di Marcello de Angelis
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Veduta dall'alto del Palazzo delle Poste a Napoli |
Anno 1928. A sei anni dalla Marcia su Roma, il regime di Benito Mussolini è ormai consolidato e viene anzi rafforzato attraverso la riforma della legge elettorale. In quello stesso anno il Gran Consiglio del fascismo si trasforma in organo di Stato, viene istituito l’ufficio di collocamento ed iniziano le grandi opere pubbliche. Ed è proprio datata 1928 la progettazione del Palazzo delle Poste di Napoli, voluto dall’allora ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano e preceduta dall’emanazione di un concorso a cui parteciparono importanti figure dell’architettura del periodo.
Risultò vincitore il progetto dell’architetto bolognese Giuseppe Vaccaro, il quale, basandosi sullo stile del suo maestro, l’Architetto Marcello Piacentini, realizzò un primo modello in chiave “monumentalista” adeguandosi alle esigenze del regime fascista. Nella fase esecutiva venne accostato dall’architetto Gino Franzi con cui modificò l’idea originaria trasformandola in un esempio di architettura “razionalista-funzionalista”.
La costruzione venne portata a termine tra il 1933 e il 1936 e nacque un edificio che fu vera e propria rappresentazione architettonica del momento, con la sua mole imponente, gli spigoli arrotondati, le facciate prive di fronzoli e ornamenti e le iscrizioni tipiche del periodo. L’inaugurazione avvenne il 30 settembre del 1936 alla presenza del ministro Antonio Stefano Benni.
La struttura, da allora immutata, si sviluppava lungo una linea curva che nel complesso regala al fabbricato una avveniristica forma di un boomerang con la virtuale punta rivolta verso l’interno della piazza in cui è ubicata. Al centro dell’imponente facciata chiara, elegante, spoglia di frontoni e colonne si trovava posto il portale d’ingresso principale raggiungibile attraverso una scalinata. Su Via Monteoliveto e in via del Chiostro, si aprivano poi due ingressi secondari di cui il primo, utilizzato anche dai veicoli.
Per la sua edificazione, furono utilizzate lastre di marmo fuse con estrema precisione ai telai di acciaio degli infissi. Una delle principali caratteristiche fu il bicromatismo determinato dalla diorite di Baveno (una pietra durissima e difficile da scolpire, molto utilizzata dagli antichi Egizi, dai Sumeri e dai Babilonesi) e dal marmo della Valle Strona; l’altezza della fascia in diorite fu studiata per riprendere i motivi e le dimensioni del piperno di cui al loggiato cinquecentesco appartenente al Chiostro alle spalle dell'immobile e corrispondeva a quella dei tre ordini di archi. Le finestre dei due piani superiori furono intagliate senza cornici direttamente nel blocco di pietra.
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Interno del Palazzo delle Poste |
L’interno ancor’oggi è caratterizzato da un immenso atrio da cui partono gli ingressi ai maestosi saloni, dominato dai ballatoi dei piani superiori, ove sono ubicati i vari uffici. Al centro è presente la Statua della Vittoria, scultura di Arturo Martini dedicata ai postelegrafonici caduti nella Grande Guerra. Nei saloni ci sono tavoli in marmo rosso con sgabelli in nichel e cuoio; alla fine di ogni ambiente c'è un grande orologio in marmo, attualmente in disuso. In ogni parte del fabbricato si può notare l’uso di materiali all’avanguardia per l'epoca come il cemento armato e il vetrolux.
La piazza ove si decise di costruire l’edificio fu realizzata negli anni trenta del XX secolo con l’abbattimento della parte all’epoca definita “della Corsea” del Rione Carità, sostituendo buona parte degli edifici fatiscenti che comparivano in quella parte della città per trasformarla in un polo di servizi nell’ambio di un opera di totale risanamento della zona.
Tra le demolizioni importanti viene annoverata anche quella della storica Chiesa di San Giuseppe Maggiore che sorgeva dove oggi termina via Diaz. Inizialmente definita semplicemente Piazza della Regia Posta venne poi ribattezzata Piazza Badoglio. Dopo la caduta del regime, nel luglio 1944, fu dedicata a Giacomo Matteotti, deputato ucciso nel 1924 proprio da una squadra fascista.
Particolare da non sottovalutare è il fatto che durante i lavori i due architetti dovettero affrontare anche delle limitazioni dovute alla conformazione stessa della piazza, ovvero il forte dislivello con la sottostante Via Monteoliveto: problema ovviato grazie alla messa in opera di una rampa di scale in pietra di piperno che annulla la notevole distanza in termini di altezza tra le due zone.
Da quel lontano 30 settembre 1936, il Palazzo delle Poste Italiane di Napoli compie 80 anni. Per celebrare l’importante ricorrenza, si è dato il via a diverse iniziative, come visite guidate negli ambienti dello storico complesso, l’allestimento della mostra fotografica “Il palazzo delle Poste di Napoli di ieri e di oggi”, una proiezione di filmati storici e la riproduzione in dimensioni reali di un ufficio di posta militare da campo. Inoltre è stato realizzato un annullo filatelico speciale, apposto collettivamente dal Sindaco di Napoli Luigi de Magistris, dal Responsabile Area Territoriale Sud di Poste Italiane Roberto Salvatore Minicuci e dal Direttore di Filiale Antonio Ruvo.
La storia dell’illustre fabbricato è raccontata, descrivendone i particolari, nel volume “150 anni di arte, letteratura e giornalismo all’ombra di due edifici postali”, un libro illustrato presentato lo scorso 27 ottobre in occasione dell’inaugurazione di una mostra documentaria (avente lo stesso titolo) tenuta nelle sale dell’Emeroteca-Biblioteca Tucci sorta in onore del giornalista de “Il Mattino” Vincenzo Tucci che aveva sede nell’attico, o meglio definito ammezzato, dell’edificio dove lavorava un gruppo di giornalisti, guidato da Nicola Daspuro corrispondente del “Secolo”.
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Dettaglio interno del Palazzo delle Poste |
Nel volume, edito fuori commercio, è narrata la storia sia di Palazzo Vaccaro (il nome proprio del Palazzo delle Poste) che quella di Palazzo Gravina, dal 1936 sede centrale della Facoltà d'Architettura dell'Università degli Studi Federico II ma che nel periodo successivo all'Unità d’Italia fu adibito ad ufficio postale. Si rievocano episodi che, nel bene o nel male hanno segnato in modo indelebile la storia; tra questi la strage compiuta nel salone delle raccomandate il 7 ottobre 1943 pochi giorni dopo le 4 giornate di Napoli, in seguito alla violentissima esplosione di un ordigno collocato dai tedeschi in fuga i quali, dopo aver abbandonato la città braccati dagli Alleati e dalla popolazione in rivolta, avevano minato l’edificio con ordigni a tempo, ovvero programmati per esplodere in un secondo momento, provocando 30 morti, 84 feriti ed ingenti danni all’edificio; si illustrano poi le vicende di diciannove dipendenti postali che avevano avuto successo nella loro attività secondaria di musicisti, poeti, scrittori, commediografi e giornalisti, divenendo colonne della nostra cultura: Matilde Serao (allora telegrafista), E. A. Mario (addetto alle raccomandate), Rodolfo Falvo, Carlo del Flaviis, Vincenzo Della Sala e Giacomo Marulli.
Anno 2016. Dal giorno dell’inaugurazione del Palazzo delle Poste sono passati, come già detto, 80 anni durante i quali la tecnologia ha fatto balzi semplicemente inimmaginabili ed avanza sempre di più. Oggi la mail, la pec, insieme ad altri sistemi, rappresentano il mezzo più veloce di ricezione, ci snelliscono le code rendendo le nostre attività giornaliere più facili, precise e veloci. Resta però la bellezza: quella immutabile, quella che non si può fare a meno di ammirare entrando nella nostra “Posta Centrale”, nata nel periodo buio della nostra storia, ma che ancora oggi rappresenta a livello internazionale una eccellenza nel campo dell’architettura italiana col suo patrimonio di soluzioni ingegneristiche che l’hanno resa, a tutti gli effetti, un esempio di design.
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