di Antonio Lepre
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Una delle scene di "Ferdinando" di Annibale Ruccello |
Annibale Ruccello scomparve la notte del 12 settembre del 1986, ben trent'anni fa. Egli ci ha lasciato un vero e proprio capolavoro della drammaturgia napoletana, ossia Ferdinando, scritta nel 1985 per l’attrice Isa Danieli.
La vicenda è in sé semplicissima, infatti, Ruccello narra la storia di una baronessa borbonica fedele al Regno delle due Sicilie che rifugiatasi nell'area vesuviana sceglie l’isolamento e il disprezzo nei confronti dell’Unità d’Italia e della media borghesia nascente; donna Clotilde trascorre la sua esistenza tra una cugina povera Gesualdina e un prete Don Catellino dai mille intrallazzi furfanteschi, sino a quando non arrivare a scombussolare la sua esistenza un fantomatico nipote, Ferdinando, portando al degrado l’intera vicenda che terminerà con omicidi, furti e scene di sesso.
Naturalmente non era desiderio dell’autore trarne un dramma storico, semmai mostrare l’abbandono in cui vertono i quattro personaggi con le loro bramosie sessuali, i loro desideri, la loro perfidia. I personaggi di Ferdinando appartengono al grande panorama teatrale del secondo dopoguerra, infatti, essi potrebbero appartenere tranquillamente alla penna di Samuel Beckett. Sono dei reietti della società, vivono isolati in una sorta di bunker proprio come Beckett immaginò molti dei suoi personaggi come Krapp de L’ultimo nastro di Krapp o Winny di Giorni Felici.
Un ruolo importante in questo testo lo ricopre la lingua. E’ opportuno ricordare, infatti, che il teatro a Napoli ha sempre parlato napoletano, ma nel corso del ‘900, a causa anche delle leggi del regime fascista che prevedevano l’abolizione dei dialetti, si è un po’ italianizzato, come nel caso dei testi di Eduardo o anche Peppino De Filippo, ma Annibale Ruccello, da antropologo qual era, ha rivalutato la lingua napoletano del Settecento e dell’Ottocento addirittura considerandola migliore di quella Italiana. Basti pensare ad una battuta di Clotilde che così recita: "E po’ co sta lengua toscana avite frusciato lo tafanario a miezo munno! Vale cchiù na parola Napoletana chiantuta ca tutte li vocabole de la Crusca!" (e poi con la lingua italiana avete rovinato mezzo mondo! Vale più una parola napoletana che si piange piuttosto che tutti i vocaboli dell’Accademia della Crusca).
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