di Antonio Cimminiello

Da anni il territorio ricadente nella giurisdizione dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio ha rappresentato terra franca per la commissione dei reati più vari, dalla coltivazione clandestina ed “occultata” di stupefacenti fino ai più classici casi di smaltimento illecito di rifiuti e abusivismo edilizio. Proprio con riferimento a quest’ultimo (tra l’altro fenomeno dalla doppia pericolosità, dato che il Vesuvio, come è noto, rappresenta un vulcano ancora in attività) recentemente l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio ha provveduto alla notifica di più delibere di dispossessamento e sgombero aventi ad oggetto proprio gli immobili costruiti abusivamente.
L’adozione di tali delibere ha acquisito un rilievo centrale: non è un caso infatti che stia sempre più prendendo corpo l’ipotesi investigativa secondo cui la diffusione dei recenti roghi sul Vesuvio rappresenti una sorta di “ritorsione” all’adozione dei provvedimenti sopra ricordati. Segno, quest’ultimo, dell’incidenza che, sicuramente, ha finito con l’avere l’operato dell’Ente, seppur tra tante difficoltà.
Quella che in apparenza può manifestarsi come un’attività burocratica e silenziosa racchiude invece una notevole importanza, pari a quella delle pur importanti e più “pubblicizzate” operazioni predisposte dalle forze di polizia. E’ ancora vivo il ricordo del tentato agguato avvenuto nel Maggio scorso in Sicilia tra Cesarò e San Fratello ai danni di Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, molto probabilmente “colpevole” di aver dato attuazione ai cosiddetti protocolli di legalità al fine di non permettere la concessione di ampie zone di pascoli a criminali mafiosi. “Il mio impegno non si ferma e vado avanti", fu la risposta di Antoci. Segno che la salvaguardia di beni fondamentali, che vanno dalla civile convivenza alla tutela dell’ambiente, passa anche per l’adempimento “silenzioso” del proprio dovere istituzionale, soprattutto in realtà (e quella vesuviana vi rientra a pieno titolo) tanto affascinanti quanto delicate.
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