 Dicembre” e “Croce e delizia”.
Unico comun denominatore dell’intera produzione di Luciano De Crescenzo rimane sempre quel suo
personalissimo modo di raccontare le vicissitudini dell’animo umano, attraverso un’analisi narrativo-filosofica che parte dalla Grecia e arriva a Napoli, e che si basa su due pilastri ben piantati a terra: l’amore e l’ironia. Le sue dissertazioni sono ricche sia di battute, sia di amare verità ed hanno affrontato i temi più essenziali inerenti alla figura umana. Come ad esempio lo
studio della religione, affermando che il saggio non nega e non afferma, non si esalta e non si abbatte, non crede né all'esistenza di Dio, né alla sua inesistenza, il saggio non ha certezze, ha solo ipotesi più o meno probabili. Oppure come lo
studio sul tempo in quanto tale: sul fatto che tutto passa, compresa la bellezza
“con l’andare avanti anche il bello diventa meno bello e il brutto meno brutto. Bellezza e bruttezza, infatti, sono caratteristiche dei primi approcci ed in seguito tendono ad avvicinarsi”. Ma interessanti riflessioni sono nate anche intorno alla vita stessa e al suo scorrere:
“molti studiano come allungare la vita, quando invece bisognerebbe allargarla vivendo sempre nuove esperienze, senza fossilizzarsi mai. Infatti la lunghezza effettiva della vita è data dal numero di giorni diversi che un individuo riesce a vivere. Quelli uguali non contano”.
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La copertina dell'ultimo libro di De crescenzo |
All’amore è dedicata la sua ultima fatica letteraria, nata in libreria ai primi di giugno, ed accolta con affetto da pubblico e critica. Si tratta di “Non parlare, baciami. La Filosofia e l’Amore”, un arguto insieme di riflessioni su quel misterioso e al contempo sublime sentimento che spesso ci spinge a comportamenti privi di senso o esagerati, anche se lo stesso afferma che “la parola esagerazione non esiste nel vocabolario dell'amore”. Partendo dal celeberrimo assunto Cartesiano “cogito ergo sum” (dato che l’uomo ha la facoltà di pensare, di dubitare…quindi esiste), De Crescenzo dichiara “Amo, ergo sum”: amo, ed è grazie a questo amore che “sono”, quindi esisto. Ovviamente non è che se non si ama non si esiste ma la vita, se la affrontiamo da innamorati, è di sicuro più interessante e più allegra.
Per lo scrittore amare è dedizione, conoscenza, passione e condivisione delle felicità così come delle difficoltà. È fondamentale presenza nella vita di ogn’uno di noi ma, grottesco risvolto della medaglia, ha in sé anche una immensa potenza distruttiva. I rapporti d’amore sono una cosa a dir poco complicata e saper amare qualcuno non solo è una vera propria arte ma, in alcuni casi, richiede un impegno degno di uno stratega. Un impegno che diventerà davvero arduo quando ci si sentirà insofferenti alla presenza della persona amata, cosa che non dipenderà necessariamente da un’improvvisa carenza della passione, ma dallo spirito libero che è in ognuno di noi e avrà avuto momentaneamente la meglio. Per dirla come il poeta Ovidio, può capitare di essere sopraffatti dal desiderio di libertà, dal voler semplicemente proteggere la propria sfera intima. Ciò accade perché in ognuno di noi convivono sia sentimenti d'amore che di libertà. E qui torna la suddivisione Decrescenziana tra uomini d’amore e uomini di libertà, a secondo “se si preferisce vivere abbracciati gli uni con gli altri, come i napoletani, oppure si preferisce vivere da soli e non essere scocciati, tipo i milanesi”.
In parole povere per De Crescenzo innamorarsi non conviene. Meglio l’amicizia, afferma. E per sottolineare questa sua idea rincara la dose affermando che in ogni relazione amorosa c'è sempre uno che soffre e l'altro che si annoia, e questo perché l'amore inizia contemporaneamente per poi finire in tempi diversi. L’amicizia è, inoltre, un sentimento più vicino alla sua natura di un uomo libero. Quella vera, dura più a lungo e cresce con il passare degli anni. D’altra parte ciò di cui abbiamo veramente bisogno non è la passione, ma la possibilità di comunicare con un altro essere umano. Di uno, insomma, che ci capisca e con il quale si possa entrare in sintonia. Anche se, dichiara tra le righe, che l’età lo sta facendo diventare un uomo d’amore e che la compagnia di altri esseri umani, in fondo, non è poi così male.

Punto centrale di ogni sua opera resta in ogni caso Napoli, quell’intricato sistema di vite che ama e critica, che descrive come una culla della cultura ormai logorata dalle tristi traversìe che ha dovuto sopportare nel corso dei secoli, in cui non bisogna mai farsi condizionare dai pregiudizi. E proprio per questo il suo pensiero sulla Città è diverso da quello di molti suoi colleghi scrittori. De Crescenzo punta molto più in alto, ha una idea aulica che sovrasta, come in volo, la degradata realtà in cui è sprofondata. Per lui non è “la Città” di Napoli. È molto di più. È una componente dell’animo umano che sa di poter trovare in tutte le persone, siano esse napoletane o no. Egli non si astiene dal denunciare, col suo inimitabile stile linguistico tutte le pecche di un luogo fuori dal tempo, che ormai trascende dalla realtà e si trasforma in pura idea, addirittura oserei dire, in puro ideale.
Ed è da questa straordinaria concezione che De Crescenzo ha della nostra Città che nasce la superba battuta conclusiva del suo primo film, recitata proprio dal suo Prof. Bellavista bloccato nell’ennesimo ingorgo di auto “a croce uncinata” e che racchiude tutto il suo pensiero sul capoluogo partenopeo: “Ciononostante, in questo mondo del progresso, in questo mondo pieno di missili e di bombe atomiche, io penso che Napoli sia ancora l'ultima speranza che ha l'umanità per sopravvivere!...Però che traffico…!”.