giovedì 29 settembre 2016

Città metropolitana di Napoli: verso le elezioni del 9 Ottobre


di Marcello de Angelis

Palazzo Matteotti - sede della Città Metropolitana di Napoli
Se è vero che gli esami non finiscono mai, anche le elezioni non sono da meno. Ed infatti subito dopo la tornata elettorale riguardante i sindaci di gran parte delle città italiane, che ha visto la novità delle “pentastellate” Virginia Raggi a Roma, di Chiara Appendino a Torino e la grandissima riconferma a Napoli dell’uscente sindaco Luigi de Magistris, le forze politiche napoletane stanno affilando le armi in vista delle elezioni della Città Metropolitana che si terranno il prossimo 9 di Ottobre, presso l'ufficio elettorale costituito nella sede di Piazza Matteotti, ovvero il palazzo della ex Provincia.
Le città metropolitane sono degli enti locali territoriali previsti nella Costituzione italiana all'articolo 114 (legge costituzionale n. 3/2001 che prevedeva la riforma del Titolo V della Costituzione). Furono ipotizzati per la prima volta dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 come un secondo livello di amministrazione locale oltre ai comuni. Dopo incredibili lungaggini burocratiche è toccato al Governo Renzi varare la legge n. 56/2014 (la cosiddetta “legge Delrio”), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 7 aprile 2014. È stata così prevista, nelle regioni a statuto ordinario, l’istituzione di 10 enti di vasta area, ovvero le città metropolitane di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Reggio Calabria e Napoli. Quest’ultima già dal 2005, in attesa dei decreti attuativi, aveva avviato con una serie di delibere l'abolizione delle 21 circoscrizioni cittadine suddividendo il territorio in 10 Municipalità di circa centomila abitanti. La delimitazione territoriale del nuovo ente doveva identificarsi con quella della relativa Provincia contestualmente soppressa. Nelle regioni a statuto speciale di Sardegna e Sicilia i nuovi enti sono regolati con legge regionale (che deve comunque adattarsi alle direttive generali della legge statale). 

I tre organi che costituiscono il corpo della Città Metropolitana sono: il Sindaco, che è di diritto quello del Comune capoluogo, la Conferenza Metropolitana e il Consiglio. Quest’ultimo dura in carica cinque anni e, in caso di rinnovo della Giunta comunale, si procede a nuove elezioni entro sessanta giorni dalla proclamazione del Primo Cittadino in modo tale che, ad eccezione della prima applicazione, le elezioni metropolitane seguiranno sempre quelle comunali. Proprio quello che è accaduto dopo la riconferma di de Magistris dello scorso 19 Giugno. Il Consiglio è composto dal Sindaco e da ventiquattro Consiglieri (nelle città metropolitane con popolazione residente superiore a 3 milioni di abitanti). Sono eleggibili i Sindaci e i Consiglieri comunali in carica alla data corrispondente al termine finale fissato per la presentazione delle liste e sono eletti a suffragio ristretto dai Sindaci e dai Consiglieri comunali nell'ambito della Provincia. 

L'elezione del prossimo 9 Ottobre avverrà sulla base di sei liste concorrenti, regolarmente presentate entro il termine di scadenza e su cui, come da prassi, l'Ufficio Elettorale competente, dopo aver verificato l’ammissibilità delle stesse, ha effettuato il sorteggio relativo al numero d'ordine (in base al quale le liste ed i relativi contrassegni saranno riportati sulle schede elettorali). Lo schieramento si presenta in questo modo: 

1) Forza Italia, 

2) Napoli Popolare; 

3) PD - Partito Democratico; 

4) Noi Sud; 

5) Movimento 5 Stelle; 

6) Lista "con de Magistris" di diretta derivazione delle forze che hanno contribuito alla vittoria del sindaco e che comprende: Verdi- la Città- Dema- In Comune a Sinistra- Riformisti Democratici
 

Abbiamo presentato una lista rappresentativa dell’area napoletana, abbiamo raggiunto un ottimo risultato. Ci sono 18 candidati con una presenza minoritaria di Napoli, abbiamo infatti scelto di dare spazio ai Comuni della Provincia” ha così spiegato il Consigliere comunale di Napoli, David Lebro, candidato alla riconferma del ruolo di Consigliere Metropolitano: una importante attenzione riservata al principio di rappresentatività territoriale di una realtà che conta ben 92 comuni che vanno tutti ugualmente tutelati e rappresentati. 

La nascita di questa lista unica ha permesso di riunire le due precedentemente in campo: “demA” e “de Magistris Sindaco” e di superare, almeno per il momento, i malcontenti sorti dopo le elezioni comunali e che riguardavano un ipotetico “rimpasto” nella giunta di Palazzo San Giacomo, consistente nell’aprire le porte a quelle nuove forze che hanno contribuito in modo fondamentale alla vittoria di de Magistris. Tra questi spiccano i “Verdi”, il gruppo dei riformisti di Gabriele Mundo e proprio David Lebro (che nella recente redistribuzione delle deleghe dell’ex Provincia ha visto riconfermarsi gli incarichi inerenti i Lavori pubblici, infrastrutture, patrimonio e difesa delle coste), il quale, fin da subito, ha giustamente chiesto al Sindaco spazio per il suo partito, “La Città”. Una realtà politica capace di contare su un numero di 13 Consiglieri municipali (tra nuovi eletti e riconfermati) e con le carte in regola per dare una vera spinta di rinnovamento auspicata dallo stesso de Magistris subito dopo la sua rielezione. 

Il primo cittadino ha congelato ogni discussione almeno fino a dopo le votazioni dichiarando di non voler lasciare i molti lavori già avviati dagli attuali assessori. Il rischio reale è che si arrivi, subito dopo le elezioni, ad un muro contro muro e quindi all'impasse in Consiglio Comunale.  A prescindere da tutto, un cambiamento forte comunque ci sarà, anche se solo logistico. Infatti è intenzione del Comune trasferire la sede della Città Metropolitana e del Consiglio a Scampia dopo la ristrutturazione del Lotto M, ovvero l’abbattimento delle “Vele” A, C e D e la riqualificazione della B che ospiterà la nuova giunta metropolitana. Staremo a vedere. Per il momento occhio alle urne.

(Fonte: www.cittametropolitana.na.it)


sabato 24 settembre 2016

Napoli tra “stese” e Olimpiadi


di Marcello de Angelis

E fu così che anche l’inosabile fu osato. È la notte tra il 6 e il 7 settembre scorso quando, intorno alle 2 un gruppo di malviventi in sella a degli scooter hanno sparato una sventagliata di colpi in aria: una dimostrazione di forza e un richiamo preciso per gli avversari presenti sul territorio, una cosiddetta “stesa”, termine oggi così tragicamente di moda che va a descrivere questo tipo di atto intimidatorio perpetrato dalle nuovissime generazioni di camorristi.

Un tribale e feroce linguaggio tra bande, tra gruppi di individui nati e cresciuti nel culto della violenza, senza ideali e privi di qualsiasi ragionevolezza. Animali che esplodono “botte” verso l’alto mentre segnano il territorio al pari di bestie selvagge propagando terrore tra i “civili” estranei alle loro insulse battaglie di potere. E se mentre si spara all’impazzata verso il cielo qualcuno rimane ucciso? Embè, “danni collaterali” di una guerra tra dementi. Anzi, meglio ancora se dovesse accadere, così “’a gent’” impara subito che in quella zona il potere è amministrato da qualcuno più violento e pericoloso di quello che c’era prima. Una folle attività simile a quella che nelle favelas Sudamericane chiamano «balas perdidas», pallottole vaganti.

Via Toledo a Napoli
Eppure questa “stesa” ha qualcosa di diverso rispetto a quelle precedenti, qualcosa di più profondo e significativo: non è una delle tante che si stanno verificando quotidianamente tra il Rione Sanità, Forcella, Soccavo e Cavalleggeri, luoghi ormai tristemente noti per le faide malavitose sorte negli ultimi mesi. Stavolta l’avvertimento lanciato a suon di spari è avvenuto nella centralissima Via Toledo, all’altezza del civico 290, nel cuore del “salotto buono” di Napoli tra Piazza Trieste e Trento e Chiaia. Quanto accaduto ha una duplice valenza: in primo luogo che anche la malavita dei Quartieri Spagnoli a ridosso di Via Toledo è di nuovo in movimento; e poi la contezza che i tentacoli della criminalità organizzata hanno invaso con i suoi metodi brutali anche una delle strade più famose della città, forse addirittura la più sorvegliata dalle forze dell’ordine in quanto centro pulsante dello shopping napoletano e, soprattutto, meta continua di quegli infiniti sciami di turisti che la città ha faticosamente riconquistato in questi anni. Quei killer su due ruote hanno messo in scena un affronto alle persone che a quell’ora, in una piacevole e calda serata di fine estate, ancora passeggiavano chiacchierando, annichiliti dal terrore provato in quegli attimi, ed un affronto alle istituzioni, incapaci di sorvegliare come si deve una via tanto importante e di proteggere chi vi abita. 

Ne sa qualcosa Antonino Salvia, dipendente del dipartimento di giustizia penitenziaria, abitante in uno stabile ad angolo con Via Toledo. Uno che la camorra la conosce bene in quanto figlio di Giuseppe, vicedirettore del carcere di Poggioreale ucciso dai sicari di Raffaele Cutolo nel 1981: dei tanti proiettili sparati a caso durante il raid uno si è conficcato nel soffitto di casa sua dopo aver perforato una serranda, e solo per un caso non ha colpito nessuno. “Inaccettabile. Queste cose non accadono neanche nel cosiddetto terzo mondo. E guai a far passare le “stese” come qualcosa di normale. Perché siamo davanti ad azioni di terrorismo. Purtroppo in questi ultimi tempi la situazione è peggiorata e anche le forze dell’ordine sono impotenti davanti ai reati commessi da criminali minorenni che spesso vengono riconsegnati alle famiglie anche dopo fatti gravi. È fondamentale non accettare come normali questi avvenimenti. Non ci si può assuefare al fatto che questi giovani delinquenti sparino a caso nelle strade, tra la gente o contro le case, mettendo in bilancio di uccidere persone incolpevoli”, queste le sue parole dopo una notte di paura in cui, con la sua famiglia, ha rivissuto i fantasmi del passato. 

Dalle prime indagini, martedì notte, intorno alle due, il “gruppo di fuoco” sarebbe sceso da Via De Cesare iniziando a sparare all’angolo con via Toledo, correndo ed esplodendo raffiche all’impazzata per l’area pedonale, prima utilizzando un mitra e, subito dopo, sparando colpi più distanziati l’uno dall’altro per scomparire, risalendo via Sergente Maggiore, nel dedalo di vicoli dei Quartieri Spagnoli. La mattina dopo, i rilevamenti hanno messo in luce otto bossoli calibro nove di pistola semiautomatica. I carabinieri sono impegnati nell’analizzare i filmati delle telecamere della zona per risalire agli autori dell’atto terroristico basando un’ipotesi investigativa su una partita di droga da ventimila euro non pagata e risalente ad un anno fa, prima cioè della retata che ha portato in carcere nomi di spicco tra i vari clan che si contendono il territorio. 

Quartieri Spagnoli a Napoli
Ormai è chiaro che i clan sono in fibrillazione, da Scampia a Fuorigrotta ai Quartieri Spagnoli. Una situazione avvilente per i cittadini onesti. Ed un altro pensiero getta nello sconforto: la “stesa” è ormai un tragico biglietto da visita che palesa a tutti (nemici e non) la voglia di emergere di un clan in una zona, cosa che storicamente è l’antipasto di una vera guerra tra “famiglie”. Situazione unita alla crescente novità delle baby-gang, che si divertono a picchiare selvaggiamente ignari passanti, passando le nottate estive organizzando gare clandestine di scooter all’interno della Galleria Umberto I, dove gioiosamente sfondano le vetrine a suon di pallonate e dove a fine agosto hanno tentato una rapina lanciando contro una saracinesca un motorino (precedentemente rubato) a tutta velocità. Il tutto immerso nella disastrosa situazione delle strade e dei trasporti. 

Una deprimente realtà quotidiana che fa da stridente contraltare alle roboanti parole del Sindaco Luigi de Magistris il quale, dopo un vertice in Prefettura in seguito ai fatti di Via Toledo, proclama di star costruendo un’altra Napoli, bella e sicura. Degna addirittura di candidarsi ad ospitare le Olimpiadi del 2028. A questo punto sarebbe lecito chiedere: ”Sindaco ma Lei è proprio sicuro? Crede davvero in quello che dice? Svegliaaa!!!”.



A Napoli torna il progetto Sirena: bando a Natale

di Luigi Rinaldi

Il devastante terremoto che lo scorso 24 agosto ha devastato il Centro Italia, con la distruzione di interi borghi, ha fatto scattare tante riflessioni, ma soprattutto tante preoccupazioni ed allarmi sulle condizioni in cui versano le abitazioni degli italiani, soprattutto in merito al rispetto dei parametri antisismici. Palazzo San Giacomo, sede della Giunta comunale, ha così rispolverato il progetto Sirena, al fine di incentivare, in attesa che il Consiglio regionale approvi la legge apposita sul «fascicolo del fabbricato», i proprietari privati a dotarsi di uno strumento con il quale valutare prima e su tutto i parametri antisismici degli stabili e come adeguarli alle nuove leggi


L'Assessore all'Urbanistica Carmine Piscopo
Il progetto Sirena è nato circa tre anni fa, con l’obiettivo da parte del Comune di Napoli di creare degli incentivi a fondo perduto e defiscalizzazioni per il recupero dell’edilizia privata, storica e non. Come dichiarato dall’Assessore all’Urbanistica Carmine Piscopo e da quello alle Finanze Salvatore Palma, il progetto Sirena vanta all’interno delle sue casse ancora nove milioni di euro, di cui sei come residuo del progetto originario e tre messi a disposizione del Comune. Probabilmente occorreranno altri fondi, per poter lanciare nuovi bandi entro il prossimo Natale. Ma bisogna muoversi urgentemente. L’intera città di Napoli, a partire dal centro storico, ha bisogno di essere messa in sicurezza dal punto di vista sismico

A quanto stimato dall’ordine dei geologi, nella nostra regione 4608 scuole, 259 ospedali e 865.778 fabbricati, pubblici e privati, si trovano nelle zone “rosse” del rischio sismico. Ormai sempre più frequenti sono diventati i contatti tra la Regione ed il Comune di Napoli per stabilire la partenza del tavolo istituzionale con il progetto Sirena al centro del dibattito. Quanto accaduto ad Amatrice ed agli altri comuni colpiti dal violento sisma dello scorso agosto, non poteva e non doveva lasciare indifferenti gli amministratori di una città che, suo malgrado, nella propria storia ha dovuto già fare i conti con le devastazioni provocate dagli eventi tellurici. 

In base alle norme attualmente vigenti, chi riqualifica le facciate dei palazzi ha uno sgravio dei costi, dal punto di vista fiscale, del 55%. Aggiungendo gli incentivi di Comune e Regione, che potrebbero ammontare tra il 20 e il 30% del costo dei lavori, si arriva a una copertura del 75%. Significherebbe che rifare le facciate dei palazzi costerebbe un terzo. È chiaro che l’aspetto estetico assume un significato secondario rispetto alle problematiche sismiche. In questo senso Palazzo San Giacomo sarebbe anche intenzionato a stipulare un protocollo con l’ordine degli ingegneri per affidare a loro la riscrittura esatta della mappa del rischio sismico degli edifici di Napoli. Per fare questo potrebbero essere utilizzati i fondi per il progetto Sirena.


Scarium: un viaggio nel tempo a Forio d’Ischia

di Marcello de Angelis

Un’antica leggenda, descritta dallo storico Giuseppe D’Ascia nella sua imponente opera “Storia dell’Isola d’Ischia”, riferirebbe che un abitante del Castello Aragonese di Ischia, stanco della monotona vita che si svolgeva nel maniero, pronunciando la frase “Fuori io!”, ne sarebbe uscito spostandosi dall’altro capo dell’Isola per fondare una nuova cittadina che prese appunto il nome di Forio. 

A prescindere dell’origine mitizzata del suo nome, Forio è il comune più esteso dell'isola, e quello che subì, nel corso dei secoli, il maggior numero di invasioni da parte dei pirati ottomani, andate avanti per secoli lungo tutto il Mediterraneo meridionale, tra razzie, violenze e saccheggi. Motivo per cui il suo centro storico, che conta palazzi nobiliari settecenteschi, botteghe artigiane, eleganti atelier di moda e un numero incredibile di Chiese ricche di storia ed arte, è disegnato come un intricato dedalo di viuzze che si allargano fino ad abbracciare le varie “torri di avvistamento e difesa” disposte lungo la costa. Queste ultime vengono definite come i “vicoli saraceni”, strette gole che dal mare avevano (ed hanno) uscite in quasi tutti i punti del paese, e che obbedivano ad una pura necessità difensiva, disorientando i pirati ottomani e guadagnando così tempo per la fuga. 

Quando il pericolo saraceno cessò, le torri costiere rimasero a “monumento della storia“ nonché trasformate in dimora privata, ed in quel labirinto di vicoletti è sbocciata negli anni un’aura di magia e suggestione dove oggi è bello ed affascinante “perdersi” per catturare quei particolari dell’architettura mediterranea locale, altrove completamente scomparsi, dove è possibile riassaporare la storia di un luogo rimasto praticamente immutato nei secoli. 

Il Torrione
Proprio nella più rinomata di queste stradine, il cosiddetto “Vico del Torrione”, che dal porto sbuca alle pendici del maestoso “Torrione”, la torre di avvistamento più imponente di Forio capita, diverse volte all’anno, qualcosa di straordinario. In alcuni giorni ed in particolari orari basta percorrerlo per qualche metro per trovarsi in una dimensione fuori dal tempo, in cui sarà possibile incontrare cinque figure, cinque ombre che non fanno più parte di questa terra, ma che tornano a rivivere per parlare al mondo della loro storia, dei tormenti che ancor’oggi li assillano, delle loro vite spese in modo troppo doloroso. 

Quanto descritto ovviamente non ha nulla di ultraterreno, ma è ciò che accade durante la messa in scena di “SCARIUM”, la spettacolare visita teatralizzata di quel vicolo stretto e tortuoso dove, oltre a pescatori e marinai del paese, hanno trascorso parte significativa della propria esistenza personalità che hanno segnato la storia locale. E non solo, figure entrate ormai nella storia della splendida isola partenopea, curata dalla compagnia “Uomini di Mondo”, con la preziosa collaborazione delle associazioni "Actus Tragicus", "Radici", della Banda Musicale Città di Forio ed il patrocinio dello stesso Comune, della Regione Campania e dell'Unione Europea. In scena già dal settembre 2015, la rappresentazione segue idealmente l’esperimento del precedente “I fantasmi del Castello Aragonese”. Un’opera evocativa già dal titolo della rappresentazione, che riecheggia la funzione originaria di quella stradina già utilizzata da pescatori e marinai foriani come rimessaggio delle proprie imbarcazioni, sfruttando la comodità di trovarsi fronte mare, e definita appunto “Scarium”, ovvero “cantiere navale” in latino, volgarizzato poi in “Scaro”.

La geniale idea è quella di illustrare “fisicamente” la storia della cittadina, calando il più possibile lo spettatore nella realtà locale, con una rappresentazione a metà strada tra la descrizione del luogo “teatro” (in tutti i sensi) delle vicende e la teatralizzazione delle vite di cinque personaggi che vi hanno vissuto in diversi periodi (dagli anni delle incursioni piratesche a quelli del dopoguerra) ed entrati nella storia foriana attraverso altrettanti monologhi che spiegano "l’humus e il retroterra che modellano l’indole foriana" in un misto di "sacralità, genio artistico e difesa del territorio". L’introduzione è affidata allo storico dell’arte Pierpaolo Mandl nei panni di Giovanni Verde, scrittore, giornalista e poeta foriano, a cui il Comune ha delegato la custodia e la direzione del Torrione, da sempre simbolo di lotta e di resistenza.

Un momento della rappresentazione
E così, anche nell’appena trascorso mese di agosto, nei giorni 10, 16 e 24, la bella regia di Valerio Buono e agli affascinanti testi di Corrado Visone hanno traghettato gli incantati spettatori attraverso il tempo e lo spazio, facendoli incontrare, appena entrati nel vicoletto, il redivivo Giovanni Maltese (interpretato dallo stesso regista), artista ribelle Foriano, di cui viene messa in risalto la potente verve polemica e la sua opposizione fatta di satire indirizzate alla corrotta classe dirigente locale di fine '800. Una dimensione politica che si univa alla genialità di un artista vero che fu, contemporaneamente, poeta, scultore e ritrattista. Subito dopo il monologo, infatti, la visita guidata fa tappa al secondo piano del Torrione dove sono collocate le numerose opere del Maltese in esposizione permanente, in quello che è divenuto col tempo Museo Civico del Comune di Forio, oggi gestito dall’Associazione Culturale Radici

Proseguendo per la stradina, ecco giungere Caterina D’Ambra (Valentina Lucilla Di Genio), che urla la sua storia di vendetta, di quando la ragazza, aiutata dalla famiglia, compì una strage contro la gendarmeria spagnola colpevole di averle ammazzato (scambiandolo per un malvivente) un fratello sordomuto. Un delitto di cui ella non si pentirà mai. Qualche passo più avanti il “racconto teatrale” si tinge di toni quasi horror all’arrivo dell’inquietante vecchia Tolla (Alessandra Criscuolo), l’anziana donna pervasa dalla follia che in una Forio squassata dall’epidemia di peste (attorno la metà del ‘600), cominciò ad ammonticchiare cadaveri nella chiesa di San Sebastiano alle Pezze, sottraendone preziosi e gioielli che indossava poi in un laccio appeso al collo. 

Qualche metro ancora ed un balzo temporale mette in mostra tutta la tristezza di Rachele Guidi Mussolini (Gloria Azar), la moglie del Duce, esiliata a Forio, insieme ai figli Vittorio, Romano e Annamaria per oltre dieci anni: un soggiorno caratterizzato, da un lato, dalla riverenza della popolazione locale, dall’altro, dal profilo assai riservato della donna, circondata da persone che, con spontanea generosità, in qualche modo resero meno opprimente la sua “prigionia”. Ultimo personaggio, Don Pietro Regine (incarnato dall’autore dei testi), sacerdote foriano del Settecento, che lamenta la scomparsa della “cappella Regine”, un luogo da lui voluto e costruito (sempre nel vicolo di “Scaro”, ad appena pochi passi dal mare), ricca di opere d’arte di inestimabile valore, tra cui una statua della Vergine Velata, opera del grande scultore Giuseppe Sammartino, che ha lasciato il posto, nel corso degli anni, ad anonime abitazioni.

Museo del Torrione. Di fronte, balcone che affaccia su Forio
In pratica un vero e proprio viaggio nel tempo e nella storia, grazie alla competenza di ricerche storiche precise ed approfondite e ad un gruppo di attori straordinari ed affiatati, capaci di immedesimarsi alla perfezione in quei ruoli spesso davvero complessi. Ad affollare il vicolo del Torrione c’è sempre un pubblico più numeroso, anelante di assistere a quel connubio di arte, storia, cultura, teatro e musica; un’operazione culturale di grande impatto emotivo alla portata di tutti in una Forio vista come uno splendido set naturale, dove muoversi e ambientare visite ed iniziative di ampio respiro culturale e turistico. In questa cornice Scarium diventa uno splendido “excursus” temporale nella memoria storica e leggendaria del borgo di Forio.

Salvo D’Acquisto: il martire napoletano della II Guerra Mondiale


di Antonio Ianuale

Salvo D'Acquisto
Tra le storie di coraggio e generosità durante la seconda guerra mondiale occupa un posto speciale quella che riguarda il gesto eroico del carabiniere napoletano Salvo D’Acquisto che sacrificò la sua vita per salvare ventidue persone destinate alla fucilazione. L’anniversario cade il 23 settembre, fornendo una preziosa opportunità per riflettere sulle personalità che hanno anteposto la loro stessa vita alla libertà altrui, con gesti ed esempi di umanità e amore in un contesto spietato come quello della Seconda Guerra Mondiale.     

Il vice brigadiere Salvo d’Acquisto nacque a Napoli il 15 ottobre del 1920, nel rione Antignano da una famiglia profondamente religiosa e cattolica e, come tanti meridionali, si era arruolato nei Carabinieri nel 1939. L'anno successivo, aggregato alla 608ª Sezione dell'Aeronautica, era stato trasferito in Libia, a Tripoli. Nonostante fosse rimasto ferito a una gamba, restò con il suo reparto fino a quando contrasse la malaria. Tornato in Italia, nel 1942, seguì un corso per sottufficiali a Firenze, alla fine del quale venne assegnato alla caserma dei carabinieri di Torre in Pietra, una zona rurale a qualche decina di chilometri da Roma. 

Dopo la resa dell’Italia, l’8 settembre 1943, i soldati tedeschi si abbandonarono alle violenze più terribili nei confronti delle popolazioni italiane. Un reparto delle SS tedesche si era stabilito presso la caserma abbandonata della Guardia di Finanza situata nella Torre di Polidoro, nelle vicinanze di Torrimpietra. In quella località la sera del 22 settembre alcuni soldati tedeschi che ispezionavano casse di munizioni abbandonate furono investiti dall'esplosione di una bomba a mano. Due soldati morirono e altri due rimasero gravemente feriti. 

I tedeschi chiesero ausilio alle forze dei carabinieri comandate da D’Acquisto per trovare il colpevole di quello che consideravano un attentato. Il vice brigadiere tentò di spiegare ai tedeschi che l’accaduto era da considerarsi fortuito, ma i tedeschi minacciarono una rappresaglia che puntualmente avvenne: furono prelevate e catturate ventidue persone tra la popolazione della zona, e, venne richiesto a Salvo D’Acquisto di indicare i responsabili. Il carabiniere, però, ribadì nuovamente la sua versione: l’esplosione era stata accidentale

A questo punto l’ufficiale che comandava il drappello tedesco ordinò che a tutti i 22 civili fosse data una pala perché si scavassero la fossa. Una volta terminata la fossa il capitano delle SS chiese un’ultima volta che i responsabili confessassero l’attentato, altrimenti sarebbero stati tutti uccisi. D’Acquisto, allora, compreso che i tedeschi non si sarebbero fermati e avrebbero fucilato tutti i prigionieri, si accusò di un attentato che non aveva mai commesso. Così fu fucilato sul posto mentre i civili vennero tutti rilasciati. Uno di loro, Angelo Amadio mentre fuggiva percepì il grido “Viva l'Italia” lanciato dal carabiniere, seguito subito dopo dalla scarica di un'arma automatica che portava a termine l'esecuzione. Alcuni militari tedeschi, presenti alla fucilazione, rimasero impressionati dal sacrificio del sottufficiale dei Carabinieri, e, parlando con una giovane del luogo, affermarono che era “morto da eroe, impassibile di fronte alla morte”. 

La vicenda del carabiniere napoletano è stata portata sul piccolo schermo due volte: la prima volta nel 1974 nel film “Salvo D’Acquisto”, diretto da Romolo Guerrieri con Massimo Ranieri nel ruolo del protagonista, mentre nel 2003 fu Beppe Fiorello ad interpretare il giovane vice-brigadiere nella fiction omonima in due puntate con la regia di Alberto Sironi. A D’Acquisto è dedicato anche il testo teatrale “Salvo D'Acquisto: un Eroe semplice” di Emanuele Merlino. Negli anni successivi, giunsero numerosi documenti e petizioni al Santo Padre, al Comando dell'Arma dei Carabinieri e al Vescovo militare, in cui veniva richiesta la santità per Salvo D'Acquisto. Il 4 novembre 1983 venne aperta una causa di canonizzazione dello stesso. Le spoglie di Salvo D’Acquisto sono conservate all'interno della chiesa di Santa Chiara a Napoli.


Capri: la storia infinita del “Capilupi”

di Luigi Rinaldi

La bella e famosa isola di Capri, fiore all’occhiello della Regione Campania e meta, in tutto l’anno, di tantissimi turisti provenienti da ogni parte del mondo, da troppo tempo non è in grado di offrire servizi di qualità in campo sanitario. Forse più di tanti altri nosocomi campani, l’Ospedale Capilupi di Capri rappresenta l’emblema della grave crisi in cui versa, da anni, il sistema sanitario della regione Campania. 

Solo qualche settimana fa, l’ultimo increscioso episodio. A conclusione di una vasta indagine condotta su numerosi casi di assenteismo nel nosocomio caprese, la Guardia di Finanza ha posto agli arresti domiciliari due dipendenti del Capilupi, con l'accusa di peculato continuato e danno erariale allo Stato, per un importo di circa 60.000 euro per aver falsificato le matrici di incasso dei ticket per le prestazioni mediche erogate dall'ospedale. 

Una delle tante vicende di malasanità che, da anni, vedono l’Ospedale Capilupi al centro di bufere giudiziarie. L’elenco dei mali endemici che affliggono il nosocomio isolano si arricchisce con una sconcertante sistematicità. Sono mesi che il personale medico ed infermieristico da una parte ed i volontari e familiari dall’altra si trovano a fare i conti con i continui blocchi dell’ascensore, un impianto di vecchia fabbricazione ed installato circa venti anni fa. E’ diventato quasi normale trasportare a braccia, da un piano all’altro, i degenti che devono sottoporsi agli esami di laboratorio o radiologici e addirittura quelli che devono fare ingresso in sala operatoria. Talvolta, per i trasferimenti da un reparto all’altro, sono dovuti intervenire i vigili del fuoco oppure i volontari della San Vincenzo de’ Paoli. Una situazione a dir poco sconcertante. 

Quest’anno il Capilupi è balzato agli onori della cronaca anche per il mancato utilizzo della TAC. L'apparecchiatura di ultima generazione, consegnata dopo circa due anni di attesa, è stata lasciata ferma per alcuni mesi senza mai essere montata e messa in funzione. Dopo la TAC, l’Ospedale di Capri è tornato al centro delle polemiche, a seguito della denuncia di un giovane disabile, in servizio presso gli uffici del Comune di Capri. In Ospedale per alcuni accertamenti, il giovane isolano, alla richiesta di poter utilizzare i servizi igienici, si era visto rispondere dal personale in servizio che il nosocomio non era dotato di struttura tali da consentire l’accesso della carrozzina. 

Ne è scaturita un’indagine da parte dei Carabinieri, all'esito della quale è emerso che i servizi igienici per i disabili non erano mai entrati in funzione, essendo stato adibiti a magazzino per il deposito del materiale dell’impresa appaltante della pulizia. Da qui la denuncia nei confronti del direttore sanitario e del personale amministrativo responsabile. 

Le innumerevoli deficienze dell’Ospedale Capilupi hanno scosso la sensibilità di cittadini capresi ed anacapresi che hanno dato vita al Comitato Art.32, ispirato alla norma della Costituzione Italiana che sancisce la tutela alla salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività. Il comitato è nato ad Anacapri nello scorso mese di Dicembre, con la sottoscrizione dello statuto da parte di Concetta Spatola, Fabiana Faiella, Costanza Bozzaotre e Gelsomina Maresca, professioniste e commercianti tutte residenti sull’isola, che si sono rese portavoce dei malesseri e delle richieste di una vasta fetta della popolazione isolana in materia di salute pubblica. 

Il Comitato ha promosso una serie di iniziative che nel corso dei mesi hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica ma anche delle istituzioni. Ma resta ancora molto da fare, come dimostrano le vicende delle ultime settimane. La sanità pubblica dovrebbe funzionare ovunque ma tanto più in una località d'eccellenza frequentata da migliaia di persone e le sue strutture dovrebbero essere all'altezza del nome di Capri. Resta nella memoria di tutti gli abitanti dell’Isola di Capri e non solo, il caso dell'anziana benefattrice Claudia Messanelli Zweing che ritirò la sua donazione, oltre due milioni di euro, destinata alla ristrutturazione dell'ala più vecchia dell'ospedale. Non essendo stati rispettati i tempi, la signora aveva annullato l'offerta dell'ingente somma. I lavori sono ripresi a rilento e chissà se l'Asl Na1 li concluderà mai.

Emergenza immigrati: le difficoltà dell’accoglienza a Benevento

di Antonio Cimminiello

Uno sbarco di immigrati in Italia
Anche questa estate è stata funestata dalle tragedie del mare, che puntualmente nel Mediterraneo riguardano le migliaia di immigrati in fuga da guerra, distruzione e povertà; il bel tempo favorisce continui sbarchi sulle coste italiane, che dovrebbero rappresentare nella maggior parte dei casi solo il punto di partenza verso altre mete definitive (generalmente nel Nord Europa), ma che invece finiscono col divenire “deposito” di vite umane in attesa di lunghe e stancanti procedure burocratiche per identificazione, richieste di asilo politico, eventuali espulsioni e via dicendo. E spesso in seno a tali procedure una non completa organizzazione aggiunge problemi a quelli già esistenti. 

E’ quanto sta accadendo nella provincia di Benevento, dove attualmente si trovano più di 2.500 immigrati. Un territorio dalla tradizionale bassa densità abitativa (a differenza delle altre città campane) da più mesi ospita un numero di migranti che appare effettivamente sproporzionato rispetto al numero degli abitanti stessi. A ciò si aggiunge il fatto che spesso a popolarsi sono strutture di proprietà di privati, “allettate” dalle condizioni proposte negli appositi bandi di gara, pur non essendo totalmente adeguate e senza che di ciò vengano avvertite le amministrazioni locali. La situazione ha inevitabilmente finito con l’ingenerare malcontento. “Se si concentrano troppi migranti su un unico territorio, l’integrazione diventa complicatissima e non si fa altro che favorire episodio di intolleranza”: queste erano state a Luglio scorso le parole di Francesco Damiano, sindaco di Montesarchio, esasperato dai continui afflussi favoriti da procedure che non tengono conto del numero dei migranti già ospitati. 

E solo ad Agosto chiaro era stato il documento riguardante proprio la questione migranti, inviato dal Sindaco di Guardia Sanframondi al Prefetto di Benevento: "… se la nostra cittadina dovesse accogliere, come in altre realtà, immigrati pari all' 1 per cento della sua popolazione, si deve essere pronti con alloggi appropriati, evitando di creare nella cittadina luoghi che non hanno nulla a che fare con l’accoglienza ma che ammassano, ghettizzano e mortificano sicuramente anche costoro che fuggono dalle guerre". Si tratta infatti di una situazione difficile da gestire per tutti i soggetti coinvolti: il rischio è anche quello di non assicurare un’adeguata accoglienza sia sul piano tecnico (appena un mese fa c’è stata l’esplosione di una bombola di gas in una struttura privata a Solopaca) che morale (l’esasperazione ha già portato ad esempio 50 richiedenti asilo a bloccare per protesta la Strada Statale Sannitica presso Castelvenere). 

E se la modifica delle condizioni riscontrata nel recente bando di gara “per la manifestazione di interesse preordinata all'affidamento per il servizio di accoglienza ed assistenza ai cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale presso strutture nella provincia di Benevento” - impedendo cioè la partecipazione alle imprese situate nei Comuni che hanno già accolto immigrati - può essere salutata con favore, è anche vero che saranno necessarie per il futuro altre misure - come stabilire un più esatto rapporto tra numero di immigrati e densità abitativa - al fine di disinnescare quella che appare una vera e propria “bomba ad orologeria”, che mortifica la locale e preziosa cultura dell’accoglienza e rischia di originare criminalità.


Annibale Ruccello: il drammaturgo stabiese scomparso trent’anni fa

di Antonio Lepre

Annibale Ruccello
Castellammare di Stabia oltre ad aver dato i natali ad uno dei più grandi uomini di teatro del ‘900 napoletano: Raffaele Viviani, ha generato anche nel secondo dopoguerra anche uno dei più importanti drammaturghi napoletani: Annibale Ruccello. Ruccello scompare a causa di un incidente automobilistico avvenuto sull'autostrada Roma - Napoli il 12 settembre 1986 a soli trent'anni. 

Ruccello è stata una personalità eclettica del panorama napoletano, appassionato di tradizione partenopea si laurea in antropologia culturale alla Federico II, con una tesi su Andrea Perrucci e la sua Cantata dei Pastori. Dopodiché collabora con la Nuova Compagnia di Canto Popolare diretta dal maestro Roberto De Simone; oltre a collaborare con la sperimentazione tradizionale di De Simone si affaccia al teatro sperimentale e di ricerca molto in voga negli anni Settanta a Napoli, dapprima recita nella compagnia di Gennaro Vitiello, con cui esordiscono anche altri stabiesi come Enzo Moscato, o attori e registi come Mario Martone

Nel 1978 fonda la sua propria cooperativa denominata Il Carro con cui realizza i suoi lavori tutti ispirati al panorama popolare partenopeo; i primi testi sono: Il Rione, L’osteria del melograno nonché alcuni rifacimenti da Ionesco o Diderot. Ma il primo capolavoro, ancora oggi molto rappresentato è Le cinque rose di Jennifer scritto e rappresentato nel 1980 al Nuovo Teatro Nuovo, questi vede la messa in scena per la prima volta sul palcoscenico della tragica storia di un transessuale napoletano che vive nel suo appartamento in un quartiere destinato solo ai transgender, il quale aspetta inesorabilmente la telefonata di un suo fantomatico amore lontano, ma vinto dalla solitudine si suicida. 

Dopo Le cinque rose di Jennifer Annibale Ruccello scrisse anche Weekend, con il quale vinse il premio IDI e Notturno con ospiti, nel 1985 scrisse poi il suo capolavoro, Ferdinando, dedicato all’attrice Isa Danieli la quale lo porta in scena ancora oggi; prima della sua scomparsa scrisse anche Anna Cappelli e Mamma: piccole tragedie minimali. 

Da molti studiosi Annibale Ruccello è considerato il miglior drammaturgo dopo Eduardo De Filippo e a dimostrarlo ci sono i numerosi contributi saggistici tra i quali spicca quello di uno dei più grandi studiosi di teatro come Siro Ferroni.

Ferdinando di Annibale Ruccello: un capolavoro europeo


di Antonio Lepre

Una delle scene di "Ferdinando" di Annibale Ruccello
Annibale Ruccello scomparve la notte del 12 settembre del 1986, ben trent'anni fa. Egli ci ha lasciato un vero e proprio capolavoro della drammaturgia napoletana, ossia Ferdinando, scritta nel 1985 per l’attrice Isa Danieli.

La vicenda è in sé semplicissima, infatti, Ruccello narra la storia di una baronessa borbonica fedele al Regno delle due Sicilie che rifugiatasi nell'area vesuviana sceglie l’isolamento e il disprezzo nei confronti dell’Unità d’Italia e della media borghesia nascente; donna Clotilde trascorre la sua esistenza tra una cugina povera Gesualdina e un prete Don Catellino dai mille intrallazzi furfanteschi, sino a quando non arrivare a scombussolare la sua esistenza un fantomatico nipote, Ferdinando, portando al degrado l’intera vicenda che terminerà con omicidi, furti e scene di sesso. 

Naturalmente non era desiderio dell’autore trarne un dramma storico, semmai mostrare l’abbandono in cui vertono i quattro personaggi con le loro bramosie sessuali, i loro desideri, la loro perfidia. I personaggi di Ferdinando appartengono al grande panorama teatrale del secondo dopoguerra, infatti, essi potrebbero appartenere tranquillamente alla penna di Samuel Beckett. Sono dei reietti della società, vivono isolati in una sorta di bunker proprio come Beckett immaginò molti dei suoi personaggi come Krapp de L’ultimo nastro di Krapp o Winny di Giorni Felici

Un ruolo importante in questo testo lo ricopre la lingua. E’ opportuno ricordare, infatti, che il teatro a Napoli ha sempre parlato napoletano, ma nel corso del ‘900, a causa anche delle leggi del regime fascista che prevedevano l’abolizione dei dialetti, si è un po’ italianizzato, come nel caso dei testi di Eduardo o anche Peppino De Filippo, ma Annibale Ruccello, da antropologo qual era, ha rivalutato la lingua napoletano del Settecento e dell’Ottocento addirittura considerandola migliore di quella Italiana. Basti pensare ad una battuta di Clotilde che così recita: "E po’ co sta lengua toscana avite frusciato lo tafanario a miezo munno! Vale cchiù na parola Napoletana chiantuta ca tutte li vocabole de la Crusca!" (e poi con la lingua italiana avete rovinato mezzo mondo! Vale più una parola napoletana che si piange piuttosto che tutti i vocaboli dell’Accademia della Crusca).


Nuovo Osservatorio Regionale sui rifiuti: Enzo De Luca nominato presidente

di Luigi Rinaldi

Lo scorso mese di luglio, con una delibera di Giunta, la Regione Campania, in ottemperanza alla legge sui rifiuti, ha istituito l’Osservatorio Regionale sulla gestione dei rifiuti, con lo scopo di approfondire, verificare e monitorare il ciclo integrato dei rifiuti in Campania. A presiedere l’Osservatorio è stato scelto dal Governatore Vincenzo De Luca l’ex senatore Enzo De Luca. Irpino, esperto in materia, in quanto già vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti ed assessore ai Lavori Pubblici nella Giunta Bassolino. 

Sversamenti illeciti
Il primo obiettivo dell’Osservatorio sarà quello di provvedere allo smaltimento di milioni di tonnellate di ecoballe, mediante l’utilizzo delle cave dismesse o abbandonate. Compito dell’Osservatorio sarà quello di raccogliere ed elaborare tutte le informazioni sull'andamento degli ambiti ottimali e del ciclo ambientale, monitorando l’andamento dei servizi e misurandone efficienza, economicità ed efficacia. 

Faranno parte dell’Osservatorio, su espressa richiesta del Movimento Cinque Stelle, in sede di Commissione Ambiente, tre esperti della materia, rappresentanti del mondo associazionistico, dell’ambientalismo e dei consumatori. Secondo il principio della trasparenza, i dati e i rapporti dell’Osservatorio saranno inseriti in una banca dati e pubblicati con cadenza trimestrale, ma anche in una relazione finale annuale. Tutto il materiale raccolto dall’Osservatorio sarà così a disposizione dell’amministrazione regionale e di tutte le istituzioni interessate. Punto di riferimento per l’Osservatorio sarà il Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Urbani, recentemente aggiornato. 

La gestione dei rifiuti conserva dietro di sé un passato burrascoso e tormentato, essendo stata al centro degli interessi e degli affari delle ecomafie, con conseguenze devastanti per la ecologia e la salute pubblica. L’obiettivo dell’Amministrazione regionale è di aprire una nuova prospettiva nel campo dell’ecologia e dell’ambiente, ripristinando una gestione dei rifiuti all'insegna della legalità e salubrità. In tal senso, sarà necessario incentivare la raccolta differenziata, per raggiungere quella soglia del 65%, indicata dal Parlamento Europeo come obiettivo per tutti i Paesi membri entro la data del 2030. 



Napoli: prosegue la riqualificazione di Via Marina

di Antonio Cimminiello

Via Marina come si presenta oggi
Rappresenta uno dei più antichi ed importanti collegamenti tra la periferia ed il centro di Napoli, oltre che “porta” della città anche per chi viene da fuori, stante il raccordo con le rampe autostradali. L’asse costiero meglio noto come via Marina da più di un anno è un immenso cantiere a cielo aperto, che sta dando finalmente attuazione ad una parte di un progetto più ampio di riqualificazione urbana -che sta interessando tutta la zona di Napoli Est- e dal costo complessivo di più di 20 milioni di euro. Il progetto definitivo è stato approvato solo a seguito di un lungo iter, con il coinvolgimento di molteplici istituzioni, nonché interessato da più modifiche. 

Dalla consegna dei luoghi all'impresa aggiudicataria -avvenuta nel 2015- si sono susseguiti una serie di lavori che, complessivamente, riguarderanno circa 5 km di strada, a partire da Piazza Municipio fino al quartiere di San Giovanni a Teduccio. L’impossibilità di interdire totalmente l’accesso a via Marina agli automobilisti ha inevitabilmente inciso sulla circolazione, provocando non pochi disagi, come testimoniato dal fatto che, in poco meno di un anno, ben 4 sono state le modifiche apportate al piano traffico per il tramite di una miriade di ordinanze comunali fino ad arrivare alla più recente -datata 13 Luglio scorso e scaduta in questi giorni- la quale, comportando una ennesima deviazione del traffico in direzione Via Gianturco verso la corsia preferenziale, ha messo a dura prova la pazienza dei napoletani e non, soprattutto nel mese di Agosto, nonostante il periodo di vacanza. 

Con la ripresa delle attività lavorative e la riapertura delle scuole l’amministrazione guidata dal sindaco Luigi de Magistris ha cercato di correre ai ripari, sia con misure di impatto immediato (come ad esempio l’eliminazione dell’impianto semaforico presso l’incrocio tra via Marina e Via Gianturco) che a lungo termine, come il funzionamento di 4 corsie complessive, previsto a partire dalla metà di Settembre. Purtroppo il decongestionamento del traffico è stato molto limitato, come dimostrato dai dati impietosi registrati nel primo lunedì di Settembre, e quindi ancora prima dell’inizio dell’anno scolastico: più di 30 minuti per percorrere la parte dell’asse costiero interessata dai lavori la quale, cosa ancor più grave, ricomprende come è noto pure la zona dove è presente l’Ospedale Loreto Mare. 

Il timore più grande è il mancato rispetto del previsto termine di completamento della riqualificazione, indicato per la metà del 2017: una prolungata attesa, pur portando in dote senza dubbio “premi” -tra cui soprattutto l’agognato rifacimento del rattoppato, irregolare e pericoloso manto stradale, fino ad oggi vero punto dolente di Via Marina e spesso fonte di danni anche fisici- rischia di alimentare un problema ormai antichissimo con tutte le note conseguenze del caso, non ultimo il costo economico, che sotto varie voci (manutenzione straordinaria, risarcimenti per incidenti stradali, etc.) grava da sempre sulle non floride casse di Palazzo San Giacomo, derivando proprio da una viabilità difficile se non impossibile.

Un particolare del progetto della nuova Via Marina


Si torna a scuola, ma in che clima? Lo abbiamo chiesto agli insegnanti

di Danilo D'Aponte

Se per gli studenti la fine di agosto significa, nell'ordine, tastare le proprie conoscenze saldando i loro debiti formativi e apprestarsi a un nuovo anno di studi, non va forse meglio per i loro insegnanti: sempre sospesi tra l'incertezza che il ruolo comporta, a prescindere da se si sia veterani o novellini. Questo perché con la ripresa delle attività scolastiche si solleva il solito vespaio di polemiche, tra chi ha preso cattedra a migliaia di km di distanza, tra chi vede prendere servizio colleghi non proprio meritevoli (per usare un eufemismo), magari bocciati ai concorsi per il ruolo, tra chi ha età avanzata, ma ancora si barcamena con sostituzioni (più o meno brevi), o chi ha appena trovato una sorta di "stabilità". Per cercare di capire un po' la situazione dall'interno ci siamo rivolti a chi con questa vocazione, perché questo è l'insegnamento, ci vive.

Che puoi dirci circa il "flusso migratorio" che vede coinvolti i docenti da ogni latitudine d'Italia? 

Angela, insegnante di Pozzuoli: "Beh, il vero dilemma è: seguo il mio sogno di docente o resto a casa e perdo il lavoro? Chi rimane nel proprio territorio viene considerato "fortunato". Insomma, ciò che doveva essere un proprio diritto, ossia lavorare e vivere nella propria terra, per noi docenti è divenuto un lusso concesso a pochi".

Tra le insegnanti che hanno dovuto lasciare Napoli per poter insegnare c'è Laura. Ti andrebbe di spendere qualche parola su questo fenomeno?

Laura, trasferitasi a Milano: "Conosco persone che hanno ottenuto il ruolo in città lontane da casa, il fatto che ti si costringa a lasciare tutto per non perdere l’occasione di realizzare finalmente il sogno di uscire dal precariato, pena l’esclusione dalle graduatorie, per me è inconcepibile, in pratica un ricatto".

Che idea si può fare una giovane insegnante su tutta la questione delle assunzioni?

Alessandra, insegnante napoletana a Ventotene: "Nella scuola italiana del XXI secolo regna il caos. Persone che non avevano mai messo piede in una scuola, ma detentori di un diploma magistrale, l’anno scorso, hanno avuto la possibilità di partecipare al piano straordinario delle assunzioni. Abilitati che, plurilaureati, dopo aver affrontato tre prove per accedere al TFA, ore di tirocinio diretto e indiretto, dopo essere stati valutati da insegnanti e accademici, sono stati costretti a sottoporsi ad un nuovo concorso per ottenere il ruolo. Docenti che hanno vinto il concorso, convinti di essere finalmente assunti, si sono resi conto dell’assenza del numero di posti messi a bando. Dov'è la logica in tutto questo?

Per finire, un consiglio, da parte di una veterana del ruolo, a tutti quegli insegnanti giovani e meno giovani che fanno le loro prime esperienze nel mondo dell'insegnamento.

Emilia, che vive e lavora a Napoli: "Insegnare dev'essere una vocazione: chi decide di seguire questa strada non può pensare principalmente allo stipendio, non perché non sia importante, anzi, ma tra leggi, concorsi e trasferimenti che sembrano pensati contro gli insegnanti la questione economica diventa svilente. L'insegnate deve seguire un'ispirazione, una missione. Devono entrare in gioco emozioni, sentimenti, competenze, che unite rendono questo lavoro faticosissimo ma allo stesso tempo stupendo. Ogni alunno deve diventare parte di te, ciascun bambino, ragazzo diventa un progetto che non finisce dopo l'orario di lavoro. Insegnare prima che un mestiere è un modo di essere, e credo che questa sia stupendo".

La Campania alle Olimpiadi di Rio: tre bronzi e molte delusioni

di Antonio Ianuale

L’Italia si è confermata nell'élite internazionale alle passate Olimpiadi, conquistando ben ventotto medaglie tra cui otto del metallo più prezioso. La Campania si presentava con una schiera di ventiquattro atleti a comporre una delle delegazioni regionali più numerose. Nonostante questi numeri i risultati degli atleti campani non sono di certo positivi, con soltanto tre medaglie di bronzo conquistate dagli atleti olimpici

Giuseppe Vicino e Matteo Castaldo dell' equipaggio "4 senza" 
Tutte in acqua sono arrivare le gioie per la spedizione campana: due sono arrivate nel canottaggio, dove nell'equipaggio del “quattro senza” figuravano Giuseppe Vicino capovoga di 23 anni, insieme al trentunenne Matteo Castaldo, mentre nel “due senza” il bronzo è guadagnato dalla coppia partenopea Abagnale - Di Costanzo, il primo da Castellamare di Stabia, il secondo da Napoli. La terza è arrivata da Alessandro Velotto, difensore del Settebello di Campagna, giovane promessa del circolo Cannottieri di Napoli. 

Poche le luci, molte invece le delusioni: quella più cocente riguarda sicuramente il pugile di Marcianise, Clemente Russo: in Brasile non è andata bene: è stato sconfitto dal russo Evgeny Tishchenko nei quarti di finale della categoria dei pesi massimi, dopo aver dominato l’incontro, ma soprattutto da un verdetto arbitrale davvero scandaloso. Nel pugilato la pattuglia campana era numerosa e con grandi ambizioni, ma sono state raccolte soltanto delusioni con un’Olimpiade amara per la giovanissima Irma Testa, e i più navigati Vincenzo Mangiacapre e Carmine Tommasone

Sport che vanta una grande tradizione italiana e napoletana è la scherma dove l’argento di Londra, Diego Occhiuzzi non è riuscito a ripetersi e dove anche la salernitana Rossella Gregorio non è andata oltre il quarto posto nella gara a squadre della sciabola femminile. Altro beffardo quarto posto per un’altra salernitana, Claudia Mantia, nella prova a squadre del tiro con l’arco. Delusione anche per la nuotatrice beneventana Stefania Pirotti, uscita nelle semifinale dei 200 m. farfalla. 

L’Italvolley femminile è stata l’unica formazione, negli sport di squadra, a non andare a medaglia a Rio. Delle dodici atlete selezionate tre erano campane: la schiacciatrice Antonella Del Core, il libero Monica De Gennaro e Cristina Chirichella. Non si può parlare di delusione per Emanuele Liuzzi, Fabio Infimo ed Enrico D'Agelillo di Castellammare e Mario Paonessa e Luca Parlato di Vico Equense, componenti dell’otto nel canottaggio terminato ottavo. L’equipaggio, infatti, è stato ammesso dopo la rinuncia degli atleti russi, senza molto speranze di essere competitivi. 

Il marciatore beneventano Teodorico Caporaso non ha avuto neanche la soddisfazione di terminare la 50 km di marcia: squalificato. L’ultimo napoletano del gruppo, in termini di anzianità, è Giuseppe Giordano, 42enne che ha gareggiato senza tanta fortuna nel tiro a segno. Non solo atleti ma anche commissari tecnici: Sandro Cuomo, c.t della Nazionale di spada, si gode gli argenti di Rossella Fiamingo e della squadra maschile, Paolo Zizza, vice del C.T Fabio Conti della squadra di pallanuoto femminile, porta a casa l’argento conquistato contro gli Stati Uniti. 

Si registra, dunque, un piccolo passo indietro, se pensiamo che a Londra 2012 arrivarono sette medaglie per la spedizione campana. Adesso Napoli attende le Universiadi del 2019, con uno sguardo già alle prossime Olimpiadi estive di Tokio 2020.


Airola, una storia tragicamente ordinaria

di Gian Marco Sbordone

Il carcere minorile di Airola in provincia di Benevento
Un gravissimo episodio si è registrato alcuni giorni fa presso il carcere minorile di Airola in provincia di Benevento. Un gruppo di detenuti, tra i quali figuravano anche dei maggiorenni, ha inscenato una violenta protesta aggredendo con i piedi dei tavoli ed altri oggetti contundenti gli agenti di custodia e ferendo alcuni di essi in modo serio.

Si è detto che la rivolta sarebbe scoppiata per una questione di sigarette richieste e non concesse. Tuttavia, subito dopo, si è andata accreditando, sugli organi di informazione, la tesi secondo cui dietro la protesta ci sarebbero state ben altre motivazioni, riconducibili a contrasti tra gruppi criminali, tesi ad affermare una qualche supremazia. In buona sostanza, nel carcere si sarebbe riprodotta una situazione scoppiata all'esterno delle mura, forse tra i clan del napoletano.

Dopo qualche giorno, però, questa tesi è andata via via perdendo forza, andandosi ad affermare una verità probabilmente anche più grave e sconvolgente: la violenta rivolta è scoppiata proprio per la questione della sigarette e, forse, per qualche altro motivo legato all'applicazione del regolamento carcerario.

Questa verità è ancor più grave e sconvolgente perché, in sostanza, testimonia due cose. La prima è che la carica di violenza cieca e rabbiosa di questi giovani e giovanissimi è veramente terribile e, probabilmente, va oltre la nostra comune percezione. La seconda è che il carcere, che per definizione è un Istituto di pena e rieducazione (nel caso delle carceri minorili la seconda funzione prevale assolutamente sulla prima), ha fallito clamorosamente il suo obiettivo. Non lo ha fallito, ovviamente, solo ad Airola, ma lo ha fallito e lo fallisce sempre, perché non è in grado di rieducare un bel nulla, riconsegnandoci, dopo l’espiazione della pena, individui ben peggiori di quelli che vi fecero ingresso. E’ una vecchia questione, mai risolta e mai affrontata seriamente.

Il sindacato degli agenti della Polizia Penitenziaria lamenta una spaventosa carenza di personale. Accanto a questa, evidentemente, si registra quella di psicologi, di educatori ed anche di strutture che possano effettivamente essere in grado di recuperare i giovani ad un contesto civile e legale. Le carenze maggiori sono poi, indubbiamente, nel percorso post - carcerario. Appare evidente, infatti, che senza un reale supporto per questi giovani non c’è alcuna possibilità di inserimento nella società, a partire dal mondo del lavoro. 

E’ scontato, quindi, che quasi la totalità di essi sarà invece accolto a braccia aperte nel circuito perverso del malaffare e dell’illegalità. Purtroppo di Airola non si parla ormai più e tutto ciò che abbiamo detto, e che in vero era stato già detto mille e mille volte, andrà a far parte delle parole al vento, delle lettere morte.


Scarsa affluenza alle selezioni Apple a Napoli

di Antonio Cimminiello

La sede della iOS Developer Academy a Napoli
L’occasione era sicuramente una delle più ghiotte: la possibilità di accedere ad un corso di alta specializzazione, tenuto da uno dei colossi internazionali dell’informatica, con ampie chance di ottenere un ritorno lavorativo importante: offerte di lavoro per i primi cento studenti. E tra l’altro le 4.174 richieste di partecipazione alla relativa selezione sembravano dare prova di una consapevolezza diffusa in ordine a ciò, un forte appeal confermato in origine pure dall'affluenza di candidati da Paesi che vanno dalla Germania all'Ungheria. Ma al primo giorno di svolgimento della prima prova per entrare nella iOS Developer Academy, il corso di formazione per programmatori per sviluppo e programmazione di app tenuto dalla Apple - che avrà inizio ad Ottobre offrendo l’accesso a 200 studenti - alla fine si sono presentati solo in 175

Quali sono i motivi di questo calo, per certi aspetti inaspettato, visto che si prevedeva l’arrivo di almeno 500 candidati? Sicuramente, in primo luogo, ha inciso la difficoltà insita proprio nel superamento di quella prima prova consistente in una serie di 30 domande cui rispondere nel giro di circa 60 minuti. Se infatti tra gli argomenti scelti non mancavano alcuni per così dire “comuni” (come ad esempio logica ed algebra), per altri non si poteva prescindere da una buona conoscenza specifica e di base: è il caso della “programmazione Swift”, caratteristica tipica del sistema operativo Apple. 

A ciò deve aggiungersi anche la seconda prova, cui accederanno coloro che abbiano riportato un punteggio minimo di almeno 30 punti ai quiz: si tratterà di un colloquio motivazionale in lingua inglese, in cui valutare essenzialmente le proprie caratteristiche e capacità di sviluppo ed apprendimento e attraverso il quale si opererà la selezione finale da 300 a 200 candidati. In definitiva, è stato scelto un metodo di selezione innovativo - almeno rispetto ai classici “test d’ingresso”, come ad esempio quelli universitari - che certamente presenta un grado di complessità che può aver scoraggiato molti aspiranti programmatori a desistere in anticipo, anche se con l’elevata possibilità di individuare davvero persone dotate di competenza, senza affidarsi a test fondati pure sul “fattore fortuna”; del resto, analogo rigore ha caratterizzato in precedenza pure la scelta degli stessi docenti. Prende così sempre più corpo - e con Napoli sullo sfondo - un ambizioso progetto, ”storico nel suo modo di investire sul talento delle persone con metodi anche costruttivi per il mondo del lavoro”, come ha adeguatamente sottolineato il presidente della commissione selezionatrice Giorgio Ventre.

Olimpiadi a Napoli, un sogno da sostenere

di Gian Marco Sbordone

La contrarietà del Movimento Cinque Stelle e del Sindaco di Roma a presentare la candidatura della Capitale quale sede delle Olimpiadi del 2028 è stata al centro della cronaca politica dell’ultimo periodo nell'ambito delle più complesse vicende che hanno interessato quella formazione politica. Ciò che colpisce è che sono mancate delle coerenti spiegazioni a motivo di tale contrarietà. E’ apparso, quindi, che l’urgenza del Movimento Cinque Stelle fosse, in ultima analisi, quella di affermare, ancora una volta, la propria “diversità” rispetto al sistema politico tradizionale e, forse, ai cosiddetti “poteri forti”.

A fronte di tale presa di posizione, che ha suscitato non poche polemiche, sopraggiunge la proposta del Sindaco di Napoli Luigi de Magistris: “le Olimpiadi? Facciamole a Napoli”. L’ uscita di de Magistris non dovrebbe essere archiviata come una boutade di fine estate, né appaiono giustificabili le ironie suscitate in alcuni ambienti giornalistici. In realtà la proposta merita grande attenzione, soprattutto in una fase in cui la città appare aver raggiunto livelli di degrado in ogni settore assai preoccupanti. Ci vorrebbe uno shock positivo per Napoli, quale le Olimpiadi potrebbero essere.

La città avrebbe l'occasione straordinaria, ad esempio, di dimostrare che: 

1. può contare su un ceto politico amministrativo in grado di gestire un evento di portata straordinaria;

2. può esprimere un ceto imprenditoriale serio e capace;

3. questo stesso ceto sarebbe in grado di fare delle olimpiadi il volano per un rilancio stabile dell’economia con consistenti ricadute occupazionali nella città e nel suo hinterland.

4. è in grado di respingere gli attacchi virulenti e violenti della malavita organizzata nel suo scontato tentativo di infiltrarsi nella realizzazione e gestione delle opere connesse all’ evento;

5. che tutti gli addetti a servizi ed attività pubbliche saprebbero impegnarsi per dare un’ immagine serena, pulita, operosa della propria città;

6. che gli stessi napoletani, cittadini comuni di ogni ambiente ceto o estrazione saprebbero indirizzare il loro agire verso i medesimi obiettivi.

Se la proposta del Sindaco nasce dalla convinzione che quanto sopra detto potrebbe, anzi può uscire dalla sfera dell’ utopia e tradursi in realtà, allora dobbiamo dire :” Forza Sindaco, siamo tutti con te!”. Se invece l’intento di de Magistris è anch'esso un tentativo per riaffermare una presunta “diversità”, allora, sconsolati sapremmo di aver perso un’altra occasione, questa volta grandiosa.


Napoli, Borgo dei Vergini: una realtà che risorge

di Antonio Cimminiello 

La Chiesa di Sant' Aspreno ai Crociferi nel Borgo dei Vergini
Il Rione Sanità è venuto alla ribalta della cronaca negli ultimi tempi purtroppo soltanto per i sanguinosi fatti di camorra che, espressione di una vera e propria guerra tra clan, mostrano lo scenario di un quartiere addirittura “assediato”. Ma quella che esiste è una realtà fatta di tanti aspetti positivi, su tutti quel complesso di bellezze architetture barocche, che caratterizza la zona che introduce nel quartiere e meglio nota come “Borgo dei Vergini”

E risale proprio all'inizio di Settembre il comunicato stampa con il quale l’amministrazione comunale partenopea ha comunicato l’intenzione di avviare un progetto di riqualificazione dell’antico borgo. Esattamente, si è deciso di aderire al Bando “Interventi per la valorizzazione delle aree di attrazione culturale”, indetto dal Ministero per i beni e le attività culturali, attraverso il quale si propone un nuovo modo di gestire risorse pubbliche. 

In estrema sintesi, chi intende ottenere tali fondi - finanziabilità prevista fino ad un tetto massimo di 300.000 euro per progetto - deve presentare un piano, di regola articolato in più livelli e con finalità di “recupero, valorizzazione e gestione integrata del patrimonio culturale”, quindi senza collocazioni e destinazioni decise “dall’alto”. Nel progetto - proposto su iniziativa degli assessori comunali Gaetano Daniele e Carmine Piscopo - si intende però andare ben oltre, fissando quali ulteriori obiettivi anche il miglioramento dell’accessibilità ai servizi pubblici nella zona nonché un adeguamento della stessa offerta turistica. 

Si può ben capire, quindi, come il fine dell' Ente presieduto da Luigi De Magistris non si riduca esclusivamente ad una riqualificazione urbana (che pure sta interessando alcune centrali zone della città, come ad esempio Via Marina), bensì il recupero e la valorizzazione di un territorio dove le risorse ci sono e sembrano aspettare soltanto di essere valorizzate e “ messe a frutto”, proprio attraverso una presenza effettiva di tutte le istituzioni, come in questo caso. C’è ancora tanto da fare, a cominciare dalla antica questione dell’ordine pubblico (continua ad esempio il rimpallo di competenze e responsabilità circa l’installazione delle discusse telecamere di videosorveglianza) per arrivare a quella della “tutela” dei giovani, e tutto questo dimostra come non si possa prescindere dall'apporto di tutte le istituzioni, per restituire alla Sanità quel decoro e quella vivibilità che essa merita.



Pizza all'amatriciana: quando la tradizione incontra la solidarietà

di Danilo D'Aponte 

Nell'entusiasmo generale che si crea a Napoli con l'arrivo di ogni edizione del Napoli Pizza Village, c'è stata in questa edizione una nota amara. Infatti, a causa del recente sisma che ha colpito il centro Italia la manifestazione si è unita al cordoglio nazionale e ha provato a fare qualcosa di attivo. Luciano Pignataro, noto critico enogastronomico ha lanciato una proposta, subito accolta dagli organizzatori dell'evento, ovvero realizzare una pizza a base di sugo all'amatriciana ed utilizzare una parte degli incassi per istituire un fondo per i terremotati. Claudio Sebilio, brand manager dell’iniziativa ha così puntualizzato: "su ogni menù dal costo di dodici euro ne accantoneremo tre per la costituzione di un fondo da devolvere ai terremotati. Pensiamo anche di realizzare, non appena sarà possibile, un'edizione speciale (e gratuita) ad Amatrice".

La pizza all'amatriciana
Dalle colonne de Il Mattino, Pignataro ha lanciato la proposta di unire la tradizione della pizza napoletana al famosissimo sugo all'amatriciana, e in quel momento la cosa è stata molto suggestiva, per quanto avesse poi ribadito che: "la pizza all'amatriciana non è una novità. L'ha pensata il romano Gabriele Bonci e lo stesso Martucci l'ha in carta da parecchio tempo. Una forma di contaminazione che ha un buon risultato al gusto e che in questo caso mette insieme i piatti identitari di Roma e Napoli". Ho proseguito poi: "al di là delle spettacolarizzazioni televisive, la forza della cucina in Italia è proprio questa: la miniera di tradizione che ciascuno di noi si porta nel proprio bagaglio culturale e psicologico". Concludendo con: "Cosa si portavano gli emigranti del Sud al Nord e quelli italiani all'estero? Il cibo di casa. Cosa si infilava nelle sacche da viaggio di chi faceva servizio militare o andava a studiare in università lontane? Il cibo di casa. E quanti dei ricordi che abbiamo delle nostre mamme e delle nostre nonne sono legati a quello che ci cucinavano? Tantissimi".

Questa iniziativa è solo l'ennesima dimostrazione del grande cuore e della generosità degli italiani e, nel nostro caso, dei campani. Infatti, l'iniziativa che si è tenuta all'interno del Pizza Village segue la scia dei tanti aiuti arrivati dalla Campania, intesa sia come cittadini che istituzioni, nelle figure del Governatore Vincenzo De Luca e della Conferenza Stato Regioni

E, per rimanere in ambito pizza, già nelle ore successive al sisma, via social, si erano attivati i professionisti del settore, avanzando proposte simili, come quella di Pasqualino Rossi, giovane star del settore (impegnato a settembre anche con il XV Trofeo Caputo, che ha decretato il miglior pizzaiolo mondiale), che all'indomani della catastrofe scriveva: "Ciao amici , volevo informarvi che da oggi presso la nostra pizzeria ci sarà la pizza amatriciana al costo di 5 euro, i quali verranno devoluti alle popolazioni colpite dal sisma … La pizza unisce, io e voi uniti a loro".

Napoli, celebrata la prima Unione Civile

di Teresa Uomo

Migliaia di persone erano già scese in piazza a Napoli a difesa delle Unioni Civili. Il corteo, dal titolo emblematico “Svegliati Italia”, lo scorso 23 gennaio era partito da piazza Carità fino ad arrivare a Piazza del Plebiscito che, per l’occasione, aveva assunto i colori dell’arcobaleno. Proprio come quelli delle famiglie che avevano chiesto al Parlamento il coraggio della civiltà, quello necessario per prevedere un sistema di diritti contro le intollerabili discriminazioni verso famiglie e coppie dello stesso sesso. Perché come ha affermato il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, “il vincolo universale è quello dell’amore, il resto sono convenzioni giuridiche che spettano agli organi costituzionali applicati. Napoli ci crede, è in prima linea”. 

Danilo e Antonello con il sindaco in Sala Giunta
(foto di Velia Cammarano)
Lo scorso 12 Agosto, nella Sala della Giunta di Palazzo San Giacomo, Antonello Sannino, 39 anni, responsabile dell’Arcigay di Napoli, e Danilo Di Leo, 29 anni, ballerino del Teatro San Carlo, hanno firmato il registro per le Unioni Civili. Sono stati i primi a farlo a Napoli. Ad accogliere la richiesta l’assessore alle Pari Opportunità Daniela Villani e l’ufficiale dello Stato Civile Luigi Loffredo. È stato il primo momento che ha visto concretizzati i diritti di uguaglianza e di libertà. Dopo la registrazione del 12 Agosto poi, il 20 Settembre è stato il sindaco de Magistris in persona a celebrare, sempre in Sala Giunta, l’unione di Antonello e Danilo. Una giornata destinata a passare alla storia poiché si tratta della prima vera unione civile a Napoli. Insomma, l’articolo 3 della Costituzione diventa realtà e il capoluogo partenopeo continua a dare al Paese forti segnali di crescita. 

Il Comune di Napoli, in realtà, già nel Febbraio 2012 aveva istituito il registro delle Unioni Civili e, dallo scorso 8 Agosto, ha messo a disposizione tutta la documentazione per poter avviare il percorso di formalizzazione. E’ opportuno ricordare, infatti, come si legge anche sul sito istituzionale dello stesso Comune, che la richiesta di costituzione di una Unione Civile va sottoscritta congiuntamente da chi la richiede davanti all'ufficiale di Stato Civile, compilando il modulo di richiesta con i dati anagrafici dei richiedenti. La domanda verrà poi verbalizzata esclusivamente dal servizio Anagrafe Stato Civile ed Elettorale sito a Palazzo San Giacomo. Successivamente potranno essere registrate, a pagamento, presso Sala della Loggia del Maschio Angioino, oppure gratuitamente presso la Sala della Giunta Comunale a Palazzo San Giacomo a Piazza Municipio; a partire dal mese di Ottobre le richieste potranno essere presentate unicamente in tutte le dieci Municipalità, presso le quali le Unioni Civili potranno essere registrate gratuitamente

Il cittadino straniero che vuole costituire in Italia un’Unione Civile deve presentare, al momento della richiesta, anche una dichiarazione dell’autorità competente del proprio Paese di appartenenza. La dichiarazione deve essere legalizzata presso la Prefettura di Napoli e il documento deve contenere le generalità dell’interessato con nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza e stato civile.