giovedì 27 ottobre 2016

Lavoro in Italia: ce n’è per tutti?

di Noemi Colicchio

Una bambina immigrata 
La fine del 2016 è in dirittura d’arrivo. È dunque tempo di bilanci e parlarne circa il tema immigrazione dà vita a cifre considerevoli in ogni aspetto analizzato. Inutile scrivere del numero di imbarcazioni intercettate e salvate nel Mediterraneo dalla Guardia Costiera, piuttosto che delle vittime mietute dal mare. 

Ciò che sembra premere maggiormente all'italiano medio è il forte costo sociale dei rifugiati, il cui peso specifico oscilla da sempre tra le politiche di welfare adottate dallo Stato e i contributi al Pil del paese da essi versati lavorando. Anche contro coloro che hanno ottenuto un impiego, le polemiche non sembrano placarsi: nella patria delle “fughe di cervelli” a causa della inefficiente collocazione di risorse nostrane, è giusto incaricarsi di garantire un posto di lavoro anche agli immigrati? Ma soprattutto, ce n’è per tutti?

Uno studio di recente pubblicazione, ad opera della National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, ha analizzato l’impatto economico e demografico dei flussi migratori negli USA nell’arco degli ultimi 20 anni. Conclusione? Nel lungo periodo, l’immigrazione ha scarsi impatti negativi sulle condizioni di vita dei residenti, maggiori invece su quelle dei migranti arrivati negli anni precedenti: aumentando l’offerta di manodopera, il costo del lavoro si dimezza.

Per onestà intellettuale bisogna sottolineare la distanza economica, di carattere realmente oceanico, che separa l’Italia dalla potenza americana. Ma quanto affermato dalla scienza dovrebbe farci riflettere. Tralasciando inutili intellettualismi e affrontando la questione con atteggiamento pragmatico, sarà doveroso notare come ai lavori in cui sono impiegati gli immigrati, potrebbero avere accesso anche i giovani italiani… qualora lo volessero! Si definiscono “3D jobs: dirty, dangerous, demanding”, e il loro contributo alla crescita nazionale viene misurato in 8 punti in media all’anno di PIL, per una cifra pari a 100 miliardi di euro

Il timore che i migranti possano assorbire tutte le risorse del welfare è una visione inesatta. Loro versano, ogni anno, 8 miliardi alle casse del sistema di sicurezza sociale e ne prelevano sotto forma di pensioni e prestazioni sociali circa tre, con un saldo attivo di cinque miliardi di euro” – affermò nel mese di Giugno Tito Boeri, presidente dell’INPS. Ed è parere comune tra tutti gli economisti del paese che gli immigrati sono una manna dal cielo per le casse dello Stato, mai strabordanti. Lavorano, versano contributi e magari vanno via anche prima di ricevere ciò che gli spetta per la pensione. 

Immigrati a lavoro
Da considerare anche una recente ricerca ad opera della Fondazione Ismu, Istituto per lo Studio della Multietnicità secondo cui sono giunti in Italia attraverso il Mediterraneo oltre 16.800 minori non accompagnati nel 2015, su 12.360 totali: il 15% di tutti gli arrivi via mare e il 91% dei minori sbarcati. 

Così, mentre l’Ungheria vota con referendum per il “no” all’apertura delle porte agli immigrati, in Italia ormai (fortunatamente) non si dubita se accoglierli o meno, ma in che modo favorirne l’integrazione. Piuttosto che lasciar spazio alla paura di vedersi rubato un posto di lavoro, il paese dovrebbe arrivare alla consapevolezza che l’immigrazione è un dato di fatto e bisogna trarre da una oggettiva situazione di difficoltà il miglior risultato possibile. Oltre che un obbligo morale, sarà costruttivo puntare sulla formazione dei giovani guerrieri del mare, così da permettere loro di contribuire attivamente alla crescita del nostro paese.



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