venerdì 16 dicembre 2016

Università e lavoro: 5 buoni motivi per salutare con il sorriso il 2016

di Noemi Colicchio


Non fidarti mai di un uomo che ti porta buone notizie. È il metodo più antico e più semplice per imbrogliare qualcuno”, scriveva Brandon Sanderson nel suo libro “L'ultimo Impero”. Nessun trucco, nessun inganno. Per la fine del 2016, e per accogliere con gioia il prossimo anno, sembrava doveroso ricordare almeno cinque buoni motivi per cui in questi ultimi 12 mesi abbiamo sorriso, da studenti universitari o lavoratori. La cernita non è stata semplice: solitamente gli almanacchi sono composti dalle notizie più rilevanti. Ma anche le piccole soddisfazioni, che ci inorgogliscono perché cittadini italiani, meritano di essere ricordate. 

1) Legge di bilancio 2017

Molto spesso additati come il paese che produce meno nell’ambito della ricerca perché mal finanziato, nei prossimi due anni abbiamo grandi opportunità da cogliere al volo. Per il 2017 sono infatti previsti fondi per 55 milioni di euro, oltre 105 milioni nel 2018 da destinare al mondo universitario. Le attività base di ricerca dei professori in servizio a tempo pieno nelle università statali, in collaborazione con i ricercatori, saranno finanziate da un budget pari a 45 milioni. I migliori dipartimenti di ricerca saranno finanziati con 271 milioni di euro sulla base dei risultati conseguiti. Altri 50 milioni stanziati per favorire la partecipazione italiana ai programmi di ricerca e sviluppo in seno all'Unione Europea.


2) Apple fa magie

La prima notizia è arrivata dalla sede di San Giovanni a Teduccio dell’Università Federico II di Napoli, poi dall’Università Suor Orsola Benincasa ed oggi anche dall’Orientale: tutte e tre scelte come sedi del programma di ricerca e sviluppo indetto dal colosso di Cupertino. Occasione di crescita per studenti di varie facoltà, ognuna sfruttata nelle sue specificità, chiamati a sviluppare nuove applicazioni iOs, partendo dal concept fino ad arrivare alla pratica realizzazione. Ottima notizia, non solo per le occasioni di lavoro in territorio campano ma soprattutto per il respiro internazionale dato alle università napoletane.


3) Startup: il mondo sta cambiando

65 le startup finaliste a competere nella 14esima edizione del Premio Nazionale per l’Innovazione, ospitato dall’Università di Modena e Reggio Emilia dall’1 al 3 dicembre e che ha visto trionfare una startup torinese, Panoxyvir, ideatrice di uno spray contro il raffreddore. Ciò che fa sorridere però è altro: sono state 16 le StartCup regionali aderenti al Pni, per un totale di 3.440 aspiranti imprenditori, 1.171 idee d’impresa e 511 business plan, derivanti tutti o quasi da spin-off universitari. Numeri importanti che ci permettono di credere ancora in un futuro qui, nel belpaese, da cui non serve più scappare.


4) Istat: disoccupazione giovanile in calo

Mai stato così basso il valore percentuale dei disoccupati Under25 dal 2012 ad oggi: i giovanissimi senza impiego scendono al 36,4%. Ad onor di cronaca, serve dire che questa diminuzione è frutto soprattutto della crescita degli inattivi, cioè di coloro che si dichiarano non alla ricerca di un lavoro. Ma i numeri di ottobre, indicatore dell’ultimo trimestre 2016, fanno ben sperare: sono 22,7 milioni gli italiani a lavoro, 174 mila in più rispetto a ottobre del 2015 (+0,8%).


5) “Alliance for YOUth”

Non tutti sanno che, nel 2014, l’azienda privata internazionale Nestlè ha lanciato un progetto pilota, primo ed unico nel suo genere dal titolo “Alliance for YOUth”. L’obiettivo era creare 100mila opportunità di lavoro per gli under 30, garantendo loro una formazione professionale all’interno di strutture aziendali, grazie a collaborazioni con più di 620 imprese e 10mila workshop organizzati in tutta Europa. Ad oggi, le opportunità sono divenute concretamente 115mila.

Del buono c’è nell’anno appena trascorso, basta guardare con attenzione. Anche se ci auguriamo che il 2017 superi di gran lunga le nostre aspettative.


Alla scoperta delle Porte di Napoli: Porta Capuana

di Marcello de Angelis

Porta Capuana a Napoli
Intorno al 475 a.C., un gruppo di coloni di Cuma si stabilirono ad oriente dell’antica Palaepolis, fondando una nuova città detta Neapolis, “città nuova”. Sorta nella zona collinare di Sant’Aniello a Caponapoli, grazie alla sua posizione, facilitava una naturale difesa contro gli attacchi dei nemici. Infatti, sicura tra l’impervia parete rocciosa alle spalle ed il mare davanti, il luogo era anche protetto sui fianchi da due torrenti che portavano al mare le acque discendenti dalle montagne. 

Laddove risultò indispensabile, Neapolis si cinse di mura tufacee spesse a doppia cortina di cui alcuni tratti risalenti al IV secolo a.C. sono tutt’ora visionabili a piazza Bellini, dove, sottoposto al presente suolo stradale, emergono testimonianze inconfutabili del tracciato greco. All’interno di tale fortificazione, si sviluppò col tempo una sorta di impianto urbano a scacchiera (ippodamea), sulla base delle visioni urbanistiche dell’architetto greco Ippodamo di Mileto, operante intorno al V secolo a.C., confermato e perfezionato dai romani. 

La città era divisa in quattro zone dove vi erano tre strade principali dette decumani in latino, plateiai in greco, ampi percorsi paralleli disposti in posizione longitudinale, attraversati con geometrica perpendicolarità da vicoli detti cardini in latino, stenopoi in greco. Tutta la struttura era ordinata e squadrata secondo un sistema preciso, divisa in isolati detti insulae.

Ogni decumano era chiuso da una porta d’ingresso che prendeva il nome delle famiglie nobiliari residenti in zona, oppure della destinazione di strade da cui i varchi partivano. Esisteva il decumano superiore (oggi Anticaglia), quello maggiore (attuale via Tribunali) e il decumano inferiore (corrispondente in parte all’odierna Spaccanapoli). Ad ogni estremità, se ne ergeva una corrispondente che consentiva l’ingresso nella colonia cittadina. 

Nate come “pertugi” di un sistema difensivo indispensabile che circondava il centro abitato, vi erano originariamente ben 27 porte di accesso alla città di Napoli. Esse hanno subìto le modifiche dei tempi e delle necessità urbanistiche, abbattute nei secoli, addossate ai palazzi, smembrate per esigenze costruttive nuove.

Di queste monumentali porte i cui varchi consentivano l’ingresso in città, ne sono rimaste quattro: Porta Capuana, Porta Nolana, Porta San Gennaro e Port’Alba e ci forniscono in modo chiaro l’idea della imponente cinta muraria ormai inesistente, di cui facevano parte.

Ferrante I d'Aragona
La prima che ricordiamo è la Porta Campana (che poi prese il nome di Porta Capuana): la più imponente e ricca, nonché principale varco di accesso alla città al tempo di Ferrante I d’Aragona (ovvero Ferdinando I Re di Napoli dal 1458 al 1494, figlio illegittimo di Alfonso V). L’ipotesi maggiormente accreditata vuole che essa prenda il nome dalla propria posizione, orientata in direzione della città di Capua. Tuttavia, una seconda ipotesi meno nota ma forse più realistica vuole che, essendo la porta orientata verso est e trovandosi Capua antica a nord est, risulti più plausibile che essa abbia tratto la propria denominazione dalla famiglia che Ferrante d’Aragona incaricò della sua difesa: la famiglia Capuano

Di essa si ebbe notizia intorno al seicento quando, in occasione dei lavori per la realizzazione delle fondamenta della guglia di San Domenico Maggiore, il Picchiatti, allora architetto responsabile dell’opera, scoprì i resti d’un tratto murario greco-romano appartenente all’antica porta. 

Re Ferrante d’Aragona affidò il compito di ricostruire Porta Capuana all’architetto-intagliatore fiorentino Giuliano da Maiano, che iniziò a lavorare a Napoli, insieme al fratello scultore Benedetto. 

Porta Capuana fu eretta nella zona di Sedil Capuano, a ridosso di Castel Capuano, il quale per un certo tempo si venne a trovare per metà entro le mura e per metà fuori, almeno fino a quando gli aragonesi decisero di allargare la struttura difensiva, parte integrante di un progetto di rifortificazione voluto da re Ferante d’Aragona che lo inglobarono totalmente intra moenia. 

Giuliano da Maiano comprese in fretta le esigenze del regnante. Egli si ispirò in un certo senso ai modelli degli archi di trionfo romani, senza trascurare l’effettiva funzione difensiva che si prospettava per il complesso di fortificazioni. E lo fece creando un’opera in stile rinascimentale, con stemmi, epigrafi, archi e cartigli, sculture, putti e vittorie, assolutamente emblematiche, dovendo enunciare la vittoria di Ferrante sui baroni ribelli e dovendo peraltro celebrare la sua incoronazione di re. 

Un simbolismo nato per trasmettere la magnificenza della casa d’Aragona

Il da Maiano progettò l’opera in splendido marmo bianco di Carrara, di cui ancora è totalmente rivestita, disegnandola come un vero e proprio arco di trionfo. Essa fu iniziata intorno al 1488 e terminata nel 1495. Essa si erge maestosa tra due torri cilindriche in stile corinzio (come la maggior parte delle porte napoletane) chiamate Virtù ed Onore, su cui si poggia l’arco decorato con un bassorilievo rappresentante un insieme di elmi, corazze, spade e scudi. Il tutto avvolto in nastri che si interrompono in cima all’arco nel cui centro campeggia la cosiddetta chiave dell’arco che segna il punto equidistante tra le due parti. Sovrapposto a questo prendeva posto il fregio con la scena dell’incoronazione di re Ferrante con la conseguente sottomissione dei baroni ribelli, fregio che fu abbattuto circa 50 anni dopo da Carlo V d’Asburgo il quale lo fece sostituire con il suo stemma raffigurante l’aquila bicipite ad ali piegate

Dal punto di vista difensivo, internamente all’arco fu realizzato un binario di circa quattordici centimetri per venti di spessore, entro cui far scorrere una sorta di saracinesca, ovvero una cancellata di ferro o a travi di legno per sbarrare al momento opportuno l’accesso alla città. Altro sistema era quello dei cardini. Visibili sono ancora i sostegni di duro metallo (cinque per ciascun lato), provvisti di perni, che dovevano sorreggere il peso della enorme porta.

L'edicola votiva che sovrasta la porta
La costruzione terminò intorno al 1495. Dal 1656 circa la porta fu sovrastata da un’edicola votiva opera di Luigi Acampora, dipinta da Mattia Preti, maestro della pittura calabrese che, per scontare una condanna, ebbe il compito di affrescare tutte le porte della città iniziando proprio dalla Capuana. In seguito alla terribile pestilenza che aveva messo in ginocchio la popolazione napoletana, fu invitato a realizzare una serie di immagini sacre come simbolo di protezione. Ulteriori restauri furono compiuti nel 1737 quando entrò in Napoli il diciottenne Carlo di Borbone

Nel 1837 l’affresco del Preti, ormai deteriorato, fu sostituito da quello di Gennaro Maldarelli rappresentante l’Immacolata. Poi, durante gli anni trenta del Novecento, nel corso di un progetto di isolamento di Porta Capuana dagli edifici circostanti sorti nel corso degli anni, l’edicola votiva fu definitivamente eliminata riportandola all’originario aspetto aragonese. 

Posizionata in una zona molto vitale di Napoli, al di là del proprio ruolo strettamente difensivo, ha sempre rappresentato e rappresenta tutt’ora un importante crocevia delle comunicazioni. Ma è stato anche un luogo di aggregazione artistica e culturale: intorno ad essa, ad esempio, nacque ad inizio Novecento il cosiddetto Quartiere Latino, luogo di incontro di importanti artisti napoletani dell'epoca.

Secondo fonti non completamente accreditate che un po’ si fondono a racconti producendo vere e proprie leggende, nei pressi di Porta Capuana esisteva da tempo immemorabile una porta che vide il passaggio di Annibale nel 216 a.C. e anche l’ingresso in Napoli di San Pietro

Vero o falso che sia, resta il piacere di immaginare un pizzico di storia in più giusto per aumentare il fascino ed il mito di una pagina già colma di eventi grandi e fondamentali vissuti nei pressi di questa gloriosa Porta.

Il Natale a Napoli tra cultura, tradizione e arte

di Antonio Ianuale

Il Natale si avvicina e Napoli si sta preparando con eventi e attrazioni che ci terranno compagnia fino al mese di gennaio. Il Comune di Napoli ha deciso di coniugare le tradizioni napoletane all’impegno civico e sociale. Il tema del Natale 2016, scelto dall'assessore alla Cultura Nino Daniele, è infatti ’E Pazzielle, i giocattoli, e sarà dedicato a Luca De Filippo, scomparso pochi mesi fa. 

I giocatoli, simboli eterni dell’infanzia rappresentano la risposta alle raccapriccianti “paranze” che si stanno diffondendo sempre più. Inoltre, il Comune si è impegnato a riaprire la ludoteca dedicata ad Annalisa Durante, la ragazzina uccisa per errore durante un conflitto a fuoco a Forcella. Il Centro Storico ospiterà, nel complesso di San Domenico Maggiore, l’evento Storie di giocattoli. Dal Settecento a Barbie: la mostra, a cura del collezionista Vincenzo Capuano, che ripercorre l’evoluzione del giocattolo: dai pupazzi, ai trenini, ai giochi da tavolo agli automi. 

Sempre a San Domenico sarà organizzata Con i Giocattoli nun s'pazzea, mostra didattica sulla contraffazione dei giochi. Natale all’insegna della tradizione e così non possono mancare i mercatini natalizi, disseminati su tutto il territorio napoletano che sono ormai una grande attrattiva anche per i turisti. A piazza Garibaldi arriva il presepe di ghiaccio: l'opera d'arte, con i pastori quasi a grandezza naturale, sarà esposta di fronte all'ingresso principale della Stazione Centrale, in prossimità dell'Hotel Terminus. 

N'Albero sul lungomare partenopeo
Sul lungomare è stato allestito N’Albero una struttura a forma di abete, alto trenta metri, che potrà ospitare 750 visitatori alla volta, tra bar, bistrot, ristorante e le terrazze panoramiche. N’Albero resterà aperto fino alla fine di febbraio 2017 tutti i giorni dalle 10:00 alle 22:00, mentre a Capodanno sarà festa per tutta la notte. 

Dal 20 novembre è stato allestito il villaggio di Babbo Natale a Palazzo Venezia, con spazi dedicati all’esposizione artigianale e ad addobbi e decorazioni. Per chi volesse un Natale culturale non mancano le possibilità: il 25, 26 e 27 dicembre 2016 verrà messa in scena la “Cantata dei Pastori” al centro di cultura Domus Ars di Napoli.

Dal 29 dicembre 2016 al 4 gennaio 2017 va in scena al teatro San Carlo “Lo Schiaccianoci”, il capolavoro del compositore russo Ciaikovski composto tra il 1891 e 1892. Al San Ferdinando dal 22 dicembre va in scena il celeberrimo testo di Eduardo Scarpetta, “Miseria e Nobiltà”, per la regia di Arturo Cirillo, mentre al Teatro Diana, dal 22 dicembre, Maurizio Scaparro dirige Massimo Ranieri in Teatro del Porto, scritto da Raffaele Viviani

Risate assicurate anche al Teatro Cilea dove Biagio Izzo dal 25 dicembre, è protagonista di “Bello di Papà” con la regia di Vincenzo Salemme. Non manca certo la musica nel fitto programma natalizio: al Complesso Monumentale di San Lorenzo Maggiore l’associazione Musicale Bequadro organizza il concerto di Natale in scena il 16 dicembre. Un Natale, quello napoletano, che mira a coinvolgere una vasta porzione della cittadinanza, che ha a disposizione un’offerta multiculturale per tutti i gusti.


Piscine della Mostra d’Oltremare: l’intervento del Consiglio di Stato

di Antonio Cimminiello 

La piscina della Mostra d'Oltremare a Napoli
Vita dura per le strutture sportive a Napoli. Proprio a pochi passi del discusso Stadio San Paolo (per il quale però di recente ha finalmente avuto inizio la sospirata opera di restyling) da alcune settimane è stata disposta la chiusura delle piscine presenti presso la Mostra d’Oltremare, parte integrante del centro polisportivo “Wedo” di cui proprio l’Ente Mostra detiene la proprietà. 

Le ragioni? Questa volta le parti contrapposte sono l’Ente stesso e la società Acquachiara, che gestisce l’impianto dal 2006. Una serie di irregolarità rispetto a quanto previsto dal contratto- e consistenti essenzialmente nel mancato pagamento delle utenze, fino ad accumulare un debito considerevole pari a circa 400.000 euro- ha spinto l’Ente Mostra a chiudere la struttura.

Per tale scelta l’Ente ha ottenuto in un primo momento anche l’avvallo del Tribunale Amministrativo Regionale, nonostante le lamentele della Acquachiara, che più volte aveva ricordato come il proprio impegno nel tempo avesse garantito attività in una struttura davvero funzionale, contribuendo all’acquisizione di importanti risultati- su tutti un numero di iscritti che è arrivato a superare le mille unità- a fronte di alcune scelte istituzionali invece poco felici (come ad esempio l’abolizione del parcheggio interno ad opera della Mostra). 

La decisione del TAR ha legittimato l’Ente Mostra nell’adozione quindi di un provvedimento di revoca della gestione e sgombero dell’impianto (il contratto di gestione sarebbe scaduto naturalmente nel 2024); e lo stallo è destinato a proseguire, dato che la vicenda giudiziaria si chiuderà con l’udienza dinanzi al Consiglio di Stato fissata per il 12 gennaio 2017. Ma è lo stesso Consiglio di Stato ad aver inserito a sorpresa un nuovo tassello in una vicenda ormai molto controversa, disponendo nel frattempo la sospensione dell’efficacia del provvedimento di sgombero adottato a carico della società Acquachiara.

Non sembrano quindi terminare i casi di contrasto tra istituzioni ed enti privati deputati alla gestione degli impianti sportivi della città partenopea. Come è noto, solo di recente si è chiusa la lunga querelle legata alla sorte dello Stadio Collana, giusto per ricordare uno dei casi più eclatanti. La paralisi giudiziaria in questo caso però rischia di provocare la chiusura dell’impianto sportivo della Mostra d’Oltremare per almeno 6 mesi, ridimensionando ancora di più il numero delle strutture sportive fruibili.

Università tra online e offline: come fare a scegliere?

di Noemi Colicchio

Era il 1962 quando vide la luce un manuale che ha fatto la storia degli studi sulla comunicazione: “Galassia Gutenberg: nascita dell’uomo tipografico”, ad opera di Marshall McLuhan. È stato uno dei pochi casi in cui, nel bel mezzo della rivoluzione, qualcuno si sia accorto della rivoluzione stessa. Di solito al termine di un’epoca storica se ne tirano le somme e, con la consapevolezza del tutto, si riuniscono i puntini per definire nel dettaglio la nuova forma geometrica che ha preso il mondo. McLuhan si rende invece conto che di lì a breve proprio quel mondo sarebbe diventato un villaggio. Globale, ma pur sempre un villaggio: distanze un tempo siderali sarebbero state colmate in un battito di ciglia.

L’abbattimento di barriere d’ogni sorta è il pilastro concettuale su cui si fonda la nascita delle Università online. In effetti, da quanto Tim Berners Lee ha sancito la nascita del World Wild Web nel 1991, la continua tensione verso l’immateriale ha avuto ritmi di crescita esponenziali e il carattere fortemente democratico dell’Internet ha permesso di immaginare nuove forme di condivisione. Prima tra tutte, quella della cultura finalmente evasa dalle aule scolastiche e resa disponibile in rete grazie a varie università online. 

L’iniziale diffidenza dovuta alla non certezza della riconoscibilità del titolo conseguito, è stata spazzata via dalle certificazioni di validità erogate dal Miur ad alcuni degli atenei disponibili. Tre sembrano essere le Università più accreditate del momento: Università eCampus, con 10 sedi fisiche sparse per lo stivale italico e 18mila iscritti dalla sua nascita; Università Niccolò Cusano, con 18 corsi di laurea e oltre 40 sedi in tutta Italia; Università telematica Pegaso, l’unica con 53 sedi italiane, 9 corsi di laurea e 122 master. Per quest’ultima, è stata ideata una formula garanzia per i giovani tra i 18 e i 21 anni, chiamata “occupati o rimborsati”: se entro 3 anni dalla laurea lo studente non ha ottenuto un impiego, l’università gli rimborserà tutti i soldi spesi durante il percorso di studi.

Tante sono le differenze tra l’università online e quella tradizionale. Come fare a scegliere? Di seguito, 5 “pro” e 5 “contro” per fare chiarezza sull’argomento.

1) Lezioni online 

Tutti coloro che hanno frequentato almeno un corso di laurea presso la propria facoltà sanno quanto sia complicato trovare un posto a sedere da cui avere una corretta visuale, tenere alta l’attenzione senza rischiare di addormentarsi o farsi distrarre dai propri compagni, piuttosto che evitare accuratamente di perdere anche una sola virgola nella stesura degli appunti. Accedere ad un’università telematica significa avere a disposizione lezioni online, consultabili quando e quante volte si vuole. La sbobinatura non è mai stata così semplice.

2) Abbattimento costi di trasporto

Il problema degli studenti fuori sede si risolve facilmente accedendo dalla propria cameretta ad ogni lezione si voglia seguire. I costi, in termini di tempo e danaro, dovuti agli spostamenti necessari per raggiungere la sede sono ormai un ricordo lontano.

3) Materiale didattico online

Oltre a poter seguire le lezioni, riguardarle quante volte si vuole, molto del materiale didattico viene reso disponibile sulla piattaforma, per permettere a tutti di accedervi con facilità. Il che mette la parola “fine” alla barbara pratica della vendita degli appunti.

4) Persone con disabilità

Non sempre le strutture universitarie, anche se obbligate per legge, riescono a tenere in perfetto funzionamento gli strumenti atti allo spostamento interno all’ateneo di persone affette da disabilità. Non sempre, tra l’altro, sussiste materialmente la possibilità di spostamento per alcuni tipi di disturbi. L’online risolve senza ombra di dubbio questo gravissimo problema di accessibilità.

5) Maggiore confidenza con il mezzo

Le lezioni prodotte in aula spesso faticano ad entrare a pieno titolo nell’ottica della conoscenza 3.0 cui i giovani d’oggi sono inclini. I metodi di apprendimento sono cambiati e i libri di testo si sforzano di stare al passo con le nuove economie del pensiero operate dai cervelli degli under 30. I pensieri sono linkabili, così come le informazioni reperite sul web, pane quotidiano delle nuove generazioni. Trasmettere contenuti didattici in forma diversa è un tentativo più che utile per creare nuovi metodi di comunicazione tra mondi esperienziali ancora troppo distanti tra loro.

È giunto dunque il momento di valutare i “contro” delle università telematiche, che avevamo promesso di sviluppare in cinque punti. Dopo aver valutato attentamente la questione però, possiamo con certezza definire in un solo concetto la perfetta sintesi dei punti 1,2,3,4,5 che non elencheremo: la perdita del contatto umano.

Prima ancora che conseguire una laurea, l’ateneo è da interpretare come una pubblica piazza in cui conoscenze e competenze si sommano per dar vita ad un capitale umano fatto di persone linkabili. Il tessuto di relazioni umane, di vite che vanno ad intersecarsi o collidere, non potrà mai essere sostituito da un contenuto caricato sul web.

Pro e contro elencati, a voi la scelta.

Campania: la regione in cui si trascorre più tempo in auto

di Danilo D'Aponte

La compagnia assicurativa UnipolSai ha commissionato uno studio circa le abitudini degli automobilisti italiani. L'analisi è stata realizzata in seguito all'analisi dei dati di circa 3 milioni di automobilisti assicurati UnipolSai che installano la scatola nera sulla propria autovettura, settore nel quale la compagnia è leader in Italia e in Europa per numero di apparecchi installati. E, in quanto a frequenza, è venuto fuori che quelli campani siano gli automobilisti che trascorrono più tempo in auto: un giorno, 1 ora e 39 minuti. Con una delle medie km/h più basse d'Italia. 25 km/h. Sommando le 24 ore, mediamente, un cittadino campano trascorre 20 giorni l'anno in auto. Record assoluto in Italia, la cui media è di ben 3 giorni al di sotto.

Dal 2014 ad oggi c'è stato un sensibile cambiamento di queste statistiche stimato in 2 minuti in più al giorno, e in una diminuzione della velocità media. Tuttavia, però, sono diventati meno i giorni complessivi in cui un campano utilizza l'auto (-4 giorni, per la precisione) e sono meno anche i km effettuati (-200 km). 

Con 12.139 km la Campania è tra le regioni in cui si percorrono meno km l'anno (circa 180 km in meno rispetto alla media nazionale di 12.321 km), insieme a Liguria, Sicilia, Val d'Aosta e Piemonte. Con una media di 41 km al giorno. Il venerdì è il giorno in cui si trascorre più tempo in auto.

La Campania ha inoltre un altro record, e nello specifico Caserta: la provincia italiana in cui si utilizza l'auto per più giorni: 302. Napoli, invece, è quella più «nottambula» con il 5,27% dei km complessivi percorsi durante la notte, mentre a Benevento si tende a usare meno l'auto tra mezzanotte e le sei del mattino (4,25% dei km totali). Insomma, all'ultimo posto per km percorsi di notte. Ma Caserta detiene un altro record, è anche la provincia in cui si trascorrono più giorni in auto (21 giorni). Benevento, pur essendo quella in cui si guida meno di notte, è quella in cui si percorrono più km al giorno (48), con 13.981 km annuali, seguita da Avellino (13.157). Così come nel resto d'Italia, è il venerdì il giorno in cui i campani si spostano maggiormente in auto

Napoli è tra le province italiane in cui la velocità media è più bassa: 23,7 km/h, essendo quindi quella in cui si passa più tempo in automobile (1 ora e 40 minuti). Ad Avellino e Benevento, invece, l'auto viene utilizzata per coprire distanze mediamente più lunghe, superiori anche alla media nazionale.

Ripetiamo che lo studio è stato possibile tramite l'analisi delle scatole nere di UnipolSai, il cui numero di dispositivi ha raggiunto circa i 4 milioni. La crescente popolarità è dovuta anche ai molteplici utilizzi: registrazione di data e orario di un eventuale sinistro. Utilizzabile come riferimento per contestazioni, in caso di sentenze del giudice e per multe non dovute. Quanto agli incidenti gravi, invece, ha l'ulteriore utilità di inviare automaticamente una prima richiesta di aiuto alla Centrale Assistenza. Per quel che riguarda i furti, invece, può facilitare il ritrovamento del veicolo.

EasyJet: da Napoli 9 nuove destinazioni internazionali

di Massimiliano Pennone

EasyJet, la compagnia aerea low cost britannica ha deciso di aumentare la propria presenza nella città di Napoli del 17% durante il prossimo anno, confermandosi quindi il vettore più importante dello scalo partenopeo. Secondo il piano di investimenti previsto, infatti, nell'Aeroporto di Capodichino verranno creati 70 nuovi posti di lavoro nel corso del 2017. Numeri che rientrano nel più grande piano della compagnia per il nostro Paese, che genererà un totale dell’8% in più nella crescita degli investimenti e 53 nuovi aeromobili, che collegheranno gli aeroporti italiani fra loro e con gli altri scali europei. 

Easyjet opera in Italia da dieci anni, con oltre 113 milioni di passeggeri trasportati e 1.100 dipendenti assunti con contratti italiani. Gli sforzi del nuovo piano si concentreranno però soprattutto sugli hub di Capodichino, Malpensa e Venezia, rispondendo di fatti al competitor Ryanair, che ha da poco annunciato l’apertura delle rotte da Napoli. Questi investimenti si prevede porteranno 1,4 milioni di posti offerti in più rispetto al 2016, per un totale di 19 milioni di passeggeri trasportati.

In particolare, a Napoli, verranno inaugurate 9 nuove destinazioni internazionali, (tra cui Amsterdam, Barcellona, Cracovia, Praga e Vienna). In totale saranno 37 le destinazioni verso l’Europa dallo scalo napoletano. Investimenti che non significano soltanto nuovi posti di lavoro e più viaggiatori da Napoli e dalla Campania, ma anche più turisti che potranno scegliere la città come meta per le loro vacanze sfruttando le tariffe convenienti del vettore d’oltremanica.

E’ proprio EasyJet, infatti, a presentare le cifre dello studio affidato alla società Sociometrica sull'andamento del 2016: 15 milioni e 518 mila passeggeri trasportati hanno generato un impatto di valore per 7 miliardi e 253 milioni di euro e 209.000 posti di lavoro equivalenti. 

Proprio per questo, quindi, il lancio delle nuove destinazioni è cominciato con una partnership fra EasyJet ed il Museo Archeologico Nazionale, che quest'anno ha fatto registrare il record di visitatori arrivando quasi a 500 mila presenze durante il 2016.

Per noi è un orgoglio questa presenza così massiccia di EasyJet a Napoli. In città stiamo vivendo una stagione nuova. I turisti negli ultimi anni sono praticamente raddoppiati. Napoli si sta affermando come una realtà importante in questo senso”, sono state le parole di Paolo Giuliarini, nuovo direttore dell'Archeologico che era presente alla presentazione del nuovo piano di EasyJet.

Presenti anche il Ministro dei Trasporti Graziano Delrio e Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Paestum, che ha ricordato come i trasporti siano fondamentali per guidare il turismo ed ha aperto a nuove partnership con altri operatori: “Insieme a Trenitalia faremo in modo che a Paestum si fermino anche gli Intercity già da metà dicembre. E anche il prossimo anno continueremo con le nostre aperture serali”.

La SUN cambia nome: intitolata a Luigi Vanvitelli

di Noemi Colicchio

A 25 anni di distanza dalla sua fondazione, la Seconda Università degli studi di Napoli cambia nome e diventa Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. Quel termine, “Seconda”, era realmente scomodo ai casertani, declassati ingiustificatamente a medaglia d’argento nel mondo dell’Università. 

Preside Giuseppe Paolisso - Rettore SUN
In realtà, la sua derivazione è più che banale: l’Università Federico II di Napoli contava un esubero di iscritti rispetto a forze lavoro e aule fisiche disponibili all’interno dei suoi perimetri. Se ne stacca dunque una costola, in particolare dalla facoltà di Medicina e Chirurgia, per diventare “SUN”. Un nome momentaneo, che però è stato identificativo dell’Ateneo per mezzo lustro in cui quattro rettori, finanche il Vescovo Nogaro, hanno tentato un’opera di restyling mai avvenuta. La decisione è stata finalmente presa e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 7 dicembre scorso, grazie all’approvazione dell’iter dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. 

Intitolata oggi a Luigi Vanvitelli, la scelta non cade a caso: il palese richiamo alla terra madre dell’Ateneo è tutto racchiuso nelle mura della Reggia di Caserta, di cui il Vanvitelli fu ideatore e architetto nella seconda metà del 1700. Proprio nelle scorse settimane sono caduti i tendoni e si è aperta di nuovo al pubblico la monumentale vista della facciata restaurata in due anni e mezzo di lavori, finanziati dai fondi europei. 

E mentre la Reggia apre le porte a mostre, concerti ed eventi per dare luce alla sua riscoperta bellezza, anche dal mondo accademico pare manifesta la volontà di riconoscerle gli onori che merita. Si chiude il cerchio del progetto di riqualifica e rivalutazione del territorio con questo risultato ottenuto dal Rettore Giuseppe Paolisso e così da lui commentato: “l’Ateneo necessitava di una nuova identità. Nell’ultimo decennio abbiamo infatti consolidato e radicato la nostra presenza sul territorio, ed è per questa ragione che sin dall’inizio del mio mandato ho avviato, insieme agli Organi Collegiali di Ateneo, questo progetto di cambiamento, formale nelle apparenze ma sostanziale nei contenuti”

Come per ogni azienda che si rispetti, anche l’Università necessita di seguire regole che le consentano di sopravvivere nel mercato ed essere prima scelta di studenti e docenti, grazie al suo prestigio e forte riconoscibilità. In questo percorso, un cambio d’immagine così forse è da maneggiare con cura. Tutto muterà, a partire dal logo per il cui rifacimento è stato indetto un bando internazionale, ma che non arriverà prima del mese di giugno. Il rischio più grande è che si crei confusione a causa di una sovrapposizione di nomi mal gestita.

Il cambio di denominazione di questa università avverrà gradualmente – spiega Paolisso – il nome Seconda Università affiancherà per qualche tempo quello di Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. L’auspicio è che questo processo di cambiamento possa inaugurare un nuovo corso che culmini, per le generazioni future, nel conseguimento di un titolo di laurea fortemente identificativo sia in Italia che all’estero”.


Città della Scienza e "i demoni venuti dal mare"

di Gian Marco Sbordone

Panorama da Città della Scienza
Lo spaventoso incendio che il 4 marzo 2013 distrusse, incenerendolo, gran parte del complesso di “Città della Scienza”, costituisce una di quelle tante (troppe) ferite di questa martoriata città difficili da rimarginare.

E’ bene ricordare, perché in questi tempi tutto sembra scorrere ed essere dimenticato troppo velocemente, che “Città della Scienza” ha rappresentato per Napoli un qualcosa di straordinariamente importante. Un simbolo della possibilità di riscatto, guardando alla modernità e ad un futuro di progresso legato alla scienza e alle nuove tecnologie. Un simbolo anche di inventiva, della possibilità di collegare la scienza alla cultura ed individuare modelli nuovi di divulgazione ai giovani e ai giovanissimi che, infatti, a migliaia giunsero da tutta Italia a visitare meraviglie di quel sito. Il tutto, poi, calato in un contesto in cui sembrava che veramente Napoli potesse cambiare, che veramente potesse esserci quello che un po’ enfaticamente, ma con un certo fondamento, fu definito il “nuovo rinascimento napoletano”.

La tragedia, in verità, si consumò quando ormai di quel rinascimento non si parlava già più da un po’. E fu come mettere il sigillo sulla fine di un ciclo, come l’ interruzione definitiva ed irrimediabile di un circuito virtuoso in cui tanti avevano creduto. Le indagini successive all'evento sono state tutt'altro che semplici. Apparve evidente che la terribile azione criminosa fosse stata condotta da gente esperta. Basti pensare che gli investigatori individuarono almeno sei focolai, in punti diversi, che consentirono lo svilupparsi di un incendio che avrebbe dovuto procurare più danni possibili.

Gente esperta dunque e “senza scrupoli”, come si dice. Soprattutto gente che aveva agito sulla base di un qualche disegno preordinato con cura e finalizzato ad un obiettivo importante. Quale gente? Quale obiettivo? Francamente le indagini hanno fatto ben poca luce su tutto ciò. Non si sa chi sono stati i mandanti, nè gli autori materiali, come siano entrati, come se ne sono andati.

Si disse: ”sono venuti dal mare”. Non si sa nemmeno il perché. Si disse: ”forse per il premio assicurativo, forse per gli interessi della camorra”. Alla fine hanno arrestato, poi processato e il 2 dicembre scorso condannato, Paolo Cammarota, il custode. Era lì quella notte, non poteva non aver visto, non essersi accorto di niente.

Un processo, quindi, che ha lasciato molti interrogativi e tanto amaro in bocca. Avremmo voluto sapere quale mente criminale potette progettare un tale scempio, anche per poter chiedergli se avesse immaginato quali danni avrebbe arrecato con quel gesto alla sua città, alla sua gente. Si perché, saranno pure venuti dal mare, ma è verosimile credere che chi ha ordito lo scempio, e chi l’ha eseguito, appartenga proprio alla nostra gente.

Si dice che la verità prima o poi viene sempre a galla: auguriamocelo. Auguriamoci soprattutto di trovare la forza per reagire. Per il momento registriamo che la ricostruzione di Città della Scienza, partita sotto i migliori auspici e sospinta dalla solidarietà e dalla generosità di molti, anche tantissimi privati cittadini, sembra aver perso slancio, sembra essersi arenata. E speriamo, soprattutto, che i demoni, venuti dal mare o dall' inferno, tutti i demoni che infestano la città, ritornino nell’ inferno, o perlomeno se ne vadano via, magari via mare.

In Campania il Convegno Internazionale di Agricoltura Biodinamica

di Luigi Rinaldi

Quest’anno, si è svolto in Campania il Convegno Internazionale dell’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biodinamica. Il 10 novembre scorso, a Napoli, nel Complesso monumentale Donnaregina, è stato dato il via a quattro giornate ricche di iniziative, dibattiti e dimostrazioni, con al centro il legame tra bioagricoltura, economia e sviluppo del Mezzogiorno. Il Convegno si è chiuso domenica 13 novembre tra i terreni agricoli ed i siti monumentali più belli dell’antica Capua. 

Ai lavori hanno partecipato i più famosi studiosi internazionali di agricoltura ed economia, i quali hanno spiegato come curare la terra, arginare l’inquinamento ambientale e combattere l’illegalità nel settore agricolo. L’obiettivo dell’agricoltura biodinamica, infatti, è quello di ripristinare il “ciclo chiuso”, in base al presupposto per cui un organismo funziona efficacemente quando tutti i suoi organi lavorano in armonia

E’ dal terreno che tutto nasce: l’erba dei prati, gli ortaggi, i cereali e le colture arboree, per cui tanto più il terreno è sano e vivo, tanto più gli animali e l’uomo che si nutrono dei prodotti della terra saranno più sani. Secondo l’agricoltura biodinamica è mangiando che ci curiamo. Ovviamente se le piante sono state trattate con prodotti chimici, tutte le proprietà terapeutiche saranno irrimediabilmente compromesse. L’idea è questa: la produzione di cibi sani e genuini può rappresentare la leva su cui puntare per creare sviluppo ed occupazione soprattutto nel Sud Italia. 

Sempre più la società italiana riconosce l’agricoltura biodinamica come strumento di eccellenza per garantire il benessere degli individui su basi etiche e sociali. In un’epoca in cui l’uomo ed il pianeta soffrono per i danni dello sfruttamento delle risorse e dell’inquinamento, diventa ancora più necessario promuovere attività etiche e morali mirate alla salvaguardia della salute dell’uomo e dell’ambiente, sia attraverso azioni di sensibilizzazione verso i consumatori, sia offrendo metodi di rigenerazione del suolo. 

Terreno coltivato secondo i principi dell'agricoltura biodinamica
In questo contesto, lo straordinario patrimonio agroalimentare del Sud Italia merita particolare attenzione ed impegno, in quanto, attraverso gli strumenti dell’agricoltura biodinamica, si può creare una via sostenibile per favorire economia, salute, occupazione e turismo. In Italia aumentano sempre di più le aziende che rispettano gli standard di questa nuova dottrina che propone una agricoltura di qualità che tuteli il suolo anziché impoverirlo. Sono oltre 4.500 le aziende agricole italiane che hanno scelto di adottare la teoria di Rudolf Steiner, il filosofo austriaco che negli anni Venti per primo ipotizzò un nuovo modo naturale di trattare il terreno agricolo. Un metodo che rifiuta totalmente gli additivi chimici e prevede alcune operazioni pratiche (come lo studio delle fasi lunari) per rivitalizzare la fertilità dei terreni senza rinunciare alla qualità dei cibi.

La strage di Natale: quel maledetto 23 dicembre 1984

di Antonio Ianuale 

Una strage dimenticata, di cui si racconta poco o niente, eppure quella del rapido 904 Napoli-Milano conosciuta come la strage di Natale, è una delle pagine più nere della storia repubblicana. Era il 23 dicembre del 1984 quando il treno rapido partito da Napoli e diretto a Milano, esplode in una galleria nei pressi di San Benedetto Val di Sambro causando la morte di 17 persone, di cui due bambini, e 267 feriti

Le prime ipotesi sembrano paventare un’azione terroristica. Ad avvalorare questa tesi ci sono le prime rivendicazioni di matrice prevalentemente fascista. Per le modalità organizzative ed esecutive la Commissione Stragi indica l’attentato come segno di passaggio dal terrorismo eversivo alla guerra di mafia degli anni '80-'90. Il treno era partito da Napoli poco dopo mezzogiorno gremito di passeggeri in viaggio per celebrare le festività natalizie. 

A Firenze, durante una sosta alla stazione Santa Maria Novella, vengono portate due valigie sulla griglia portabagagli della carrozza 9. Alle 19,06, in località Vernio il treno deflagra per l'esplosione degli ordigni ad alto potenziale contenuti nelle due valige, innescate da un telecomando. L'esplosione aveva danneggiato la linea elettrica e isolato una parte della tratta, rendendo più difficile l’arrivo e il lavoro dei soccorritori. Inoltre il fumo dell'esplosione bloccava l'accesso dall'ingresso sud dove si erano concentrati inizialmente i soccorsi. 

Con l’ausilio di una locomotiva diesel elettrica i feriti vennero portati alla stazione di San Benedetto Val di Sambro per ricevere le cure del caso. Le operazioni di soccorso si protrassero fino alle cinque della mattina, con le condizioni ambientali avverse che complicarono ancora più la situazione: il vento che soffiava da nord verso sud, per un certo tempo impedì l’accesso ai soccorritori toscani. Le indagini si diressero verso gli ambienti terroristici neofascisti, viste anche le similitudini con l’attentato all’Italicus.

Una svolta nelle indagini si ebbe nel 1985 quando vennero arrestati in una casa di Rieti, il cassiere della mafia palermitana Pippo Calò e Guido Cercola: la perquisizione nel loro nascondiglio fu molto proficua: un chilo di eroina, antenne, armi esplosivi. Le perizie fecero emergere che l’esplosivo scoperto nella casa di Rieti aveva la stessa composizione di quello usato nell’attentato di Natale al treno 904. Le indagini e i processi si susseguirono per decenni, trovando anche ostacoli come l’annullamento del processo in Cassazione voluto dal “giudice ammazza sentenze” Corrado Carnevale

Nel 2011 arrivarono le condanne definitive di Calò e Cercola e dopo poco, la Procura di Napoli, grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti di camorra, incriminò Totò Riina. Il boss dei boss fu indagato come mandante della strage, ma il processo iniziato il 25 novembre 2014 con un’udienza a porte chiuse, è terminato con l’assoluzione per insufficienza di prove, nell’aprile 2015. Per tenere viva la memoria della strage il regista Martino Lombezzi ha realizzato in collaborazione con l’Associazione dei famigliari delle vittime, il docu-film “Rapido 904, la strage di Natale”. Il film è stato presentato al PAN di Napoli lo scorso 19 marzo. 


Innovazione per l’energia elettrica: novità in Costiera Sorrentina

di Antonio Cimminiello

Un altro passo verso l’innovazione e l’efficienza. Può così descriversi l’attuazione del programma di ammodernamento della rete elettrica di una parte significativa della Campania ideato da Terna, con l’investimento di una somma superiore al milione di euro per l’intera regione. Un investimento significativo, che innanzitutto produrrà importanti conseguenze in tema di occupazione, visto che i cantieri necessari coinvolgeranno ben 60 imprese e 500 lavoratori. Ma altro dato che merita di essere ricordato è il fatto che in attuazione di tale programma verrà interessato un territorio nevralgico quale la penisola sorrentina

La Costiera Sorrentina 
Qui da più di 40 anni insiste ormai una rete di alimentazione elettrica a dir poco obsoleta ed inadeguata, la quale oltre a non soddisfare adeguatamente e completamente i bisogni degli utenti locali (parliamo di un importante numero di Comuni, che vanno da Castellammare a Sorrento) non ha mancato di arrecare pregiudizi col tempo all'ambiente stesso. Non a caso, il programma sopra ricordato ha avuto inizio proprio con lo smantellamento degli “antichi” tralicci, e sarà destinato ad un completamento che passerà anche per la realizzazione di una nuova stazione elettrica e per il ricorso ad una serie di cavi invisibili, consentendo in questo modo, inoltre, anche un risparmio annuo che potrà aggirarsi attorno ai 500 milioni di euro per cittadini ed “addetti ai lavori”. 

Si cerca così di rimediare ad una situazione che proprio in penisola sorrentina ha finito con lo sfiorare i confini del paradosso. Da tempo ormai le infrastrutture presenti dimostrano di non essere più in grado di far fronte a bisogni essenziali, dall’erogazione di servizi fino alla tutela ambientale. L’assenza di ogni piano al riguardo, però, ha spianato negli anni la strada ad una serie di disservizi, che si sono poi manifestati proprio durante la stagione estiva. Tutto ciò ha inevitabilmente pregiudicato quella risorsa- il turismo- che più di ogni altra invece merita in questo contesto di essere protetta e valorizzata. E’ ancora vivo infatti il ricordo della chiazza marrone al largo delle acque che bagnano Meta di Sorrento durante l’estate 2015 (conseguenza del cattivo funzionamento dei sistema fognario a seguito di forti piogge), e delle diverse ordinanze sindacali che vietarono la balneazione in più punti della costiera sorrentina in piena estate, con grave danno per il turismo locale e – ancora una volta- per l’immagine della “Campania felix”.

Universiadi: pronti 270 milioni per migliorare 50 impianti campani

di Massimiliano Pennone

Il logo ufficiale delle Universiadi che si terranno a Napoli
Lo scorso giugno nella sede della Fisu di Losanna è stato sottoscritto il contratto per l'assegnazione dell'edizione 2019 delle Universiadi che si svolgeranno a Napoli ed in altre città della Campania. Più di 270 milioni di euro, gestiti dall’Agenzia per le Universiadi, verranno utilizzati per rimettere a nuovo 50 impianti. Circa 150 milioni saranno investiti per gli impianti, il villaggio e l'accoglienza; 8,5 milioni invece verranno destinati alla comunicazione e promozione.  Previsti invece 3 milioni per gli incassi dei biglietti.

Fra gli impianti che potrebbero essere interessati ci sono anche strutture importanti come lo stadio San Paolo di Fuorigrotta. E proprio il San Paolo è stato al centro di alcune polemiche nei scorsi giorni, con la riapertura della questione relativa alle gare di atletica. Dal 7 al 13 dicembre, infatti, si sono svolti in città i sopralluoghi dei rappresentanti delle 17 discipline sportive che sceglieranno gli impianti per le Universiadi

La Federatletica internazionale chiede ventimila posti e una tribuna coperta per le gare di atletica, un numero che il Collana - proposto inizialmente e voluto dal Presidente del Coni, Malagò - al momento non riuscirebbe a reggere. Così come di difficile realizzazione sarebbero lo spazio tra l'ottava corsia e l’area dedicata all’allenamento degli atleti. Ciro Borriello, Assessore allo Sport del Comune di Napoli, ha dichiarato che i lavori di ammodernamento del San Paolo cominceranno subito dopo le sfide contro Inter e Torino: “Occorrerà una delibera per l’approvazione definitiva del progetto. Faremo il necessario per le regole UEFA”. Oggetto dei lavori saranno, in primis, gli impianti anti-incendio, la tribuna stampa e le aree di accoglienza per gli ospiti.

A Castellammare di Stabia, invece, si studia per utilizzare gli spazi della Reggia di Quisisana come sede di alcune gare. Il sindaco della città, Antonio Pannullo, ha ricordato infatti come la convenzione con la Soprintendenza Archeologica di Pompei per l’utilizzo degli spazi “sarà prossimamente ratificata in consiglio comunale” per diventare operativa a tutti gli effetti. 

Ad Aversa, l’adesione alla manifestazione da parte del Comune prevede un progetto molto ambizioso, dove è previsto l’adeguamento degli impianti esistenti e che rimarranno funzionali in sinergia con gli atenei anche alla fine delle Universiadi. “Aversa saprà farsi trovare pronta per ospitare questa eccezionale vetrina internazionale, sarà l’occasione per valorizzare la nostra storia, la nostra cultura, e i nostri sportivi”, ha dichiarato l’assessore allo Sport e alla cultura, Alfonso Oliva, dopo l’approvazione dell’adesione da parte della giunta.

Anche Pozzuoli potrebbe essere fra i comuni che ospiteranno le gare. Tramite una delibera, la giunta ha dato il via libera all’utilizzo del Pala Trincone di Monterusciello e ad altri eventuali lavori di ristrutturazione nel caso la sede venga scelta fra quelle designate dal Fisu nelle prossime settimane. Infine, lo stadio Arechi di Salerno è stato scelto per ospitare la finale del torneo di calcio, ma non prima di importanti lavori di ammodernamento e riqualificazione di cui sarà responsabile il Comune utilizzando i fondi della Comunità Europea.

Gli 80 anni della “Posta Centrale” di Napoli

di Marcello de Angelis

Veduta dall'alto del Palazzo delle Poste a Napoli  
Anno 1928. A sei anni dalla Marcia su Roma, il regime di Benito Mussolini è ormai consolidato e viene anzi rafforzato attraverso la riforma della legge elettorale. In quello stesso anno il Gran Consiglio del fascismo si trasforma in organo di Stato, viene istituito l’ufficio di collocamento ed iniziano le grandi opere pubbliche. Ed è proprio datata 1928 la progettazione del Palazzo delle Poste di Napoli, voluto dall’allora ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano e preceduta dall’emanazione di un concorso a cui parteciparono importanti figure dell’architettura del periodo. 

Risultò vincitore il progetto dell’architetto bolognese Giuseppe Vaccaro, il quale, basandosi sullo stile del suo maestro, l’Architetto Marcello Piacentini, realizzò un primo modello in chiave “monumentalista” adeguandosi alle esigenze del regime fascista. Nella fase esecutiva venne accostato dall’architetto Gino Franzi con cui modificò l’idea originaria trasformandola in un esempio di architettura “razionalista-funzionalista”.

La costruzione venne portata a termine tra il 1933 e il 1936 e nacque un edificio che fu vera e propria rappresentazione architettonica del momento, con la sua mole imponente, gli spigoli arrotondati, le facciate prive di fronzoli e ornamenti e le iscrizioni tipiche del periodo. L’inaugurazione avvenne il 30 settembre del 1936 alla presenza del ministro Antonio Stefano Benni.

La struttura, da allora immutata, si sviluppava lungo una linea curva che nel complesso regala al fabbricato una avveniristica forma di un boomerang con la virtuale punta rivolta verso l’interno della piazza in cui è ubicata. Al centro dell’imponente facciata chiara, elegante, spoglia di frontoni e colonne si trovava posto il portale d’ingresso principale raggiungibile attraverso una scalinata. Su Via Monteoliveto e in via del Chiostro, si aprivano poi due ingressi secondari di cui il primo, utilizzato anche dai veicoli.

Per la sua edificazione, furono utilizzate lastre di marmo fuse con estrema precisione ai telai di acciaio degli infissi. Una delle principali caratteristiche fu il bicromatismo determinato dalla diorite di Baveno (una pietra durissima e difficile da scolpire, molto utilizzata dagli antichi Egizi, dai Sumeri e dai Babilonesi) e dal marmo della Valle Strona; l’altezza della fascia in diorite fu studiata per riprendere i motivi e le dimensioni del piperno di cui al loggiato cinquecentesco appartenente al Chiostro alle spalle dell'immobile e corrispondeva a quella dei tre ordini di archi. Le finestre dei due piani superiori furono intagliate senza cornici direttamente nel blocco di pietra.

Interno del Palazzo delle Poste 
L’interno ancor’oggi è caratterizzato da un immenso atrio da cui partono gli ingressi ai maestosi saloni, dominato dai ballatoi dei piani superiori, ove sono ubicati i vari uffici. Al centro è presente la Statua della Vittoria, scultura di Arturo Martini dedicata ai postelegrafonici caduti nella Grande Guerra. Nei saloni ci sono tavoli in marmo rosso con sgabelli in nichel e cuoio; alla fine di ogni ambiente c'è un grande orologio in marmo, attualmente in disuso. In ogni parte del fabbricato si può notare l’uso di materiali all’avanguardia per l'epoca come il cemento armato e il vetrolux. 

La piazza ove si decise di costruire l’edificio fu realizzata negli anni trenta del XX secolo con l’abbattimento della parte all’epoca definita “della Corsea” del Rione Carità, sostituendo buona parte degli edifici fatiscenti che comparivano in quella parte della città per trasformarla in un polo di servizi nell’ambio di un opera di totale risanamento della zona. 

Tra le demolizioni importanti viene annoverata anche quella della storica Chiesa di San Giuseppe Maggiore che sorgeva dove oggi termina via Diaz. Inizialmente definita semplicemente Piazza della Regia Posta venne poi ribattezzata Piazza Badoglio. Dopo la caduta del regime, nel luglio 1944, fu dedicata a Giacomo Matteotti, deputato ucciso nel 1924 proprio da una squadra fascista. 

Particolare da non sottovalutare è il fatto che durante i lavori i due architetti dovettero affrontare anche delle limitazioni dovute alla conformazione stessa della piazza, ovvero il forte dislivello con la sottostante Via Monteoliveto: problema ovviato grazie alla messa in opera di una rampa di scale in pietra di piperno che annulla la notevole distanza in termini di altezza tra le due zone. 

Da quel lontano 30 settembre 1936, il Palazzo delle Poste Italiane di Napoli compie 80 anni. Per celebrare l’importante ricorrenza, si è dato il via a diverse iniziative, come visite guidate negli ambienti dello storico complesso, l’allestimento della mostra fotografica “Il palazzo delle Poste di Napoli di ieri e di oggi”, una proiezione di filmati storici e la riproduzione in dimensioni reali di un ufficio di posta militare da campo. Inoltre è stato realizzato un annullo filatelico speciale, apposto collettivamente dal Sindaco di Napoli Luigi de Magistris, dal Responsabile Area Territoriale Sud di Poste Italiane Roberto Salvatore Minicuci e dal Direttore di Filiale Antonio Ruvo

La storia dell’illustre fabbricato è raccontata, descrivendone i particolari, nel volume “150 anni di arte, letteratura e giornalismo all’ombra di due edifici postali”, un libro illustrato presentato lo scorso 27 ottobre in occasione dell’inaugurazione di una mostra documentaria (avente lo stesso titolo) tenuta nelle sale dell’Emeroteca-Biblioteca Tucci sorta in onore del giornalista de “Il Mattino” Vincenzo Tucci che aveva sede nell’attico, o meglio definito ammezzato, dell’edificio dove lavorava un gruppo di giornalisti, guidato da Nicola Daspuro corrispondente del “Secolo”

Dettaglio interno del Palazzo delle Poste
Nel volume, edito fuori commercio, è narrata la storia sia di Palazzo Vaccaro (il nome proprio del Palazzo delle Poste) che quella di Palazzo Gravina, dal 1936 sede centrale della Facoltà d'Architettura dell'Università degli Studi Federico II ma che nel periodo successivo all'Unità d’Italia fu adibito ad ufficio postale. Si rievocano episodi che, nel bene o nel male hanno segnato in modo indelebile la storia; tra questi la strage compiuta nel salone delle raccomandate il 7 ottobre 1943 pochi giorni dopo le 4 giornate di Napoli, in seguito alla violentissima esplosione di un ordigno collocato dai tedeschi in fuga i quali, dopo aver abbandonato la città braccati dagli Alleati e dalla popolazione in rivolta, avevano minato l’edificio con ordigni a tempo, ovvero programmati per esplodere in un secondo momento, provocando 30 morti, 84 feriti ed ingenti danni all’edificio; si illustrano poi le vicende di diciannove dipendenti postali che avevano avuto successo nella loro attività secondaria di musicisti, poeti, scrittori, commediografi e giornalisti, divenendo colonne della nostra cultura: Matilde Serao (allora telegrafista), E. A. Mario (addetto alle raccomandate), Rodolfo Falvo, Carlo del Flaviis, Vincenzo Della Sala e Giacomo Marulli.

Anno 2016. Dal giorno dell’inaugurazione del Palazzo delle Poste sono passati, come già detto, 80 anni durante i quali la tecnologia ha fatto balzi semplicemente inimmaginabili ed avanza sempre di più. Oggi la mail, la pec, insieme ad altri sistemi, rappresentano il mezzo più veloce di ricezione, ci snelliscono le code rendendo le nostre attività giornaliere più facili, precise e veloci. Resta però la bellezza: quella immutabile, quella che non si può fare a meno di ammirare entrando nella nostra “Posta Centrale”, nata nel periodo buio della nostra storia, ma che ancora oggi rappresenta a livello internazionale una eccellenza nel campo dell’architettura italiana col suo patrimonio di soluzioni ingegneristiche che l’hanno resa, a tutti gli effetti, un esempio di design.

Addio ad Equitalia: dal Luglio 2017 sarà assorbita dall’Agenzia delle Entrate

di Luigi Rinaldi

A partire dal 1° luglio 2017, Equitalia chiuderà i battenti e sarà assorbita dall’Agenzia delle Entrate. L’amministratore delegato di Equitalia diventerà Commissario Straordinario per gestire la fase di transizione e approvare lo statuto. 

Equitalia fu istituita nel 2005 dal Governo Berlusconi per rispondere all’esigenza di accorpare i vari istituti di riscossione dei crediti locali in un unico ente nazionale. Con il tempo, però, l’accorpamento non ha fornito le risposte sperate. Con la chiusura di Equitalia sarà ampliata la possibilità di definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione, relativi al periodo 2000 - 2016. 

I debiti ovviamente non saranno cancellati, ma ci sarà un sostanziale calo degli interessi passivi. La questione più interessante per i contribuenti riguarderebbe la cosiddetta “rottamazione” prevista dal decreto varato dall’Esecutivo insieme alla Legge di Bilancio. Interesserà 3,1 milioni di contribuenti e 100 miliardi di euro di cartelle esattoriali accumulate. Si applicherà, con ogni probabilità, la cancellazione delle sanzioni e degli interessi di mora. Sarà, quindi, ridotta la somma da pagare, ma non sarà un condono. 

Le cartelle oggetto di rottamazione sarebbero tutte quelle di Equitalia notificate entro il 31 dicembre 2016, emesse per il recupero delle somme dovute al Fisco, per i debiti verso l’INPS, quelle delle contravvenzioni ed i tributi locali. Ufficialmente lo scopo è quello di agevolare i contribuenti, ma, in realtà, il vero obiettivo è quello di provare a recuperare soldi. Diverso, infatti, sarebbe stato rivedere il sistema sanzionatorio nel suo complesso e la filosofia della riscossione. 

Al netto di sanzioni ed interessi di mora, l’Esecutivo prevede per il prossimo anno un gettito aggiuntivo di circa 4 miliardi di euro. Molti si chiedono se bisogna aspettarsi un unico pagamento oppure una dilazione a rate. La bozza del decreto prospetta una dilazione fino a 36 rate pari a tre anni. Chi già sta pagando con la rateizzazione potrà accedere ad uno sgravio di sanzioni ed interessi moratori sulle rate ancora dovute. Ma è ancora tutto da stabilire.


Guerra alla “movida selvaggia” tra proposte e ribaltoni

di Antonio Cimminiello

Baretti di Chiaia a Napoli
E’ davvero difficile conciliare le necessità di tutelare luoghi di aggregazione, che sono il vero e proprio “cuore pulsante” di una città, e le esigenze di chi vive in quei luoghi e desidera per essi fruibilità e serenità. E questa da tempo è la situazione che caratterizza la zona dei “baretti di Chiaia” a Napoli, che rappresenta al tempo stesso tanto una forte attrattiva per il divertimento quanto lo scenario di vicende sempre più esasperanti per gli abitanti del posto.

Alcune decisioni adottate in passato- progetto “Aracne”, assunzione di vigilantes- non hanno risolto del tutto i problemi, come pure confermato da alcuni fatti di cronaca. In tutto ciò ha contribuito a rendere conflittuale il rapporto stesso tra cittadini, istituzioni e commercianti. Il clou è stato raggiunto con la proposta-shock avanzata dal presidente della Prima Municipalità Francesco De Giovanni: chiusura obbligatoria per bar e altri luoghi di ritrovo per le ore 01:30: la proposta ha suscitato il forte malcontento di chi ottiene larga parte dei propri introiti proprio con un’attività lavorativa che va ben oltre la fascia oraria che si intendeva invece dichiarare “off-limits”.

Dopo un primo, agitato confronto, finito con un nulla di fatto, si è deciso di scegliere una linea più morbida: posticipare la chiusura “forzata” per le 2 di notte. Ma nel secondo incontro tra le parti, e quando l’approvazione della relativa ordinanza municipale sembrava ormai in dirittura d’arrivo, i rappresentanti degli esercizi commerciali di Chiaia hanno nuovamente manifestato il proprio dissenso, avanzando al contrario una sorta di controproposta: fissare un vincolo di orario pari alle 2:30 del mattino, ma imporlo altresì per tutti i locali di Napoli. 

Tutto ciò ha portato il presidente De Giovanni a dover necessariamente chiamare in causa il sindaco partenopeo Luigi De Magistris per la risoluzione di questo problema. In realtà l’ente di Palazzo San Giacomo già da tempo ha aperto una trattativa al riguardo con gli interessati, e per la prima parte del mese di Dicembre è già stato fissato un nuovo incontro. Per ora, anche se si cerca di individuare il “bicchiere mezzo pieno” (le iniziative comunque già intraprese dai commercianti quali ad esempio l’insonorizzazione dei locali, l’aver semplicemente catalizzato l’attenzione su questa problematica, ecc.), ciò che deve riscontrarsi è il persistere dell’assenza di una serie di regole quanto meno in grado effettivamente e con buon senso di conciliare le esigenze di tutti, residenti e non.

CIS di Nola: via libera al salvataggio

di Antonio Cimminiello

Una veduta dall'alto del CIS di Nola
Il copione sembrava, tragicamente, il solito. Crisi economica, indebitamento “necessario”, tracollo. E il tutto si produce con maggior impatto, quando in gioco è il destino di un polo logistico e commerciale all’ingrosso e al dettaglio, da quasi 30 anni punto di riferimento per più di 300 imprese, qual è senza dubbio il CIS-Interporto Campano

Le prime avvisaglie si erano avvertite nel 2010, quando non è stato più possibile contare su regolari entrate finanziarie (chi usufruisce dei locali del polo paga un canone locatizio periodico). Tutto ciò ha rappresentato l’inizio di un calvario, che ha raggiunto l’apice nel 2015 con l’accertamento di una massa debitoria enorme, pari a ben 740 milioni di euro. Ma quando il fallimento sembrava l’epilogo più scontato, ecco l’intervento decisivo del Tribunale di Nola, che autorizza un accordo finalizzato alla ristrutturazione delle passività

In parole povere, viene resa operativa l’intesa già raggiunta tra le banche (che vantano nello specifico crediti per 600 milioni di euro) ed i vertici del Cis- Interporto Campano. Se da un lato l’accordo riconosce alle banche parziali poteri decisionali- come ad esempio quello di nominare i componenti di alcuni organi direttivi- dall’altro esso mira ad assicurare un rilancio industriale, che porterà essenzialmente alla riqualificazione, riaffitto o vendita dei locali da tempo ormai inutilizzati per il fallimento delle aziende che in passato se ne avvalevano. 

Ancora una volta un dialogo costruttivo tra le parti ha dimostrato come sia possibile superare insieme momenti economici difficili, senza dover passare necessariamente per un’inaccettabile rinuncia ai propri diritti o per un’inevitabile chiusura delle attività, soprattutto quando queste ultime non sono soltanto fonte di perdite. A tal proposito è sufficiente pensare alla centralità che assume anche l’Interporto di Nola (sede di officine di importanti aziende italiane) o il noto centro commerciale “Vulcano Buono”, anch’esso parte integrante del gruppo presieduto da Gianni Punzo ed impegnato attualmente in una specifica trattativa con istituti bancari per trovare una soluzione in ordine all’estinzione dei propri debiti, pari a più di 100 milioni di euro. La speranza è che tale esempio possa essere seguito per risolvere altre, se non più drammatiche, situazioni riguardanti la realtà lavorativa in Campania: la vertenza Almaviva, per citarne una, è purtroppo una ferita ancora aperta.

Manuela Arcuri e l’ essenza della democrazia

di Gian Marco Sbordone

Manuela Arcuri
Il compenso corrisposto all’attrice e show girl Manuela Arcuri, per la sua partecipazione alla cerimonia di accensione dell’albero a Salerno (7.500 euro), ha suscitato perplessità e polemiche. Tali perplessità e tali polemiche sono gran parte riconducibili alla figura di Vincenzo De Luca.

De Luca, Presidente della Regione Campania e per un ventennio Sindaco di Salerno, è senza dubbio personaggio controverso. Odiato e amato, osannato e denigrato. A Salerno, suo feudo, gli riconoscono indubitabili doti di decisionismo e lungimiranza amministrativa. E’ un dato di fatto che con la sua gestione la città di Salerno ha conseguito risultati importantissimi in termini di sviluppo urbanistico e sociale ed è un suo merito essere riuscito ad attrarre verso quel capoluogo flussi turistici inimmaginabili.

Siccome, tuttavia, a tali doti si accompagna anche una notevole spregiudicatezza ed una certa arroganza, nei suoi confronti sono anche indirizzate critiche velenose ed una forte, ma non omogenea opposizione che, in ogni caso, non hanno mai scalfito il consenso elettorale e politico di cui, almeno a Salerno, ancora dispone. Le critiche in merito alla vicenda “Manuela Arcuri” sono quindi da ascriversi a questo contesto. Più in generale è apparso poi un segnale di un possibile conflitto di interessi la circostanza che la Regione Campania ha destinato bene tre milioni di euro per le famose, ed in verità molto apprezzate, “Luminarie di Salerno”.

Detto questo, c’ è da osservare che, in verità, nel mondo in cui viviamo, in cui personaggi dello spettacolo e dello sport riscuotono ingaggi e compensi molto spesso spropositati, i 7.500 euro della Arcuri non dovrebbero costituire un particolare scandalo.

E’ proprio, invece, sulla questione dei compensi che spesso amministrazioni pubbliche sono pronte ad elargire, che andrebbe fatto un ragionamento di fondo. In sintesi, poiché si tratta di soldi pubblici, ci si dovrebbe chiedere se questi soldi possono essere considerati ben spesi. La risposta a questa domanda sta tutta nella valutazione se tali spese pubbliche abbiano o meno una finalità pubblica e se, in sostanza, siano o meno indirizzate al bene della collettività. Nel particolare, i 3 milioni previsti per le luminarie e, nell’ ambito, i 7.500 euro della Arcuri sono stati ben spesi? 

La risposta potrebbe anche essere affermativa ed invero non si è nelle condizioni di stabilirlo. Quello che allora appare veramente intollerabile è che la politica in genere e le pubbliche amministrazioni non ritengano mai essere un loro dovere spiegare ai cittadini, in concreto, come sono stati spesi i loro soldi, quali benefici, in concreto, sono derivati dalle spese fatte. Questo è veramente il punto centrale ed è anche l’essenza della partecipazione popolare e della democrazia.

Regione: De Luca nuovo Commissario alla Sanità

di Luigi Rinaldi

Il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca 
Nel 2014, l’attuale Governo Renzi, modificando la legislazione vigente, stabilì la regola che i Commissari alla Sanità, chiamati a sanare i buchi nelle varie Regioni non dovessero più essere i Governatori di quelle stesse Regioni, ma tecnici esterni, provenienti da altre aree territoriali. La finalità era quella di evitare una discutibile e pericolosa coincidenza tra i ruoli di controllato e di controllore

Lo scorso mese di novembre, la Commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento alla Legge di Bilancio che consente, di nuovo, al Governo di nominare i Presidenti di Regione nel ruolo di Commissari alla Sanità. Attualmente le Regioni che sono sottoposte ai piani di rientro sono otto e sono state tutte commissariate. Il Commissario è Joseph Polimeni, direttore generale dell’ASL 2 di Lucca. 

Con la nuova norma, approvata in Commissione Bilancio, il delicato e controverso incarico di Commissario alla Sanità per la Regione Campania verrebbe così affidato al Governatore, Vincenzo De Luca, non appena il testo normativo diventerà legge dello Stato. La controriforma del Governo Renzi ha scatenato vibranti proteste da parte dell’opposizione, che ipotizza uno scambio di favori tra il Capo del Governo ed il Governatore De Luca. 

La maggioranza viene accusata di aver portato avanti l’emendamento in cambio dell’appoggio promesso da De Luca per la campagna elettorale per il “SI” al referendum costituzione dello scorso 4 dicembre. Addirittura il presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, su pressioni da parte dei membri dell’opposizione che siedono in Commissione, ha inoltrato alla Procura di Napoli una formale richiesta al fine di verificare se esistono indagini in corso a carico del Governatore De Luca, in merito ad alcune sue dichiarazioni che potrebbero costituire un caso di voto di scambio. 

Per stroncare le polemiche il Governo Renzi ha subito individuato un escamotage: il Commissario alla Sanità sarà soggetto a verifiche ogni sei mesi, onde accertare se il suo operato sia stato conforme ai piani di rientro e se la performance sui livelli di assistenza sia stata positiva. Non tutti, però, sono contrari ad una eventuale nomina di De Luca come Commissario alla Sanità. In tanti affermano che con De Luca si potrà superare una gestione che, sino ad ora, ha dimostrato poca attenzione alle specificità del territorio.