di Marcello de Angelis
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Porta Capuana a Napoli |
Intorno al 475 a.C., un gruppo di coloni di Cuma si stabilirono ad oriente dell’antica Palaepolis, fondando una nuova città detta Neapolis, “città nuova”. Sorta nella zona collinare di Sant’Aniello a Caponapoli, grazie alla sua posizione, facilitava una naturale difesa contro gli attacchi dei nemici. Infatti, sicura tra l’impervia parete rocciosa alle spalle ed il mare davanti, il luogo era anche protetto sui fianchi da due torrenti che portavano al mare le acque discendenti dalle montagne.
Laddove risultò indispensabile, Neapolis si cinse di mura tufacee spesse a doppia cortina di cui alcuni tratti risalenti al IV secolo a.C. sono tutt’ora visionabili a piazza Bellini, dove, sottoposto al presente suolo stradale, emergono testimonianze inconfutabili del tracciato greco. All’interno di tale fortificazione, si sviluppò col tempo una sorta di impianto urbano a scacchiera (ippodamea), sulla base delle visioni urbanistiche dell’architetto greco Ippodamo di Mileto, operante intorno al V secolo a.C., confermato e perfezionato dai romani.
La città era divisa in quattro zone dove vi erano tre strade principali dette decumani in latino, plateiai in greco, ampi percorsi paralleli disposti in posizione longitudinale, attraversati con geometrica perpendicolarità da vicoli detti cardini in latino, stenopoi in greco. Tutta la struttura era ordinata e squadrata secondo un sistema preciso, divisa in isolati detti insulae.
Ogni decumano era chiuso da una porta d’ingresso che prendeva il nome delle famiglie nobiliari residenti in zona, oppure della destinazione di strade da cui i varchi partivano. Esisteva il decumano superiore (oggi Anticaglia), quello maggiore (attuale via Tribunali) e il decumano inferiore (corrispondente in parte all’odierna Spaccanapoli). Ad ogni estremità, se ne ergeva una corrispondente che consentiva l’ingresso nella colonia cittadina.
Nate come “pertugi” di un sistema difensivo indispensabile che circondava il centro abitato, vi erano originariamente ben 27 porte di accesso alla città di Napoli. Esse hanno subìto le modifiche dei tempi e delle necessità urbanistiche, abbattute nei secoli, addossate ai palazzi, smembrate per esigenze costruttive nuove.
Di queste monumentali porte i cui varchi consentivano l’ingresso in città, ne sono rimaste quattro: Porta Capuana, Porta Nolana, Porta San Gennaro e Port’Alba e ci forniscono in modo chiaro l’idea della imponente cinta muraria ormai inesistente, di cui facevano parte.
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Ferrante I d'Aragona |
La prima che ricordiamo è la Porta Campana (che poi prese il nome di Porta Capuana): la più imponente e ricca, nonché principale varco di accesso alla città al tempo di Ferrante I d’Aragona (ovvero Ferdinando I Re di Napoli dal 1458 al 1494, figlio illegittimo di Alfonso V). L’ipotesi maggiormente accreditata vuole che essa prenda il nome dalla propria posizione, orientata in direzione della città di Capua. Tuttavia, una seconda ipotesi meno nota ma forse più realistica vuole che, essendo la porta orientata verso est e trovandosi Capua antica a nord est, risulti più plausibile che essa abbia tratto la propria denominazione dalla famiglia che Ferrante d’Aragona incaricò della sua difesa: la famiglia Capuano.
Di essa si ebbe notizia intorno al seicento quando, in occasione dei lavori per la realizzazione delle fondamenta della guglia di San Domenico Maggiore, il Picchiatti, allora architetto responsabile dell’opera, scoprì i resti d’un tratto murario greco-romano appartenente all’antica porta.
Re Ferrante d’Aragona affidò il compito di ricostruire Porta Capuana all’architetto-intagliatore fiorentino Giuliano da Maiano, che iniziò a lavorare a Napoli, insieme al fratello scultore Benedetto.
Porta Capuana fu eretta nella zona di Sedil Capuano, a ridosso di Castel Capuano, il quale per un certo tempo si venne a trovare per metà entro le mura e per metà fuori, almeno fino a quando gli aragonesi decisero di allargare la struttura difensiva, parte integrante di un progetto di rifortificazione voluto da re Ferante d’Aragona che lo inglobarono totalmente intra moenia.
Giuliano da Maiano comprese in fretta le esigenze del regnante. Egli si ispirò in un certo senso ai modelli degli archi di trionfo romani, senza trascurare l’effettiva funzione difensiva che si prospettava per il complesso di fortificazioni. E lo fece creando un’opera in stile rinascimentale, con stemmi, epigrafi, archi e cartigli, sculture, putti e vittorie, assolutamente emblematiche, dovendo enunciare la vittoria di Ferrante sui baroni ribelli e dovendo peraltro celebrare la sua incoronazione di re.
Un simbolismo nato per trasmettere la magnificenza della casa d’Aragona.
Il da Maiano progettò l’opera in splendido marmo bianco di Carrara, di cui ancora è totalmente rivestita, disegnandola come un vero e proprio arco di trionfo. Essa fu iniziata intorno al 1488 e terminata nel 1495. Essa si erge maestosa tra due torri cilindriche in stile corinzio (come la maggior parte delle porte napoletane) chiamate Virtù ed Onore, su cui si poggia l’arco decorato con un bassorilievo rappresentante un insieme di elmi, corazze, spade e scudi. Il tutto avvolto in nastri che si interrompono in cima all’arco nel cui centro campeggia la cosiddetta chiave dell’arco che segna il punto equidistante tra le due parti. Sovrapposto a questo prendeva posto il fregio con la scena dell’incoronazione di re Ferrante con la conseguente sottomissione dei baroni ribelli, fregio che fu abbattuto circa 50 anni dopo da Carlo V d’Asburgo il quale lo fece sostituire con il suo stemma raffigurante l’aquila bicipite ad ali piegate.
Dal punto di vista difensivo, internamente all’arco fu realizzato un binario di circa quattordici centimetri per venti di spessore, entro cui far scorrere una sorta di saracinesca, ovvero una cancellata di ferro o a travi di legno per sbarrare al momento opportuno l’accesso alla città. Altro sistema era quello dei cardini. Visibili sono ancora i sostegni di duro metallo (cinque per ciascun lato), provvisti di perni, che dovevano sorreggere il peso della enorme porta.
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L'edicola votiva che sovrasta la porta |
La costruzione terminò intorno al 1495. Dal 1656 circa la porta fu sovrastata da un’edicola votiva opera di Luigi Acampora, dipinta da Mattia Preti, maestro della pittura calabrese che, per scontare una condanna, ebbe il compito di affrescare tutte le porte della città iniziando proprio dalla Capuana. In seguito alla terribile pestilenza che aveva messo in ginocchio la popolazione napoletana, fu invitato a realizzare una serie di immagini sacre come simbolo di protezione. Ulteriori restauri furono compiuti nel 1737 quando entrò in Napoli il diciottenne Carlo di Borbone.
Nel 1837 l’affresco del Preti, ormai deteriorato, fu sostituito da quello di Gennaro Maldarelli rappresentante l’Immacolata. Poi, durante gli anni trenta del Novecento, nel corso di un progetto di isolamento di Porta Capuana dagli edifici circostanti sorti nel corso degli anni, l’edicola votiva fu definitivamente eliminata riportandola all’originario aspetto aragonese.
Posizionata in una zona molto vitale di Napoli, al di là del proprio ruolo strettamente difensivo, ha sempre rappresentato e rappresenta tutt’ora un importante crocevia delle comunicazioni. Ma è stato anche un luogo di aggregazione artistica e culturale: intorno ad essa, ad esempio, nacque ad inizio Novecento il cosiddetto Quartiere Latino, luogo di incontro di importanti artisti napoletani dell'epoca.
Secondo fonti non completamente accreditate che un po’ si fondono a racconti producendo vere e proprie leggende, nei pressi di Porta Capuana esisteva da tempo immemorabile una porta che vide il passaggio di Annibale nel 216 a.C. e anche l’ingresso in Napoli di San Pietro.
Vero o falso che sia, resta il piacere di immaginare un pizzico di storia in più giusto per aumentare il fascino ed il mito di una pagina già colma di eventi grandi e fondamentali vissuti nei pressi di questa gloriosa Porta.