martedì 22 novembre 2016

Napoli e la sua “fabbrica di cioccolato”

di Marcello de Angelis

Nel meraviglioso romanzo “La fabbrica di cioccolato” lo scrittore Roland Dahl narrava le incredibili avventure capitate a 5 bambini che, vincendo un bizzarro concorso, avevano avuto la possibilità di visitate la più grande cioccolateria del mondo, gestita dal surreale Willy Wonka, magico e geniale inventore di incredibili gusti dolciari sempre nuovi. Opera di fantasia ovviamente! Però… se prendiamo i tre elementi fondamentali di questa storia: la fabbrica, il cioccolato, il proprietario dall’estro intuitivo, e trasferiamo il tutto nella cornice del golfo di Napoli, ecco prendere forma davanti ai nostri occhi la storia di Gay-Odin, la più famosa fabbrica di cioccolato della città partenopea.

Ed ecco Isidoro Odin, novello Willy Wonka, ventitreenne confettiere e cioccolatiere di Alba in Piemonte (ma originario della Svizzera) che a fine ‘800 decise di intraprendere un viaggio verso Napoli. In effetti, dopo Torino e Milano, già “conquistate” dalle sue delizie, rimanevano Roma o Napoli. La nostra città proprio in quel periodo rappresentava un vero e proprio centro culturale di grande importanza, alla pari di Londra, Parigi e Vienna, un ritrovo di intellettuali ed artisti provenienti da tutta Europa che la rendeva, a ben ragione, l’unica in grado di apprezzare le sue nuove, sperimentali combinazioni di sapori. Infatti, mentre per la maggior parte dei cioccolatieri la lavorazione del cioccolato non sembrava più in grado di offrire grosse novità, Isidoro intuì che i rapporti fra gli ingredienti, il vario utilizzo della cannella e di altri aromi, l'impasto e i tempi di tostatura potevano riservare ancora molte sorprese. 

E così, con una valigia, qualche migliaio di lire e un biglietto di terza classe, partì per quella che in quel tempo ancora poteva definirsi come la capitale del sud! La città lo affascina a prima vista: resta stregato dalla sua bellezza e da quella folla che ai primi del secolo anima Via Toledo sino a notte fonda. Ai piedi del Vesuvio trova ad accoglierlo un popolo con un palato abituato alle cose buone e, come aveva immaginato, desideroso di provare nuove fusioni di caratteri. Gli odori e i sapori che scopre nella cucina partenopea diventano l’ispirazione per le sue creazioni.

Decise di stabilirsi nel quartiere Chiaia, salotto buono della città dove, tra raffinati negozi, nasce la sua prima bottega, un posto a metà strada tra un laboratorio e un negozio, semplice ma elegantemente arredata tanto che finirà per essere inserita tra i locali storici d’Italia. L’ambiente è piuttosto piccolo, ma situato in un posto meravigliosamente strategico: all’inizio di via Chiaia, quasi su Largo Carolina. In un fazzoletto di poche strade limitrofe si trova il centro nevralgico della città: il Gambrinus, il Circolo dell’Unione, le due basiliche di S. Francesco di Paola e di S. Ferdinando, la Galleria Umberto, la Prefettura, il Palazzo reale, il teatro San Carlo. 

Il negozio viene immediatamente apprezzato dal pubblico e quel dolce nettare che il giovane Odin espone nelle sue vetrine ancora di più: le essenze create da Isidoro iniziarono a far parte ufficialmente della tradizione partenopea. Le innovative miscele di variegati gusti, insieme al piacevolissimo profumo di cioccolato tostato che si espandeva da quella bottega ed in tutta la zona, piacquero a tal punto che, per soddisfare tutti, vennero aperte altre due sedi: la prima a Via Toledo e poi, nel 1922, il laboratorio di Via Vetriera 12, nel cuore della città, a pochi metri dal palazzo del principe d’Avalos, e quasi a ridosso di via Dei Mille, dove negli anni Venti abitava la migliore borghesia napoletana. Essa diede lavoro ad oltre cento persone, e, in puro stile Odin, mantenne fisso lo standard della lavorazione artigianale del cioccolato, decisione di chi non si lascerà mai influenzare dalla rivoluzione industriale. 

Una volta consolidata la sua condizione economica, Isidoro sposò la conterranea e collaboratrice Onorina Gay e fondò ufficialmente il marchio Gay-Odin creando contestualmente la storica confezione, simbolo dell'azienda: la famosa carta bianca con il logo scritto in carattere liberty dal colore blu di Prussia, in cui da allora iniziarono ad esservi adagiati i meravigliosi “nudi” dalle mille forme e sapori inconfondibili, le tavolette classiche o la celeberrima “foresta” e le cialde ricche di crema al latte o alla gianduia.

Si moltiplicarono i punti vendita a Napoli fino ad arrivare a sette nel secondo dopoguerra. La tecnica di produzione col passare degli anni non subì alcuna modifica continuando ad essere quella antica: la tostatura sempre lenta e in maniera artigianale. Eccellenti le materie prime utilizzate a cominciare dal cioccolato esclusivamente della pregiata varietà criollo, originario del Messico. Oltre al cacao, anche tutti gli altri ingredienti vennero selezionati accuratamente, la gamma di produzione era vastissima e, ai formati tradizionali prodotti tutto l’anno si aggiunsero col tempo quelli stagionali. 

Onorina e Isidoro non ebbero figli e, agli inizi degli anni ‘60, lui cominciò a trasferire tutti i segreti del mestiere a Giulio Castaldi, mantenendone però la direzione, fino alla sua scomparsa negli anni ‘70. Castaldi a sua volta, li trasferì al nipote Giuseppe Maglietta che, all'inizio degli anni ’80, prese le redini dell’azienda insieme alla moglie Marisa e poi con i figli Davide, Sveva e Dimitri. Tutt’oggi vivono e lavorano nel palazzo di Via Vetriera, dove l’arredamento continua ad essere quello originario così come i macchinari e la pregevole manifattura. Circa 30 operai si occupano del laboratorio e una ventina si dividono tra gli ormai nove negozi in città e quelli di Roma e Milano. Degna di nota è l’innovativa vendita online capace di offrire anche a chi è lontano la possibilità di gustare le meraviglie dei Maître Chocolatier. Oggi, grazie a quel Piemontese che ha dato nuovo slancio alla già famosa tradizione gastronomica partenopea tra pastiere, sfogliatelle e babà, trova sicuramente il suo posto anche il cioccolato.

Che dire ancora di un posto così seducente dove i profumi e gli aromi si fondono ogni giorno con l’amore di chi ha fatto di un sogno il proprio lavoro e un’eccellenza nel mondo dell’industria napoletana? A questo punto risulta chiaro che Isidoro Odin non avrà avuto i poteri di Willy Wonka e la fabbrica di Via Vetriera non sarà “fantastica” come quella di Roland Dahl, ma la magia profusa dalla cioccolata di Gay-Odin è capace di regalare a tutti, ma proprio tutti, un momento di dolcissime emozioni.


PAN di Napoli: in mostra fino a Febbraio i capolavori “senza confini” del genio americano McCurry

di Antonio Ianuale

Steve McCurry
Lo scorso 28 ottobre è stata inaugurata al Palazzo delle Arti di Napoli, la mostra fotografica “Senza Confini” che raccoglie una selezione delle migliori e più significative fotografie del maestro americano Steve McCurry. Nato a Philadelphia nel 1950, McCurry è uno dei grandi maestri della fotografia contemporanea, un osservatore attento e preciso del nostro tempo e per questo punto di riferimento per molti giovanissimi che ne apprezzano l’impegno e il talento. 

Proprio nelle zone senza confini, dove si vivono i conflitti e si conoscono fin troppo bene le sofferenze delle guerra, McCurry rivolge l’obiettivo della sua fotografia: l’esposizione si apre con una sezione di foto in bianco e nero, scattate tra il 1979 e il 1980 nella sua prima missione in Afghanistan, dove McCurry era riuscito ad entrare, vestito in abiti tradizionali, insieme ai mujaheddin che combattevano contro l’invasione sovietica. Nel paese afgano, McCurry ritornò nel 1984 per realizzare un reportage per National Geografic, realizzando una delle foto più famose del suo repertorio: La Ragazza Afgana, divenuta icona di dignità e allo stesso tempo della tragicità del destino del popolo afgano.

La ragazza afgana
La bambina dagli occhi verdi immortalata da McCurry nella copertina della rivista, era la dodicenne Sharbat Gula la cui espressione tra l’incredulità e la voglia di riscatto aveva conquistato il mondo. Nel 2002 McCurry decise di ritrovare la ragazzina divenuta ormai donna, partendo nuovamente per l’ Afghanistan: con l’ausilio dei mezzi di National Geografic e dopo un lungo viaggio, il fotografo ritrovò Sharbat, riuscì ad incontrarla e decise di immortalarla nuovamente. La donna adesso era sposata, madre di tre figlie, con il volto segnato dalla tante sofferenze della guerra, ma con la stessa espressione di tanti anni addietro.

L’esposizione allestita al Pan contiene entrambi le foto di Sharbat, che ancora oggi vive l’orrore della guerra: arrestata perché in possesso di documenti falsi, la sua sorte è ancora in pericolo. Anche lo stesso McCurry si è mobilitato per lei, chiedendone la liberazione. Oltre alle immagini che raccontano l’orrore della guerra, McCurry ha documentato altri eventi che hanno segnato il mondo: dalla guerra del Golfo, al crollo delle Twin Towers e allo tsunami in Giappone

Gli appassionati potranno anche usufruire della autoguida dove lo stesso McCurry descrive i suoi scatti, con filmati dei suoi viaggi e commoventi testimonianze. La mostra ha ottenuto subito un grande successo, con oltre mille visitatori solo nei primi due giorni. L’exhibit, prodotto da Civita Mostre, in collaborazione con “SudEst57” e promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, sarà visitabile ogni giorno fino al prossimo 12 febbraio, tranne il martedì (giorno di chiusura del museo), con un biglietto di 11 euro.

I capolavori rubati del Maestro Van Gogh

di Marcello de Angelis

Autoritratto di Van Gogh
Una cosa è certa, se Vincent Van Gogh, il controverso Maestro dell’impressionismo, autore di alcuni dei capolavori assoluti della storia dell’arte avesse saputo quale fine avrebbero fatto due dei suoi dipinti ed in quali mani sarebbero finite, avrebbe sicuramente ritrovato quel barlume di lucidità che spesso gli mancava e, anziché tagliarsi il lobo di un orecchio in un eccesso di rabbia creativa, avrebbe di sicuro appeso al chiodo pennello e tavolozza per cambiare mestiere. Già, perché la suddetta coppia di tele è finita per un bizzarro scherzo del destino a Castellammare di Stabia. Nel garage del padre di Raffaele Imperiale, un arcinoto narcotrafficante, originario del comune vesuviano, ma trasferito a Dubai per motivi, diciamo… “professionali”, dove attualmente risulta latitante.

La storia è quella di cui sicuramente si è già sentito parlare: era il 2002, quando la mattina del 7 dicembre il mondo seppe che dal museo di Amsterdam intitolato proprio al grande pittore, erano stati rubati due sue celebri opere. Il furto avvenne con imprevedibile facilità poco prima delle 8 di mattina: i ladri si arrampicarono con una scala sul tetto ed entrarono eludendo tutti i sofisticati sistemi di sicurezza. Prelevati i dipinti, si allontanarono indisturbati prima che giungessero i custodi per l’apertura al pubblico. I quadri rubati sono: “La congregazione lascia la Chiesa riformata di Noenen” del 1885, opera unica nel suo genere per un particolare valore simbolico affettivo, in quanto il Pastore protestante di quella chiesa era il papà di Van Gogh, e la “Spiaggia di Scheveningen prima di una tempesta” del 1882 rispettivamente del formato 41 per 32 centimetri e 34 per 51, essi fanno riferimento ai suoi primi anni di attività.

"La Congregazione..."
La polizia subito isolò l’edificio alla ricerca di possibili indizi. Non fu possibile fornire una stima del loro valore in quanto non in vendita, ma di sicuro si parla di diversi milioni di euro in considerazione del fatto che nel 1998 un suo autoritratto fu battuto ad un’asta di New York per 71 milioni di dollari. Il museo ospita la sua più vasta collezione e proprio in quei giorni si stava preparando per le celebrazioni del 150mo anniversario della nascita dell'artista nel successivo 2003. 

Ironia della sorte, che da sempre accompagna la misteriosa e tormentata aura che circonda Van Gogh, è che mentre oggi è in assoluto il maggior obiettivo tra i ladri di opere d’arte ed è considerato secondo solo a Rembrandt, in vita egli riuscì a vendere un solo dipinto. Nel 1991, sempre allo stesso museo, alcuni malviventi ne rubarono una ventina dopo aver tenuto in ostaggio alcune guardie, ma essi furono recuperati mezz’ora dopo in un'auto abbandonata. Nel 1998 furono trafugati dalla Galleria Nazionale d’arte moderna di Roma sempre del Maestro olandese “Il giardiniere” e “L'arlesiana”, recuperati pochi mesi dopo. 

Stavolta però le cose sembravano essere andate diversamente. Infatti, per ben 14 anni, dei quadri (entrati nel frattempo a far parte della schiera di quelli più ricercati al mondo, inseriti dall'Fbi tra le “Top ten art crimes”), non si seppe più nulla, quasi fossero spariti dalla faccia della terra. Ed è invece del 30 settembre scorso la notizia che le due prestigiose tele trafugate nel 2002 sono state ritrovate e sequestrate a Napoli dalla Guardia di Finanza nel corso di un’operazione contro un gruppo di narcotrafficanti in affari con il clan camorristico degli Amato-Pagano, i cosiddetti scissionisti attivi nelle zone di Secondigliano e Scampia. 

Esse erano dunque finite nelle mani dei clan e tenute nascoste in una delle case riconducibili all’Imperiale, per la precisione quella dei suoi genitori, pare avvolte in un lenzuolo e nascoste in una cassapanca del garage nella periferia nord di Castellammare di Stabia. Signore del narcotraffico ora latitante a Dubai, Imperiale fu arrestato nel gennaio scorso assieme a Mario Cerrone, il quale ha cominciato a collaborare con gli investigatori. Ed è stato proprio Cerrone a rivelare agli investigatori la circostanza che Imperiale custodiva i dipinti e ad indicare con precisione dove trovarli. 

"La spiaggia di Scheveningen...."
Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice e dai sostituti Marra, De Marco e Castaldi. I militari, guidati dal colonnello Giovanni Salerno, li hanno rivenuti nel corso di un sequestro di beni per decine di milioni di euro al gruppo di Imperiale, che da Dubai guidava indisturbato un clan di fidatissimi corrieri, con cui coltivava relazioni dal Venezuela al Perù, con l’obiettivo di sommergere di cocaina Napoli. Tanta droga, tanto denaro da investire e l’idea di puntare sull’Arte, arrivando a mettere le mani sugli eccezionali lavori di Van Vogh. 

E proprio dalla capitale degli Emirati arabi, attraverso i suoi legali, ha da poco fatto sapere che non ha intenzione di impugnare davanti al Tribunale del Riesame il provvedimento di sequestro di ingenti beni, per il valore di decine di milioni di euro, incluse le famose tele in questione, annunciando di volerle consegnare allo Stato. Una mossa che potrebbe essere dettata dall’idea di ottenere qualche beneficio giudiziario coadiuvata dall’invio di una sua memoria difensiva inerente al processo per camorra tuttora in corso, dove spiega di avere pagato cinque milioni di euro, versati in dieci rate. Il Premier Matteo Renzi è intervenuto con un tweet ringraziando la Guardia di Finanza per il prezioso recupero.

Il Museo Van Gogh 
Axel Ruger, direttore del museo Van Gogh, si è detto molto soddisfatto del ritrovamento: “È una giornata veramente emozionante, siamo incredibilmente felici che i quadri tornino in Olanda ed immensamente grati ai magistrati e agli investigatori italiani. Essi sono rimasti per 14 anni in mani criminali”. “Un recupero straordinario che conferma la forza del sistema Italia nella lotta al traffico illecito delle opere d’arte” ha dichiarato invece il Ministro di Beni culturali e Turismo Dario Franceschini

Tutta questa storia richiama alla memoria il furto della Gioconda dal Louvre avvenuto nel 1911 ad opera dell’italiano Vincenzo Peruggia, convinto che il dipinto appartenesse all'Italia e non dovesse quindi restare in Francia. Rubata di notte, la tela finì in una valigia posta sotto il letto di una pensione di Parigi, la custodì per ventotto mesi e successivamente la portò nel suo paese d'origine, a Luino, con l'intenzione di “regalarlo all'Italia”. Assolutamente deprecabile il gesto, ma almeno quello poteva essere considerato diciamo… “un nobile obiettivo”. Oggi invece fa davvero uno strano effetto immaginare i due dipinti del Maestro in una cassapanca o addirittura sotto ad un letto, magari accanto ad un paio di pantofole…rubati con finalità totalmente differenti rispetto al Peruggia, stavolta solo per bramosia di potere e di denaro. Ma d’altronde, quando l’arte incontra l’ignoranza e la bestialità di persone votate alla violenza e alla sopraffazione, si creano delle distorsioni talmente stridenti che potrebbero essere frutto di un soggetto surreale per un film. Ma non lo sono. Purtroppo.

Rapporto Svimez 2016: crescono i consumi, ma aumenta l’occupazione “atipica”

di Massimiliano Pennone

Svimez, l'associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno ha pubblicato nei giorni scorsi i dati del suo ultimo rapporto. Secondo lo studio, il Pil italiano nel 2016 dovrebbe crescere dello 0,8 per cento (risultato di un + 0,9 percento del Centro-Nord e di un + 0,5 per cento del Sud). Il trend è destinato a continuare anche nel 2017, quando, secondo l’istituto, il Pil italiano dovrebbe aumentare di un punto percentuale.

A trainare la crescita è l’andamento dei consumi, stimato nello +0,6 per cento al Centro-Nord e nello +0,4 per cento al Sud, segno del fatto che dalla ripartenza del Mezzogiorno dipende la crescita dell’intero Paese. Un cambio di passo particolarmente significativo, che si verifica dopo ben sette anni di ininterrotta riduzione del livello del prodotto, rilevabile in tutte le regioni.

Si riduce, infatti, la forbice con il resto del Paese, sebbene al Sud permangono ancora importanti gap in fatto di occupazione: secondo il rapporto, rimane enorme il problema di sotto utilizzazione della forza lavoro, soprattutto per quanto riguarda le donne ed i più giovani. Proprio per questi ultimi, il Mezzogiorno si colloca in fondo alle classifiche europee, sia per il mercato del lavoro che per la formazione, dove è peggiore della Spagna e perfino della Grecia: basti pensare che al Sud solo il 52% di chi fa richiesta per una borsa di studio risulta idoneo, contro il 92% del Nord. 

E’ la stessa Svimez a fare un quadro chiaro della situazione: troppi contratti a termine e part-time, con un aumento dell’occupazione ”atipica” (contratti a termine e part-time) e del fenomeno dei voucher. Peraltro, il maggior contributo alla ripresa occupazionale meridionale (+ 0,2%) viene proprio da questo tipo di assunzioni e dai settori del turismo e dell’agricoltura.

Per questo allora l’istituto rinnova l’appello per un interesse forte e strutturale delle istituzioni che riesca a rilanciare il Mezzogiorno, anche attraverso strumenti di incentivazione nazionali per le imprese e le famiglie (il 60% degli individui nelle famiglie giovani sono a rischio povertà, mentre il tasso di povertà assoluta si aggira intorno al 10% circa e sfiora il 40% nelle due regioni più grandi, Sicilia e Campania). Nonostante questi numeri, però, secondo Adriano Giannola, presidente della Svimez, “il segnale della ripresa del Mezzogiorno c'è”, una ripresa che però “va nutrita con investimenti e continuità nei progetti”.

Ben vengano quindi interventi come l'esonero totale dal pagamento dei contributi INPS a carico del datore di lavoro per i nuovi assunti, giovani e svantaggiati, a tempo indeterminato, introdotto dal Governo per le aziende del Sud nel 2017. Così come una vera e propria politica industriale per il rilancio del Mezzogiorno che la stessa Svimez ha suggerito al Governo con la presentazione del rapporto.

Ed è proprio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, che risponde a Giannola ricordando come siano già operativi il masterplan e i patti per lo sviluppo del Mezzogiorno. “Non abbiamo più alibi”, ha aggiunto poi De Vincenti, che descrive il Sud come “una realtà viva con delle eccellenze imprenditoriali, capacità di innovare e di competere”.

Giulia, laureata a 79 anni: ad maiora!

di Noemi Colicchio 

In pochi giorni ha fatto il giro del web la foto della signora in giacca nera e camicia bianca, con la corona d’alloro poggiata sul capo e gli occhiali dalla montatura forse troppo grande per un viso così piccolo e solcato dalle rughe. Si china ad apporre la sua firma sul documento che la certifica finalmente Dottoressa in Sociologia, scambiando uno sguardo complice e di soddisfazione con il Presidente di Commissione in tonaca arancione, come da tradizione. 

Giulia Venezia D’Anna, 79 anni, in seduta di laurea
Lei è Giulia Venezia D’Anna, classe 1937, laureata presso l’Università Federico II di Napoli all’età di 79 anni, con tesi intitolata:“Oliver Twist: un’analisi sociologica” presso la cattedra di “Sociologia dei processi culturale e comunicativi” del Prof. Gianfranco Pecchinenda. Mirata la scelta della facoltà da frequentare, come lei stessa tiene a precisare:“Non volevo cadere nella sindrome della casalinga che sta in casa e basta, così mi sono iscritta a sociologia perché ritengo che ogni fenomeno che accade vada letto e interpretato alla luce dell'analisi sociologica"

Probabilmente vicino al suo vissuto, il celebre romanzo di Charles Dickens viene spesso considerato come uno dei primi romanzi sociali della storia della letteratura. Le problematiche vissute dal protagonista Oliver, la vita in povertà descritta con dovizia di particolari, rendono l’opera anti-romantica e capace di svelare la spessa ipocrisia dell’epoca vittoriana. Fu proprio la necessità che indusse Giulia ad abbandonare la scuola e dedicarsi al lavoro, per dare una mano in casa. Ma già all’età di 50 anni, una volta realizzata la sua vita da madre di famiglia e casalinga, il suo reale spirito assetato di conoscenza e speranzoso di essergli riconosciuta una certa autorevolezza sociale che solo lo studio può dare, straripò nella voglia di ottenere almeno un diploma. Non poche però furono le difficoltà. La scuola serale, infatti, a Napoli non esisteva ancora. Era permesso l’inserimento in corsi preesistenti di allievi in qualsiasi fascia d’età, ma com’è facile immaginare, l’integrazione non era facile per i nuovi arrivati. Giulia non si perde d’animo, si reca a Roma e riesce miracolosamente ad essere accolta in udienza dall’allora Ministro dell’Istruzione, Riccardo Misasi, che subito si mette all’opera per correggere il grave errore. 

Ma la sua carriera universitaria sembra non finire qui: Giulia ha intenzione di conseguire un ulteriore titolo di studio, dedicandosi ad un Corso di Laurea Specialistica in Cinema. E, impensabile per un comune studente, ha già scelto l’argomento di tesi: Kubrick o Truffaut, per mantenersi sul facile.

Anthony Brutto, laureato a 94 anni
A quanto pare, però, la nostra concittadina non è né l’unica né la più anziana matricola degli ultimi anni: nel 2015 infatti, a distanza di soli 75 giorni dalla sua iscrizione alla West Virginia University di Morgantown, si è laureato Anthony Brutto all’età di 94 anni

Tuttavia, ad oggi, il laureato più anziano del mondo è ancora Leo Plass: ha conseguito il titolo a 99 anni, presso la Eastern Oregon University, con un’iscrizione datata 1932 e congelata a causa della Grande Depressione. 

In attesa del report annuale firmato Istat, stilato solitamente nel mese di dicembre, stando ai dati del 2016, il numero di pensionati in Italia è calato di 134 mila individui tra il 2013 e il 2016, ma le pensioni da essi percepite continuano ad attestarsi al di sotto di 1.045 euro al mese. La qualità di vita garantita da una copertura economica così infima non è da fare invidia.

Vero che non tutti hanno la stessa carica motivazionale della Signora Giulia, né di altri che abbiamo citato. Ma ciò che colpisce è la capacità dello studio di rendere liberi, almeno nell’animo, anche coloro che la società non ritiene più utili al proprio fatturato e spesso considera come un peso. Il più grande riscatto sociale di sempre è la cultura.


Quando a Napoli c’era la Pretura

di Marcello de Angelis

C’era un volta…il Pretore! Già, una figura attualmente quasi mitologica per gli avvocati e per tutti gli altri operatori del diritto di nuovissima generazione. Questi era in pratica l’unico giudice del mondo occidentale che - fino alla riforma del 1989 - racchiudeva in una sola persona la funzione giudicante e quella di pubblico ministero (nel ruolo di inquirente). A Napoli le sue funzioni venivano esercitate in un edificio situato nel cuore della città, tra le piazze Giovanni Leone e San Francesco di Paola a due passi da Castel Capuano, sede storica del Tribunale, appena superata Porta Capuana. 

Lo storico Palazzo dell'ex Pretura a Napoli
Il palazzo della Pretura ha una storia che affonda le sue radici fino al 1792, quando la seicentesca Chiesa barocca progettata da Roberto Pane e da Francesco Grimaldi, che sorgeva ove oggi si estende Piazza Giovanni Leone, fu demolita, l’adiacente convento fu soppresso e al suo posto fu creato un ricovero per i carcerati della Vicaria. Per rendere la struttura più funzionale alla nuova destinazione, fu sottoposta ad una totale ristrutturazione, cosa che coinvolse anche il chiostro. Nel corso del 1800 subì una nuova trasformazione divenendo il famigerato “Carcere di San Francesco”; pochi cambiamenti ancora e poi, in pieno 1900, tra quelle stesse mura venne deciso di ospitare, appunto, la Pretura anche e soprattutto per ragioni di comodità venendo a trovarsi nella stessa zona del Palazzo di Giustizia.

Davanti al suo ingresso e nel cortile cominciò a prendere vita un pullulare rumoroso di imputati, testimoni veri o presunti insieme a non pochi faccendieri che stazionavano in attesa dell’inizio dei processi. Venivano trattate storie di assegni a vuoto, abusi edilizi, liti condominiali e quando si aprivano i battenti, una intera compagine di avvocati stava già a caccia di clienti. Quelli più in vista, i Principi del Foro, li chiamavano con una punta di disprezzo mista a derisione “i preturiani”

Un variegato misto di vite riempiva ogni angolo delle strade limitrofe e, tale giornaliero trambusto, era ovviamente trasmesso anche alle altre vie che si intersecavano con le piazze sopra citate, come Via Cesare Rosaroll, Via Casanova e Corso Garibaldi che ospitavano decine di negozi atti a soddisfare i bisogni di quella miriade di persone che si spostava tra il Tribunale e la Pretura: tabaccherie, bar, abbigliamento e tutto quanto poteva tornare utile a quel pullulare di umanità in movimento. Per non parlare poi dello stazionamento della TPN (Tramvie Provinciali Napoli, antenata della CTP) antistante l’ingresso dell’edificio: un continuo viavai di tram e di seguito autobus che dalla provincia portavano ogni giorno in città migliaia di persone.

Col passare del tempo, però, la struttura iniziò ad essere insufficiente per la mole di cause ma, soprattutto, per la scarsa sicurezza (la vetustà iniziava a farsi sentire), fino al punto che fu stabilita l’inagibilità totale del fabbricato. La cosa affrettò il trasferimento delle attività (suddivise in base ad un parametro economico) tra il Nuovo Palazzo di Giustizia al Centro Direzionale e il Giudice di Pace presso l’ex Caserma Garibaldi, nello stesso periodo in cui venne coniata la figura del Giudice Monocratico che di fatto mandò in soffitta l’immagine del Pretore

Portone d’ingresso su Piazza Leone
Da allora, un lento inesorabile degrado ha avvolto la zona nella sua integralità: col calar del sole iniziano a comparire clochard, spacciatori, prostitute, tossicodipendenti e ubriaconi violenti. Una “corte dei miracoli” che si annida sotto il fatiscente rudere di una costruzione ormai disastrata e che costantemente rende invivibile il rione tra litigi e zuffe, volti alla conquista di uno scherzo di piazza, dove vendere meglio dosi di droga così come il proprio corpo o semplicemente per trovare un angolo migliore dove piazzare dei cartoni e dormirci sopra. Uno scenario di abbandono e incuria allestito non in una sperduta periferia ma in piena città, sotto quel palazzone cadente ma dal glorioso passato che oggi appare arredato con materassi, coperte, cuscini, confezioni di vino e tante, troppe bottiglie di birra che si alternano ad una distesa di siringhe usate. 

Per meglio sottolineare la situazione di pericolo, va ricordato che nel 2014 i Vigili del Fuoco sono dovuti intervenire per mettere in sicurezza una parte dello stabile da cui erano caduti dei calcinacci proprio dove si stabilivano i banchi del mercatino, poi opportunamente spostato. Per non parlare poi dell’incendio appiccato agli inizi di febbraio di quest’anno che ha portato come conseguenza la distruzione del ligneo portone d’ingresso su Piazza Leone che oggi appare nero e transennato. Unica conseguenza di tale atto vandalico è stato che i senzatetto hanno dovuto trovare riparo alle spalle dell’edificio. 

L’intero caseggiato versa in uno stato di decadenza davvero avvilente, ove nelle mura diroccate si aprono tante finestre da cui si affacciavano centinaia di persone al giorno e che sono divenuti lugubri buchi neri che danno su ambienti fatiscenti le cui vetrate, quasi tutte spaccate, sono divenute pericolosissime ghigliottine per chi, ignaro di ciò, vi passa sotto. Pian piano tutta l’area circostante si è trasformata in un coacervo fatto di incuria e di piccoli grandi abusi che la rendono pericolosa al limite (spesso valicato) dell’incivile e dell’invivibile. 

Piazza Giovanni Leone a Napoli
Questa non è più la piazza in cui siamo nati e cresciuti, è diventata una terra di nessuno. Alle sette di sera dobbiamo abbassare la saracinesca e scappare via è solo uno delle innumerevoli grida di aiuto dei commercianti delle zone limitrofe, a partire da via Cesare Rosaroll; “Era una delle piazze più commerciali di Napoli, almeno fino a quando la Pretura e il Palazzo di Giustizia di Castel Capuano erano ancora in funzione. Adesso è diventata un ricettacolo di spacciatori, prostitute, tossicodipendenti e ubriaconi e nessuno muove un dito per arginare questo degrado” e ancora “Si parla di tanti progetti, e sembrano tutti imminenti, come pure quello della risistemazione del mercato del borgo di Sant’Antonio, qui di fronte” e riferendosi all’ex Pretura “è un rudere che dovrebbe essere riqualificato e destinato a funzioni più dignitose: teniamo presente che quando c’è vento da lassù cade di tutto, anche grosse lastre di vetro taglienti come lame”.

E così, ad oggi, quel casermone abbandonato è ancora lì, pericolante e pericoloso che aspetta di rinascere a nuova vita, appeso a un bando di gara che dovrebbe trasformarlo nella sede della Commissione Tributaria provinciale e regionale, o almeno così dicono alcune voci di corridoio, anche se un’inchiesta ha di recente ipotizzato l’esistenza di irregolarità e richieste di tangenti prima ancora che il progetto entrasse nella fase esecutiva. Resta però la speranza di poter assistere ad un cambiamento profondo della situazione, confidando nella nuova gestione della IV Municipalità in cui la zona dell’ormai cosiddetto “Vecchio Tribunale” rientra. Una amministrazione rinnovata nello scorso Giugno, che ha alle spalle un validissimo gruppo di politici e rappresenta una garanzia di novità nonché una certezza di cambiamento.

Autorità Portuale di Napoli: presidenza a Spirito, ma rimangono perplessità

di Antonio Cimminiello

La “telenovela” Porto di Napoli sembra finalmente finita. Dopo più di tre anni tra commissariamenti, polemiche e tanta incertezza, il Ministro per le Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio ha finalmente provveduto alla firma del decreto di nomina del nuovo Presidente: l’incarico va a Pietro Spirito

Pietro Spirito
Originario della provincia di Caserta, il 54enne Pietro Spirito vanta un interessante curriculum, caratterizzato già da precedenti direzioni di altre ed importanti realtà istituzionali, che vanno dall’ Interporto di Bologna fino all’ATAC di Roma. La precarietà che per lungo tempo ha riguardato il vertice dell’Autorità Portuale di Napoli ha senza dubbio inciso sulla crisi che la stessa ha dovuto sopportare di recente: basta ricordare la sola perdita di circa il 20 per cento degli occupati diretti verificatasi negli ultimi otto anni, unitamente ad altri problemi espressione più che altro di una diffusa disorganizzazione (dalla confusione nei parcheggi “a raso” fino al vertiginoso aumento dei costi relativi alla vasca di colmata). 

La nomina di Spirito assume un rilievo strategico. Essa infatti avviene in concomitanza con la designazione dei Presidenti delle Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico e del Mar Ionio, ma soprattutto in una fase di riorganizzazione delle stesse istituzioni marittime. Pietro Spirito infatti andrà esattamente a dirigere la cosiddetta “Autorità di sistema portuale del Medio Tirreno”, la quale ingloberà anche le Autorità portuali di Castellammare di Stabia e Salerno (per quest’ultima la fase di ingresso è stata appena avviata).

L’unico timore però è che, nonostante l’individuazione del Presidente, si possa ancora perdere altro tempo prezioso. Infatti l’iter per l’insediamento di Spirito non può ancora considerarsi concluso, essendo necessario il parere favorevole delle competenti commissioni parlamentari, sede nella quale già da ora sono state manifestate perplessità in ordine a tale scelta (ad esempio da parte del senatore PD Stefano Esposito). 

A tali perplessità si oppongono i commenti positivi già arrivati da più parti, dalla soddisfazione espressa dalla Assoagenti Campania (l’associazione rappresentativa degli agenti marittimi) fino al “disco verde” alla nomina mostrato dal Governatore della Campania Vincenzo de Luca. Quel che è certo è che, seppur con lentezza, in Campania ci si avvia progressivamente all’abbandono di situazioni di gestione “provvisoria”, per le quali l’esempio più importante è fornito in ambito sanitario, con la speranza che l’incertezza possa far spazio a quella “concretezza” invocata proprio per la gestione del Porto di Napoli dal sindaco partenopeo Luigi de Magistris.


Rischio terremoto: in Campania esistono i piani di emergenza?

di Luigi Rinaldi

Sismografo
Il violento ed inarrestabile sciame sismico, ancora in atto in alcune regioni del Centro Italia, sta giustamente catalizzando l’attenzione dei media e degli esperti. Tutti a chiedersi se e quando finirà e cosa altro bisogna aspettarsi. Timori e preoccupazioni crescono anche nella nostra Regione, dove non si è ancora rimarginata la ferita causata dal sisma del 1980. 

Il nostro territorio è ad alto rischio sismico e vulcanico ed i cittadini non nascondono ansia e paura. In molti si chiedono cosa accadrebbe nella nostra regione in caso di emergenza. Attualmente esiste un piano Vesuvio, ma da quasi un decennio non si svolgono prove di evacuazione. 

I piani di emergenza sono diventati obbligatori nel 1992, ma, per la maggior parte dei casi, seppur adottati dai Comuni, restano ad ammuffire nei cassetti. Scarne informazioni fornite alla cittadinanza, la quale, in caso di eruzione del Vesuvio, non è a conoscenza del comportamento da assumere e delle procedure da seguire. Purtroppo dal terremoto del 1980 ben poco è stato fatto in termini di prevenzione. 

I Campi Flegrei rappresentano una bomba ad orologeria e non sono mai state effettuate le prove di evacuazione. Un’altra zona ad alto rischio è rappresentata dall’isola di Ischia, eppure non esiste alcun piano di emergenza. Si continua a sottovalutare il rischio legato al Marsili, un vulcano sottomarino attivo nel mar Tirreno, che, in caso di eruzione, potrebbe provocare un violento tsunami in grado di creare ingenti danni su tutta la costa tirrenica. In un territorio densamente abitato come il nostro, prove di emergenza e di evacuazione appaiono di fondamentale importanza, perché in caso di calamità si rischierebbero il caos ed una tragedia epocale, in quanto la disorganizzazione aggiungerebbe danni a danni. 

Se per mettere in sicurezza edifici pubblici e privati sono necessari interventi talvolta anche molto costosi, quantunque necessari, rendere operativo un piano che magari già esiste, è solo una questione di buon senso ed organizzazione. I piani di emergenza, ove esistano, vanno rispolverati per fornire adeguate informazioni alla cittadinanza in merito ai luoghi ove recarsi in caso di emergenza, attrezzando aree e predisponendo una segnaletica ad hoc. 

Sarebbe opportuno anche fare delle esercitazioni periodiche, in modo da mantenere alto il livello di attenzione da parte di tutte le componenti. E’ assurdo spendere ogni anno ingenti risorse per professionisti ed esperti se poi le popolazioni locali non sono preparate ad ogni evenienza.

Teatro Trianon di Napoli: “rinascita” a rischio?

di Antonio Cimminiello

Il Teatro Trianon ed il suo direttore artistico Nino D'Angelo
Sembrava davvero tutto fatto per la “rinascita” del Teatro Trianon di Napoli. Chiuso ormai dal Maggio del 2014, il teatro di Piazza Calenda aveva di recente nuovamente attirato l’attenzione delle istituzioni, fino ad arrivare all’annuncio più atteso: la riapertura per il prossimo 25 Novembre

Nel frattempo, si sono susseguiti un sopralluogo dello stesso Governatore della Campania Vincenzo De Luca -che ha riguardato il cantiere aperto per il rifacimento degli impianti- e l’annuncio di nuove importanti iniziative da parte di Nino D’Angelo (nuovamente alla direzione del Trianon), tra cui l’apertura di un laboratorio teatrale e la “resurrezione” dell’antico e celebre Festival di Napoli. Ma, come è noto, è impossibile fare le nozze con i fichi secchi. 

Il problema più importante era e rimane la grande esposizione debitoria, pari a circa un milione di euro. L’attualità della questione è stata di recente ribadita da molteplici organizzazioni sindacali (tra cui il Sindacato dei Giornalisti della Campania), preoccupate dalla persistenza dei debiti riscontrata a fine Ottobre. Analoghi problemi erano già stati sottolineati nel Luglio scorso: era stata bocciata, in particolare, la scelta della Regione Campania (socia maggioritaria del Teatro Trianon) di utilizzare i 600.000 euro originariamente stanziati per far fronte per tre anni all’attività ordinaria o per sanare invece una parte dei debiti pregressi. Tale scelta avrebbe evidenziato l’assenza di un adeguato piano finanziario per la struttura. 

La delicatezza della controversia ha spinto i sindacati stessi a chiedere un incontro urgente tanto a De Luca quanto a Luigi De Magistris (al vertice della Città Metropolitana di Napoli, altro socio del Trianon). Qualcosa però sembra muoversi in positivo. Agli inizi di Novembre il Consiglio Regionale infatti, approvando all’unanimità la mozione del consigliere Luciano Passariello (FdI), ha deciso di prevedere nel Bilancio 2017 un fondo ad hoc, finalizzato specificamente alla sanatoria dei debiti del Teatro Trianon. Questa decisione sembra indirizzata ad eliminare ogni precarietà economica anche per il futuro, essendo stata prevista espressamente anche la possibilità di estinguere la massa debitoria complessiva in due anni. La voglia di godere nuovamente del “teatro del popolo” è davvero grande, come grande però è anche la voglia di non rivivere più le pagine oscure del passato, su tutte la notifica nel 2010 dell’atto di pignoramento immobiliare del teatro partenopeo.

Teatro Cilea di Napoli: Buccirosso riscrive (ancora) Manzoni con “Il Divorzio dei Compromessi Sposi”

di Antonio Ianuale 

L'attore Carlo Buccirosso
Il comico napoletano Carlo Buccirosso porta nuovamente Alessandro Manzoni a teatro, riadattando in chiave satiro-farsesca “I Promessi Sposi”, il capolavoro dello scrittore milanese. Il testo, riadattato per l’occasione “Il divorzio dei compromessi sposi”, andrà in scena al teatro Cilea dal 1 al 4 dicembre ed è la seconda riscrittura del testo manzoniano, che era stato già portato sulle scene dallo stesso Buccirosso nel 2006 con “I compromessi Sposi”. 

Non si tratta di un semplice sequel ma di una riedizione riveduta e corretta della prima pièce, con cambiamenti nel cast, di scene e anche delle canzoni. Quello che rimane è solo la storia che Buccirosso decide di non alternare: una storia “semplice” come la definisce il regista, che decide di ravvivarla un po’, innestando insieme al riso anche una profonda riflessione sociale. Ritroviamo dunque Don Rodrigo, un usuraio campano, che decide di emigrare sulle rive del lago di Como, con i propri scagnozzi, per tentare di rivitalizzare la propria attività finanziaria minata ormai dalla crisi crescente e dalla concorrenza di similari organizzazioni locali. 

A Como conosce e si innamora di Lucia Mondella, promessa sposa del giovane di umili origini Renzo Tramaglino. A rompere l’idillio dei due giovani saranno i debiti delle rispettive famiglie proprio con Don Rodrigo, che costringeranno Renzo e Lucia ad una “separazione prematrimoniale”. Accanto alle immancabili risate, Buccirosso introduce temi particolarmente sentiti come la famiglia, e la ricerca dei valori umani in una società che sembra averli dimenticati, abbandonandosi ad una spasmodica ricerca del denaro. 

Proprio il denaro diventa il vero motore dell’azione, che spinge i protagonisti alle azioni più bieche, come ad esempio la vendita delle mutande della Perpetua. L’usura con l’ombra della camorra sullo sfondo, insieme all’ipocrisia spingono ad una profonda riflessione. Un testo che si avvale anche della componente musicale con una selezioni di canzoni moderne e classiche che spaziano dal “Il Triangolo”, “Nessuno mi può giudicare”, a “Tammurriata nera”, “Dicitencello vuie”, “Funiculì fumiculà”. Il registro linguistico include vari e differenti dialetti che si alternano sulla scena: dal siciliano dell’Innominato, al veneto della Perpetua, ma c’è spazio anche per il pugliese, il milanese, il bergamasco e ovviamente la lingua napoletana. Una satira popolare che contiene elementi della tradizione teatrale, con la classica struttura delle operette musicali per un coraggioso adattamento di un grande capolavoro della letteratura italiana.

La Campania in video: spot, tv e cinema "riscoprono" la nostra bella regione

di Danilo D'Aponte

Andato in archivio il ponte dei morti, con Napoli e altre località campane che si attestano ancora saldamente nelle posizioni alte delle presenze turistiche, come da qualche annetto a questa parte, era normale che le luci dei riflettori si riaccendessero sulla Campania. E se il colosso mondiale Sky ha fatto arrovellare qualche testa circa i meriti artistici e la fedeltà di "Gomorra", la celebre serie televisiva ispirata all'omonima opera letteraria di Roberto Saviano, ci sono ben più di un motivo per sorridere e ricordarci della bellezza delle nostre terre.

Un estratto dello spot della Ferrero
E’ di recente realizzazione, infatti, una campagna pubblicitaria di Ferrero che, in una serie di spot dedicati alle maggiori città italiane, funge perfettamente da catalizzatore per il turismo e la riscoperta di bellezze che spesso diamo per scontate. Ma la portata internazionale che possono avere marchi tipicamente "Made in Italy" non sono l'unica ragione per gongolare, perché la Campania sembra essere rientrata nelle sfere di interesse dei produttori cinematografici (e non, come per la campagna pubblicitaria di Dolce & Gabbana). In questi giorni si sta girando a Napoli un film con protagonista il noto attore, nonché regista, sceneggiatore e musicista, Rocco Papaleo. L'artista lucano sta infatti recitando in "Bob & Marys" in coppia con Laura Morante, diretti da Francesco Prisco. Set napoletano del film è stato nel mese di ottobre Piazza Carità.

Napoli è stata poi scelta da un altro grande del cinema italiano, Fernan Özpetek, che nei primi mesi del nuovo anno, e non prima (perché impegnato con "Rosso Istanbul", dedicato alla sua città natale), girerà "Napoli velata", come annunciato al Festival internazionale del cinema di Venezia, nel quale il regista turco, naturalizzato italiano, era in vesti di giurato. 

Di altro respiro internazionale sarà il film diretto da Rupert Everett, attore e regista britannico molto legato al capoluogo campano (tanto da farvi ritorno spesso), impegnato in un progetto wildiano vecchio di tre anni: "The happy prince" (Il principe felice), film biografico su Oscar Wilde. Nel momento in cui vi scrivo sono in corso riprese a Posillipo, dove viene ricostruito uno scandaloso viaggio dell'artista inglese. Il tutto per ricostruire l'anima dark di Napoli che, nelle parole dello stesso Everett, funge anche da regalo alla città perché: "Mi sono innamorato di Napoli".


Tornando a parlare di opere nostrane che hanno Napoli come loro sfondo si registrano "La tenerezza" di Gianni Amelio, ma anche la fiction Rai "I bastardi di Pizzofalcone" con Carolina Crescentini e Alessandro Gassman (che veste i panni dell'Ispettore Lojacono, nato dalla penna di Maurizio de Giovanni), ma anche "I falchi" con Fortunato Cerlino.

In realtà Napoli non è la sola ad aver attratto l'interesse della cinematografia mondiale. Dopo la recente "Pompei" di Wes Anderson a tema "epico", avremo Wonder Woman, la celebre principessa amazzone, storica protagonista di serie televisive e fumetto americano, che si è battuta tra le spiagge di Marina di Camerota e Palinuro. Riprese purtroppo marchiate dal peccato di non aver potuto usufruire dell'Arco naturale, come sperato invece della produzione, a causa delle lungaggini della manutenzione, che ha intaccato la bellezza dello stesso con impalcature di sostegno.

Napoli e i tesori di Castel Capuano

di Marcello de Angelis


Castel Capuano a Napoli
Castel Capuano: sede storica del Tribunale di Napoli, è il più antico castello di Napoli, dopo Castel dell’Ovo. Fu fondato nel 1140 dal re normanno di Sicilia Guglielmo I detto il Malo con lo scopo di difendere Porta Capuana, da cui la fortezza prende il nome. Nel periodo che va dagli Angioini agli Aragonesi divenne poi una splendida, sontuosa residenza reale e, a partire dal 1540 con l’annessione della città al Regno di Spagna, adibito a Vicaria - Palazzo di Giustizia

All’interno di tale monumentale maniero, tra aule ormai abbandonate, corridoi deserti (ma memori della eco prodotta dai passi dei tanti avvocati che vi passavano e di tutto l’universo umano/giudiziario che lo popolava) e i pochi uffici ancora in funzione, si trova il cosiddetto Salone dei Busti vero e proprio cuore del castello. Lo si incontra salendo al secondo piano dell’austero palazzo e si presenta come una enorme sala dallo splendido pavimento marmoreo. Noto anche come Maggior Sala, vi si svolgevano le udienze pubbliche della Regia Camera della Sommaria fondata da Carlo I d’Angiò, ivi trasferitasi nel 1538, quando il Gran Viceré Don Pedro de Toledo volle riunire, in una sede unica, tutti i vari Tribunali sparsi per la città. 

Organo amministrativo, giurisdizionale e consultivo operante nel Regno di Napoli, essa esaminava i conti del regio tesoro, dei ricevitori provinciali e di tutti gli altri funzionari ai quali era affidato denaro pubblico nonché i rendiconti dei pubblici amministratori e i conti relativi alle imposizioni fiscali delle universitates, tutelandola dagli abusi dei baroni e dei governatori. Le Universitates, (ovvero unione di tutti i cittadini) definite anche università del Regno, erano i Comuni dell'Italia meridionale, sorti già sotto la dominazione longobarda e successivamente divenuti feudi con le conquiste dei Normanni. Col termine Sommaria (Summaria) si fa riferimento a una precisa procedura cui si ricorreva quando le circostanze imponevano l'adozione di una decisione immediata senza le lungaggini delle forme ordinarie. 

Il Salone di Castel Capuano
Originariamente coperto di arazzi e decorato in età borbonica, il Salone gode di pareti completamente affrescate, con scene che ripropongono dodici figure femminili rappresentanti le province del regno. Il soffitto, che fu affrescato da Biagio Molinari di Trani è diviso in tre campi, ciascuno dei quali celebra la forza ed il trionfo della Giustizia. Un luogo austero e imponente nella sua magnificenza, in cui si ha sempre l’impressione di essere osservati…dai busti degli avvocati più famosi dell’antico Foro di Napoli che si sono particolarmente distinti nella loro vita, per meriti umani o professionali, e da cui l’ambiente ha preso il nome. Collocati lungo le pareti a partire dal 1882 fino al XX secolo, posti in alto e immortalati nel bronzo o nel marmo coi loro sguardi fieri e severi, trasmettono l’importanza che per loro ha rappresentato l’amministrazione della giustizia. Ma erano altri tempi! 

Oggi vi si celebrano gli avvenimenti solenni, come l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario e si convocano riunioni straordinarie essendo ancor’oggi la sede istituzionale del Tribunale di Napoli. All’interno di questo maestoso ambito, sulla parete di fronte alle finestre che si affacciano su Piazza Enrico De Nicola, ed accanto alla porta dell’ex Corte di Appello, si trova un autentico gioiello dell’arte antica che il Salone dei Busti ospita e protegge come un’ostrica fa con la sua perla: uno scrigno di meraviglie, ovvero la “Cappella della Sommaria”, così chiamata perché vi pregavano i magistrati della stessa Camera prima di riunirsi per le loro deliberazioni. Eretta nel 1540 su progetti di Giovanni Benincasa e Ferdinando Manlio fu uno degli ambienti più importanti del castello sul versante storico-artistico. Strutturata con una pianta quadrata e pareti prive di finestre fu realizzata verso la metà del Cinquecento con splendide decorazioni costituite da pitture ad affresco dal pittore spagnolo, allievo di Giorgio Vasari, Pedro Rubiales nel 1547-48, caratterizzate da una gamma tenerissima di colori e da improvvise accensioni luminose che movimentano le figure. 

Nella volta, tra eleganti stucchi di autore ignoto, si possono ammirare l'Ascensione, la Resurrezione, il Noli me tangere, Cristo che appare alla Madonna dopo la Resurrezione e la Pentecoste. Personificazioni delle Virtù e figure grottesche sono inserite negli spazi liberi della volta. Alle pareti fanno bella mostra di sé altri affreschi a tema religioso: a sinistra la Crocifissione, la Deposizione e La salita di Cristo al Calvario; a destra, Il Giudizio Universale, gli Eletti e Caronte che traghetta le anime dei peccatori. La tematica della rappresentazione di Cristo nella sua natura umana e divina ebbe un forte significato per i Presidenti della Sommaria che ascoltavano la Messa prima di decidere sulle condanne.

La tavola sull'altare, con il Compianto su Cristo morto in cui appare sullo sfondo la mole stellare di Castel Sant’Elmo, denota in maniera chiara l'adesione del pittore al ciclo culturale del manierismo. Tale corrente non fu però compresa, a tal punto che gli affreschi vennero in seguito ricoperti da strati di calce e mai più menzionati nelle guide del Cinquecento e del Seicento. Calce che venne rimossa solo nel 1860, nel corso dei lavori di restauro della fortezza, restituendo visibilità a quella che è considerata la più vivace espressione del manierismo tosco-romano della metà del Cinquecento a Napoli. Contiguo al Salone troviamo il Saloncino dei Busti, versione ridotta della Sala grande, anch’esso affrescato con figure mitologiche e dotato, alle pareti, di altri busti sempre di insigni giuristi dell’epoca. Tale insieme di meraviglie artistiche, tra le più rare eccellenze della città, è meta ogni anno di centinaia di visitatori durante il “Maggio dei monumenti”, l’ormai celeberrimo programma di eventi che tradizionalmente apre la stagione estiva napoletana.


Nuove posizioni di lavoro aperte a Napoli: si punta sulla tecnologia

di Noemi Colicchio

La sede di NNT Data
NTT DATA, colosso giapponese con oltre 240mila dipendenti e 95 miliardi di fatturato nel mondo, ha annunciato nuove assunzioni nel Sud Italia per un totale di 300 figure professionali

Con maggiore precisione, le nuove leve sono ricercate nelle città di Cosenza e Napoli, cui vengono richieste specifiche e distinte competenze. La multinazionale ha intenzione di raddoppiare la forza lavoro nella sua storica sede calabrese, con oltre 150 profili in grado di migliorare i prodotti offerti implementandone alcuni aspetti, come IoT (Internet of things), mobile e sicurezza informatica

Nella capitale partenopea invece, la NTT DATA ha scopi diversi: l’obiettivo è trovare professionisti specializzati in CRM (Costumer relationship management), quality assurance, testing e ambienti Java. In totale, sono 500 i professionisti meridionali che entro la fine del 2017 andranno ad ampliare l’organico dell’industria giapponese dell’IT. 

Così come Apple, la multinazionale ricerca profili ad alte competenze tecnologiche e grande predisposizione al lavoro in team. Per candidarsi infatti, oltre ad un’ottima conoscenza della lingua inglese, sarà necessaria la totale dimestichezza con sistemi Microsoft, Oracle, Salesforce e SAP. La base culturale cui fare riferimento è ben riassunta dall’acronimo STEM: science, technology, engineering and mathematics. Oltre alla indispensabile conoscenza di elementi base in fisica, statistica, economia, informatica ed ingegneria, al candidato ideale non devono mancare competenze trasversali – problem solving, capacità organizzative – che per le grandi aziende sembrano spesso essere più necessarie di quelle specifiche nel settore di riferimento. 

I colossi della tecnologia scelgono dunque il sud Italia e, come spiega Antonio Vitale, responsabile HR NTT DATA Italia, non è un caso: “La scelta di puntare sulla crescita dei nostri centri di Cosenza e Napoli deriva dalla convinzione di poter contare su un sistema territoriale di formazione universitaria e scolastica capace di alimentare adeguatamente le competenze necessarie ai nostri programmi di sviluppo; i riscontri che stiamo raccogliendo in termini di qualità, innovazione e collaborazione dalle Università del Sud con le quali collaboriamo da diversi anni, confermano questa scelta".

Mentre le potenze d’oltreconfine scommettono sulla formazione dei neolaureati, sulla loro creatività e sul forte apporto che questi possono dare ai loro business, le aziende italiane volte allo sviluppo tecnologico tagliano posti di lavoro: Almaviva Contact chiude le sedi di Roma e Napoli, licenziando rispettivamente 1.666 e 845 persone, per un totale di 2.500 dipendenti. Sono ancora in corso le proteste della Cgil, organizzazione con cui l’azienda si troverà a discutere in questi giorni dell’impatto sociale che potrebbe avere la decisione, per contrattarne i margini.

Occasioni di sviluppo offerte da multinazionali estere in mancanza di un impegno nostrano sembrano sempre più connotare il mercato del lavoro italiano. Controtendenza dimostra d’essere, ad onor del vero, il Patto per la Città Metropolitana di Napoli firmato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris: 308 milioni di euro da impiegare in opere, cantieri, sicurezza e cultura. Un trampolino di lancio per la città, da cui poter ripartire con forza ed aprire posizioni di lavoro in ogni settore.



Napoli: crescono le proteste per il rischio chiusura dell’Ospedale San Gennaro

di Luigi Rinaldi

L'Ospedale San Gennaro a Napoli
Un intero quartiere, il Rione Sanità di Napoli, da settimane, fa sentire forte la propria voce contro la chiusura dell’Ospedale San Gennaro. Il nosocomio, infatti, rappresenta un presidio importantissimo non solo per il quartiere, servendo un’utenza di circa centomila residenti, ma per l’intera città di Napoli. 

Cittadini, rappresentanti politici del quartiere e dipendenti dello stesso Ospedale San Gennaro hanno posto in essere diverse iniziative per cercare di impedirne la chiusura. Sono stati organizzati cortei, manifestazioni, occupazioni, con l’obiettivo di sollecitare le autorità competenti a fare dietrofront. Ma il piano di dismissione, voluto dal Commissario Polimeni e dal Governatore De Luca, procede secondo programma. Solo pochi giorni fa, sono stati chiusi i reparti di ematologia ed oncologia della struttura. Infermieri, medici e personale di oncologia prenderanno servizio presso l’Ospedale Ascalesi. Con loro saranno costretti a trasferirsi anche tanti malati che necessitano delle cure chemioterapiche. 

Contro la chiusura dell’Ospedale San Gennaro si sono sollevate le proteste in Consiglio Regionale del Movimento Cinque Stelle, attraverso la consigliera regionale, Valeria Ciarambino, componente della Commissione Sanità. Gli oppositori del Governatore De Luca non si spiegano come mai un ospedale dotato di attrezzature e tecnologie all’avanguardia e con una struttura in eccellenti condizioni, con spazi ampi e luminosi, ristrutturati di recente e adeguati alle norme sulla sicurezza, debba chiudere i battenti. 

Sul trasferimento del reparto di oncologia all’Ospedale Ascalesi i Cinque Stelle hanno dichiarato inaccettabile lo spostamento di reparti molto complessi e delicati, attualmente ubicati in spazi ristrutturati, in un altro ospedale, quale appunto l’Ascalesi, ancora in fase di adeguamento e ristrutturazione. Indipendentemente dalle possibili strumentalizzazioni politiche, il timore maggiore dei cittadini è quello di vedere ancora una volta compromessa la qualità dei servizi di assistenza, a danno di migliaia e migliaia di ammalati, in un quartiere socialmente già sofferente. 

Un momento della protesta
Le proteste contro la chiusura del nosocomio non sono passate inosservate agli occhi del Governatore De Luca, il quale, in occasione della inaugurazione del nuovo Pronto Soccorso dell’Ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, si è affrettato a promettere che l’Ospedale San Gennaro non chiuderà i battenti, ma conserverà attività di pronto soccorso e garantirà la possibilità di effettuare esami diagnostici, come la tac, e percorsi riabilitativi, nell’ottica di salvaguardare la salute dei cittadini.

Stretta del Comune di Napoli sul gioco d’azzardo

di Antonio Cimminiello

E’ “l’incapacità di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse, nonostante l’individuo che ne è affetto sia consapevole che questo possa portare a gravi conseguenze”. La ludopatia è riconosciuta come una patologia a tutti gli effetti, con conseguenze che possono andare ben oltre la sfera personale coinvolgendo l’incolumità pubblica. 

In merito a tale aspetto da tempo il Comune di Napoli ha manifestato una particolare sensibilità ed attenzione, come testimoniato innanzitutto dall’adozione del Regolamento n. 74 del 2015. Tale atto rappresenta la nuova disciplina organica circa la concessione delle licenze relative all’esercizio dei giochi leciti nonché la gestione stessa dei centri scommesse e sale-slot. 

Piazza Dante a Napoli
Tra le misure più significative contenute nel regolamento meritano di essere ricordate il rispetto di taluni requisiti morali che si impongono per il titolare dell’esercizio (come ad esempio il possesso della certificazione antimafia e il non deve aver subito misure di prevenzione) e l’obbligo di apertura per le fasce orarie 09-12 e 18-23. Ma la volontà dell’amministrazione guidata da Luigi De Magistris di dare concreta attuazione al regolamento di cui sopra è stata testimoniata da un recentissimo episodio che ha avuto come teatro la centralissima Piazza Dante. Tra mille polemiche ed il malcontenti dei residenti nello scorso ottobre proprio in tale piazza era stata inaugurata una nuova sala-slot, contravvenendo ad una prescrizione del Regolamento n° 74 che impone, altresì, il rispetto di una distanza minima di 500 metri dai c.d. “luoghi sensibili” (istituti scolastici, impianti sportivi, etc.). Nonostante le diverse sanzioni pecuniarie, questa palese violazione ha avuto seguito, fino a condurre ad una decisione drastica. 

Nei primi giorni di Novembre, infatti, la Polizia Municipale ha provveduto a notificare una ordinanza con la quale è stata disposta, con esecutività immediata, la chiusura definitiva del locale. La vicenda aveva assunto i limiti del grottesco: una prima chiusura era stata già disposta proprio ad Ottobre, seguita però da una immediata riapertura, giustificata dall’esibizione di una richiesta telematica di autorizzazione ( cd. scia) con l'autorizzazione della Questura tale, quindi, da consentire l’apertura fino a quando i competenti uffici della polizia amministrativa destinatari della richiesta non l’avessero respinta. Con l’ordinanza di chiusura definitiva non solo viene assicurato il rispetto di regole la cui essenzialità è testimoniata da diverse finalità -come il ridimensionamento delle “conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli”- ma viene così scongiurato anche il rischio di vanificare l’impegno nel frattempo profuso dai semplici cittadini -fino anche a coinvolgere personaggi famosi- proprio per evitare l'apertura della sala slot in Piazza Dante.


Vele di Scampia: simbolo di degrado e (speriamo) di riscatto

di Gian Marco Sbordone

Una delle Vele di Scampia
Sono state avviate le operazioni per la consegna dei primi 115 appartamenti realizzati per gli abitanti delle tristemente note “Vele” di Scampia. Il calendario predisposto dall’Amministrazione comunale prevede che, nell’ arco di 19 giorni, circa mille persone prenderanno possesso degli alloggi, in Via Labriola, Via Gobetti e Piazza Della Socialità. Si procederà al ritmo di 6-7 nuclei familiari al giorno. Sarà avviata, inoltre, a partire dal prossimo anno, la demolizione di tre delle quattro Vele ancora esistenti. L’ultima sarà trasformata in un comprensorio di uffici pubblici e diventerà la sede della Città Metropolitana.

Il sindaco Luigi de Magistris ha espresso grande, e assolutamente giustificata, soddisfazione per l’ evento che, di certo, assume anche un valore profondamente simbolico. Le “Vele” di Scampia, infatti, hanno ospitato per oltre trent’ anni alcune migliaia di persone. Esse, come è noto, furono realizzate nell’ ambito del programma post-terremoto del 1980. Quegli edifici hanno rappresentato il simbolo di tutto quanto di negativo possa essere fatto nell’ambito dell’ edilizia residenziale pubblica e delle politiche sociali riguardanti le periferie. In quegli obbrobri, in effetti, si è registrato, proprio in riferimento all’edilizia urbana interessante le periferie, il punto più alto di scelleratezza e malgoverno amministrativo. Migliaia di persone per anni hanno vissuto in condizioni di degrado assoluto, nella mancanza di servizi e di spazi sociali nonché nella totale assenza di gestione e di manutenzione.

Quegli insediamenti hanno costituito terreno fertile per il diffondersi ed il proliferare di varie forme di delinquenza, compresa quella organizzata, divenuta famosa in tutto il mondo. Naturalmente sarebbe semplicistico e sicuramente sbagliato proporre una equazione tra le pessime politiche di edilizia urbana e la diffusione della criminalità. Se tuttavia tali politiche si accompagnano, come è avvenuto, ad una gestione incentrata sulla totale assenza di interventi sociali ed ad una assai precaria situazione di sicurezza nel quartiere, si realizzano effettivamente le condizioni migliori perché attecchisca e dilaghi ogni forma di malavita e di degrado.

Bisogna rimarcare questo perché sia chiaro che costruire alloggi ed assegnarli evidentemente non basta. Magari bastasse. Ora bisogna investire in cultura ed in sicurezza. Il sindaco lo ribadisce sempre e con forza. E fa bene, perché per sottrarre manovalanza alle organizzazioni criminali bisogna costruire modelli di vita alternativi. Tali modelli passano sicuramente anche dalla possibilità di vivere in case dignitose, realizzate in contesti adeguati dal punto di vista ambientale e dei servizi. Costruire un modello alternativo passa anche, ovviamente, dalla possibilità di lavorare, percependo un reddito dignitoso in condizioni di legalità e di sicurezza. Perché abbia successo un modello alternativo è fondamentale, infine, rendere concreto l’ assunto per cui chi delinque paga le conseguenze giuridiche delle proprie azioni, andando in galera, se previsto, e restandoci.

Il discorso sulle Vele apre quindi a ragionamenti ampi e complessi, discorsi triti e ritriti. Ma occorre farli, ancora e sempre. Perché la situazione attuale, in termini di degrado culturale e sociale, ma anche di diffusione della criminalità, appare oggi, al di là delle statistiche, essersi ulteriormente aggravata. Basti pensare al fatto che attualmente diversi clan criminali sembrano aver ceduto il passo alle “paranze dei bambini”, un dato che, naturalmente, è di una gravità inaudita per tutto ciò che ne consegue. Ripartiamo dall’abbattimento delle Vele, dunque, per abbattere tutto ciò che impedisce a questa città un vero riscatto.

Sicurezza e Privacy on line: a Napoli l’iniziativa #ViviInternetAlSicuro

di Massimiliano Pennone

Nei giorni scorsi si è tenuta a Napoli la quarta tappa dell’iniziativa #ViviInternetAlSicuro. La campagna, organizzata da Google, Altroconsumo, Polizia Postale ed Accademia del Codice di Internet ha l’obiettivo di sensibilizzare gli utenti sui temi della sicurezza e della privacy online, attraverso incontri con le Autorità, seminari e bus itineranti nelle città.

A piazza Dante, infatti, i passanti hanno potuto effettuare un check-up completo del loro account con l’aiuto di esperti all’interno del Google Bus durante "il minuto della prevenzione digitale". Gli esperti di Google hanno inoltre risposto alle domande dei curiosi riguardanti la sicurezza degli smartphone e l’utilizzo delle app.

Google Bus
Oltre 800 persone hanno partecipato all’iniziativa, soprattutto adulti fra i 35 e i 50 anni, segno del fatto che è soprattutto questa fascia della popolazione a risentire del divario digitale che pone l’Italia fra gli ultimi paesi delle classifiche europee (quartultima nell’indice Desi che misura lo stato di digitalizzazione di un paese).

L’evento è proseguito poi con una due giorni di convegni (7 e 8 novembre) presso le università Federico II e di Salerno. Qui, è stato proprio il Garante della Privacy, Antonello Soro, a ribadire il leitmotiv della campagna: prevenzione ed educazione.

Troppo spesso, infatti, come i recenti casi di cronaca ci hanno dimostrato, gli episodi di cyberbullismo si verificano proprio perché gli utenti non conoscono quelli che sono i loro diritti e i loro doveri online. Inoltre, molte persone che utilizzano internet ogni giorno non proteggono in maniera efficace i loro dati e i loro account, ad esempio utilizzando password non sicure.

Se però le istituzioni e le aziende di internet hanno, oramai, raggiunto un grado di efficienza e di collaborazione che permette loro di gestire ottimamente la parte relativa alle indagini e agli interventi dopo un abuso, lo stesso non si può dire per quanto riguarda tutto ciò che viene prima. L’iniziativa #ViviInternetAlSicuro si muove proprio in questo senso, ma come lo stesso Soro ha affermato alla Federico II, questa da sola non basta. Un appello al quale si aggiunge anche il Commissario dell’Autorità delle Comunicazioni, Antonio Martusciello, intervenuto al convegno di lunedì 7: “Cominci anche nel nostro paese una seria campagna di media education, per educare soprattutto i più giovani all’utilizzo responsabile di tutti i mezzi di comunicazione”.

Per farsi un’idea, basti pensare che secondo una ricerca di Altroconsumo, il 71% degli intervistati va a cercare su Facebook le persone che ha appena conosciuto offline. Di questi, però, soltanto il 15% controlla poi le proprie impostazioni di privacy e sicurezza per il social network.

Numeri come questi ci fanno capire allora l’importanza di iniziative che siano anche “nelle piazze” e che coinvolgano in prima persona gli utenti: per quanto veloci ed efficaci le procedure di segnalazione e rimozione dei social e dei siti, queste non sono sufficienti perché, è bene ricordare, l’educazione e il rispetto vanno prima di tutto insegnati offline.