mercoledì 29 marzo 2017

Beni confiscati: quale futuro?

di Antonio Cimminiello

Il Castello Mediceo che fu di Raffaele Cutolo
Davvero interessante può considerarsi una delle più recenti iniziative intraprese dalla Fondazione Polis (vero e proprio “strumento operativo della Regione Campania per il miglior sostegno alle vittime della criminalità e la miglior gestione dei beni confiscati), con il sostegno di Libera

Precisamente, si è trattato della presentazione di due studi, dedicati proprio al riutilizzo di quei beni oggetto di confisca, i quali, nonostante il notevole valore economico, sempre più spesso rimangono abbandonati a se stessi, vuoi per la loro provenienza illecita - spesso i patrimoni dei clan rischiano addirittura di tornare nel circuito criminale - vuoi per colpa di una burocrazia che arriva talvolta a “strangolare” ogni possibilità di un nuovo, legittimo e proficuo uso degli stessi. 

Oggi quale futuro è riservato ai beni sottratti alle mafie? Gli studi sopra ricordati hanno cercato al riguardo di dare una risposta, partendo da una visione d’insieme relativa all’Italia per poi focalizzarsi sulla Campania. Non mancano molti spunti significativi. Ad esempio, tra questi rientra a pieno titolo il numero dei beni confiscati: in Italia si arriva a 19.000, e quasi 3.000 di questi risultano ubicati nella sola Campania. Come vengono riutilizzati tali beni? Le destinazioni toccano gli ambiti più disparati, con un occhio all’attualità: giusto per dirne una, sulle 78 pratiche di riutilizzo prese in considerazione da Fondazione Polis e Libera per la regione campana, ben 61 sono preordinate a destinare i beni affidati ad attività di reinserimento socio-lavorativo nonché ai servizi alla persona. 

Il punto dolente che queste ricerche hanno indirettamente evidenziato è invece un altro: l’assenza di una “governance” davvero unitaria, globale e trasparente quanto al riutilizzo dei beni confiscati. Una serie di dati evidenzia impietosamente ciò: in Campania una fetta considerevole di tali beni è ormai proprietà degli enti locali (si arriva ad una soglia del 57 per cento), quegli stessi enti che però non poche volte appaiono “distratti” su una materia tanto delicata, come dimostrato dall’assenza di aggiornamento degli elenchi dei beni citati insistenti sul proprio territorio, senza dimenticare i casi in cui un elenco del genere manca addirittura. 

Una maggiore “attenzione” quindi sarebbe un vero toccasana, il che significa pure un controllo pieno su tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei beni confiscati (di recente Raffaele Cantone, a capo dell’ANAC, ha evidenziato proprio la necessità di verificare anche operato e finalità di associazioni e cooperative affidatarie). In questo modo da un lato si assicurerebbe un importante ritorno per la società - è significativo al riguardo citare il numero dei beneficiari, superiore alle 16.000 unità, che usufruiscono dei beni oggetto delle pratiche di riutilizzo in Campania studiate da Polis e Libera - e dall’altro si trasmetterebbe all’esterno un messaggio davvero positivo: aprire alla società quelli che furono i “luoghi copertina” della camorra (dalla villa stile “Scarface” del boss Schiavone fino al Castello Mediceo che fu di Raffaele Cutolo) significa dimostrare che la legalità può affermarsi anche in realtà dove in modo più forte e simbolico si manifesta il “volto” della criminalità organizzata.


“Il Muro di Napoli”: la parola agli autori

di Marcello de Angelis

Lo scorso 22 febbraio nel foyer del Teatro Bellini di Napoli, con l’amichevole presenza del Sindaco Luigi de Magistris, è stato presentato il libro ‘Il muro di Napoli’, edito da ‘Homo Scrivens’ e scritto a quattro mani da Giovanni Parisi, Assessore alla Cultura della IV Municipalità e da Giovanni Calvino, architetto, sceneggiatore e regista. 

Siamo nel 1943, a ridosso dell’ultima delle ‘Quattro giornate di Napoli’ e la città festeggia la sua liberazione. La vicenda inizia a scorrere quasi subito su una linea storica alternativa ai fatti realmente accaduti, da quando inizia a circolare la voce che insieme agli americani sono entrati anche i russi…ed è prossima la costruzione di un muro che dividerà Napoli in due parti, metà sotto la bandiera rossa e metà sotto quella a stelle e strisce. In questo contesto vivono e si muovono i protagonisti: il Professor Alfonso (comunista convinto), la moglie, i figli Vincenzo e Sofia, la zia, il bidello Salvatore ed il portiere Armando. 

La domanda è, come reagirà Napoli? Cosa verrà fuori dallo scontro fra la cultura materialista sovietica e quella surreale e piena di superstizioni della città partenopea? 

Ci siamo divertiti a creare una condizione nuova che poteva tranquillamente capitare: una Napoli divisa come avvenne realmente a Berlino. Con la differenza che i napoletani non sono i berlinesi, cosa da cui deriva la notevole difficoltà dei russi nel provare a sovietizzare questo popolo, cercando tra l’altro di eliminare le sue tradizioni millenarie come il culto dei morti, la festa di S.Gennaro, il Presepe” così risponde Giovanni Parisi, dal suo ufficio presso la sede della IV Municipalità, dove mi ha accolto con il consueto garbo e la sua innata simpatia.

Giovanni Parisi
E' proprio questa la nota caratteriale più forte del libro, la fanta-storia: si alternano le curiosità legate all’avvicendamento dei personaggi inventati con dei fatti realmente accaduti e quelli che sarebbero potuti accadere. Sono convinto che se i russi fossero veramente arrivati in città, i partenopei avrebbero risposto come risposero all’invasione tedesca, perché questo è un popolo accogliente, ma che ha la capacità di avvolgere lo straniero… di conseguenza arduo da manipolare, inoltre ha delle tradizioni così profonde che difficilmente qualcuno riuscirebbe a modificare. E questo si evince con chiarezza dai dialoghi dei protagonisti, dove ad esempio il Professor Alfonso cerca di convincere Armando che sarebbe stato meglio capitare dall’altra parte del muro, nella zona russa… dove certamente di lì a poco sarebbe nata una Napoli nuova, sovietizzata secondo il modello del marxsismo. Ma Armando nella sua ingenua beatitudine fa capire al Professore che deve essere contento perché dalla parte americana dove si trovano… sta il mare! Ebbene non ci stanno speranze, il popolo napoletano non si può sovietizzare! All’interno di questo contesto abbiamo calato una vicenda familiare seguendo l’esempio di Eduardo De Filippo, dove in contesti spesso comici ci sono tragedie personali. Nel nostro caso Vincenzo, di ritorno dalla battaglia di Stalingrado, dove ha disertato l’esercito fascista per aggregarsi all’armata rossa, rientra a casa incaricato di una misteriosa missione, in compagnia di un soldato russo e viene arrestato dalle truppe americane”.

A proposito di Eduardo, nel volume troviamo una soluzione narrativa geniale: inserire i personaggi principali delle commedie del Maestro.

"Li abbiamo inseriti tra un capitolo e l’altro senza mai riferimenti chiari, e solo chi conosce le sue opere riesce a trovarli. L’originalità è che in questo caso i protagonisti assoluti delle commedie di Eduardo diventano comparse".

Ne “Il Muro di Napoli” troviamo personaggi stupendi, tratteggiati con sapiente intelligenza ed ironia. Possono essere letti come un’estensione dell’universo creato da Luciano De Crescenzo con il professor Bellavista?

Sicuramente ci sono dei riferimenti nel Professore di filosofia in pensione e ai vari soggetti che gli ruotavano intorno, ma in merito a questo mi chiedo: siamo noi ad essere così pieni dell’universo di Bellavista e delle commedie di Eduardo fino al punto da citarli involontariamente oppure è proprio la nostra stessa cultura che è piena di queste figure che gli autori precedenti hanno ben raccontato e ben identificato portando quindi ad un rimando automatico? Faccio un esempio: fino alla seconda guerra mondiale si viveva abitualmente quella situazione in cui attorno ad un soggetto particolare, tipo il proprietario del palazzo, il conte, il Professore…la cosiddetta figura chiave, si andava a costruire (anche un po’ per le nostre radici greche), il ‘cenacolo’ in cui si intrattenevano svariate umanità che volevano apprendere, capire, elevarsi culturalmente. E dalla maieutica, dal dialogo e dal racconto di aneddoti classici nasceva questa figura che, già negli anni ’30, Eduardo metteva in scena con ‘A che servono questi quattrini’ di Armando Curcio, dove c’era il filosofo che voleva vivere senza denaro insieme ad una corte di scansafatiche che voleva trovare una identità seguendo i consigli del protagonista. La differenza tra il nostro Professore e quello di De Crescenzo sta nel fatto che il secondo stava in pensione tranquillamente mentre Alfonso è andato in pensione forzatamente per aver avuto il coraggio di dire no al fascismo”.


Giovanni Calvino
L’impostazione del libro ha una struttura dal sapore teatrale, fatta di monologhi e dialoghi asciutti, senza didascalie. Ne parla meglio Giovanni Calvino, raggiunto telefonicamente.

Abbiamo scelto una struttura in cui il narratore fosse assente e tutta la storia viene raccontata dalla voce della coscienza di 3 persone: il padre e i due figli. L’assenza del narratore suggerisce quindi un’assonanza con quella che è la struttura teatrale. Tutto viene narrato esclusivamente dai dialoghi. E come in un testo dove tutto ciò che non è protagonista, è assente: una riduzione scenica non può tenere sul palco 300 personaggi, mentre la voce narrante può divertirsi a metterne moltissimi. In questo modo le figure protagoniste si riducono, cosa che rappresenta un altro motivo di somiglianza ad un testo teatrale”. 

Questa è la seconda collaborazione con Giovanni Parisi…

"Si, tra noi c’è un’amicizia vera e solida. Quando si scrive a 4 mani bisogna essere molto affiatati altrimenti nel momento in cui ci si corregge a vicenda possono nascere delusioni e piccole permalosità". 

Assessore Parisi, com’è nata la vostra collaborazione?

Attraverso le infinite vie della politica ho avuto la possibilità di conoscere persone meravigliose come Calvino. È il secondo romanzo che scriviamo insieme dopo ‘Il marchese di Collino’, dedicato ai bambini. Il vero scrittore, l’artigiano della scrittura è lui, io ho più un’attività legata all’inventiva temporanea, ho intuizioni da cui nascono le storie. Da una passeggiata sul lungomare è nata la suggestione di una Napoli divisa da un muro come Berlino. Decidemmo quindi di creare una storia su due piani paralleli: quella della città che rifiuta la sovietizzazione, creando un particolare assai caratterizzante, e quella della famiglia che vive tale situazione e che rende la vicenda sicuramente più universale”. 

Giovanni Parisi, uomo politico, storico e scrittore…ma quale passione nasce prima

Nasce prima la passione per la scrittura e poi quella per la politica per un fatto legato alla crescita professionale. Quando ho cominciato a scrivere ero molto piccolo ed è stato subito dopo aver iniziato ad apprezzare il teatro di Eduardo. Sono sempre stato dell’idea che prima di scrivere bisogna leggere. Non puoi arrogarti il diritto di scrivere se prima non sai cosa è stato già scritto almeno su quello stesso argomento. Veniamo da un mondo dove tutto è stato già detto e fatto, ma c’è sempre la possibilità di dare una propria visione che deve essere espressa in un contesto che però bisogna conoscere. E qui si riallaccia la mia passione per la Storia. La storia dei precedenti avvenimenti che hanno poi condizionato quelli attuali. Questa passione ha influenzato il mio metodo di studio perché in qualsiasi cosa vado a fare nella politica, nel tempo libero, nella scrittura ho un’attenzione quasi spasmodica sulle citazioni, sulle fonti, sui richiami. E ritengo fondamentale verificare più di una volta le determinate circostanze in cui avviene l’avventura che racconto”.

Mi allontano dallo studio con la consapevolezza di avere conosciuto una persona splendida sia dal punto di vista umano che intellettuale.


Regione Campania: arriva la piattaforma Open Data

di Noemi Colicchio


Anche la Regione Campania ha aderito all’iniziativa Open Data Day: un’occasione di confronto tra cittadini e istituzioni, durante l’annuale celebrazione degli open data festeggiata contemporaneamente in tutto il mondo. La prima settimana del mese ha infatti visto gli esperti del settore ed i rappresentanti delle amministrazioni impegnati in varie giornate al PAN – Palazzo delle Arti di Napoli, Città della Scienza e in altre location scelte per aprire una finestra di dialogo con la cittadinanza su un tema importante, ma dai contorni poco definiti. Cosa siano i “data” è difficile da spiegare senza partire dalla consapevolezza che ne siamo i principali fautori. 

Stiamo parlando di una mole ingente di dati, strutturati e catalogati o meno, registrati quotidianamente dal web. Lo scopo di una piattaforma open data è renderli accessibili a chiunque necessiti di tali informazioni, al fine di favorire una corretta interpretazione del principio di trasparenza su cui si dovrebbe basare la raccolta di dati, soprattutto da parte delle pubbliche amministrazioni. In linea con questo spirito negli ultimi 5 anni, presso l’Università degli Studi di Salerno, è stata organizzata la Settimana dell’amministrazione aperta promossa dal Ministero della Pubblica Amministrazione. Tema caldo quello scelto per l’occasione: rifiuti in Campania. 

«Siamo in Campania e la comunicazione pubblica più efficiente per il cittadino dovrebbe essere proprio quella relativa ai rifiuti, sia per quanto riguarda le tasse che rispetto a gestione, trattamento e smaltimento degli RSU; nel corso di quest’anno abbiamo effettuato un monitoraggio su 11 comuni della provincia (tra cui la stessa città di Salerno) e nel corso del laboratorio pomeridiano mostreremo agli amministratori presenti una serie di dati che loro stessi non sapevano di avere». Queste le parole della prof.ssa Daniela Vellutino, docente di comunicazione pubblica e linguaggi istituzionali, coordinatrice del progetto “Diritto di accesso civico”, finalizzato a sensibilizzare gli studenti verso una corretta gestione dei dati immagazzinati dalle P.A. 

Il problema principale di questi dati è poter essere resi fruibili da chi ne sia interessato e non solo pubblicati sul web, in formati non decodificabili. Spiega infatti Giorgia Lodi, consulente dell’Agenzia per l’Italia Digitale: «Molti amministratori pensano che il loro compito si esaurisca mettendo i propri dati sul web, pubblicandoli in un formato qualsiasi, ma è molto più complicato di così: bisogna garantire che questi dati siano standard formali e qualitativi per tutti. Serve una “lingua comune” per presentare questi dati e garantire la possibilità di renderli fruibili (che è quanto l’Agid sta cercando di fare) non solo dai cittadini, ma anche dalle imprese che possono costruire su di essi dei servizi». 

Proprio per questo nasce www.opendatacampania.it, la piattaforma che sarà operativa a partire dal mese di aprile e consentirà agli utenti di consultare gli archivi di dati liberamente. Varie le risorse necessarie al progetto: dagli sviluppatori in grado di favorirne la codifica, ai cittadini stessi che con il loro apporto consapevolmente partecipativo potrebbero garantire un vero salto di qualità nella gestione di tali informazioni. Gli stessi studenti potrebbero usarle per scopi didattici, piuttosto che gli imprenditori per individuare nuove fette di mercato scoperte. Non resta che attendere con ansia l’apertura del portale ed accedervi con la consapevolezza di esserne la fonte primaria.





Napoli: la leggenda di Maria a’ rossa, strega di Port’Alba

di Marcello de Angelis

Port'Alba a Napoli
Napoli è una di quelle città italiane in cui la storia è percepibile in ogni quartiere, in ogni strada, in ogni palazzo, in ogni singola pietra che la compone ed è spesso strettamente legata ad antichi miti, ad oscure vicende di fantasmi, all’esoterismo, alla magia o alle semplici credenze popolari. 

Tra i luoghi protagonisti di vicende in bilico tra verità e leggenda, troviamo senza dubbio Port'Alba: ubicata sul lato sinistro dell'emiciclo dell’attuale piazza Dante, un tempo conosciuta come Largo Mercatello e dove fino al 1588 si svolgeva, appunto, il mercato. Essa venne edificata nel 1625, in pieno viceregno spagnolo, al fine di agevolare l’ingresso della popolazione dall’esterno della cinta muraria angioina. In realtà la genesi di questa porta ebbe origine da una situazione ai limiti del grottesco: in assenza di varchi ufficiali di accesso nelle vicinanze, i napoletani pigri ma geniali allora come oggi, cominciarono a scavare di nascosto proprio in corrispondenza del torrione di guardia della zona aprendovi un foro…prontamente otturato dai soldati…e prontamente riaperto dalla popolazione. 

Stufo del reiterarsi della situazione, don Antonio Alvarez de Toledo duca d’Alba, discendente del più famoso don Pedro, nel 1624 acconsentì alla demolizione del torrione e alla costruzione della Porta, che da lui prese il nome. Venne decorata con tre stemmi: uno dedicato a Filippo III, uno dedicato al Vicerè e uno rappresentante la Città partenopea. Al di sotto di essa nacque l’odierna via Port'Alba, celebre per la presenza di edifici settecenteschi che ospitano numerose storiche librerie e rinomate pizzerie. 

Indescrivibile caleidoscopio di voci, suoni e colori, oggi è un luogo molto conosciuto e frequentato da giovani e turisti. Un pizzico di città caratterizzato da suggestivi angoli dove spesso si possono scorgere coppiette che si baciano e si scambiano l’amore. L’amore…quel sentimento meraviglioso che ha sedotto poeti e letterati e ha spinto l’uomo a gesti valorosi e di impareggiabile coraggio. Proprio quel sentimento è il protagonista di una storia densa di quegli elementi sovrannaturali e misteriosi accennati all’inizio, e che avrebbe avuto luogo nella fantasia o nella realtà, questo non lo sapremo mai, sotto l’arco di Port’Alba. 

Maria a'rossa
È la storia di Maria, una stupenda ventenne dalla folta chioma rosso fuoco, conosciuta come “Maria ‘a rossa”. Ammirata da tutto il quartiere, abitava in una casetta all’interno delle mura cittadine. Amava, ricambiata, un ragazzo di nome Michele il quale però viveva al di fuori della murazione ragione per cui i due innamorati fino ad allora non si erano mai potuti neanche abbracciare. Grande felicità rappresentò ovviamente per essi l’apertura di Port’alba da allora in poi finalmente avrebbero potuto vedersi tutti i giorni. Purtroppo però le cose andarono ben diversamente. In una notte tempestosa accadde qualcosa che cambiò per sempre la vita dei due giovani i quali, nel frattempo, erano diventati marito e moglie. 

La leggenda narra che i due freschi sposi stavano rincasando sottobraccio. All’altezza di una piccola fontana all’angolo della piazza avvertirono un tuono più fragoroso degli altri e qualcosa di strano fermò i passi del ragazzo immobilizzandolo e impedendogli di avvicinarsi all’uscio di casa. Maria riuscì a superare la fonte, Michele no. La poverina, sconvolta e fradicia di pioggia e lacrime, cercò di trascinare il suo uomo che sembrava come pietrificato e, quando, stremata da tanta fatica decise di rientrare a casa, Michele rimase lì terrorizzato al punto da prendere quel segno come infausto, allontanandosi per sempre da lei. 

La ragazza restò a dannarsi per giorni. Disperata e incredula aveva capito di aver perso il suo amore. Lentamente iniziò a trascurarsi, i suoi capelli imbiancarono, il volto divenne una rete di rughe, la pelle rinsecchita, gli occhi infossati. Il dolore giorno dopo giorno la trasformò in una creatura orribile, divenne cupa e torva, i vecchi amici cominciarono ad evitarla e perfino a toglierle il saluto, la gente cominciò a temerla e a segnarsi al suo sguardo: Maria era diventata una strega: la strega di Port’Alba.

In poco tempo dal Largo Mercatello nacque un forsennato passaparola di paure, calunnie e falsità. Erano gli anni terribili, dell’inquisizione spagnola, di processi sommari e condanne esemplari: a “Maria ‘a rossa” fu inflitta la punizione che toccava alle streghe: rinchiusa in una gabbia che stava appesa ad un gancio proprio sotto l’arco della Porta e lasciata morire di fame e di sete. Per giorni chiese inutilmente pietà. Poi tacque. Solo un attimo prima di spirare ritrovò la voce. Una voce cattiva, gracchiante, con cui lanciò il suo anatema alla folla venuta ad assistere al supplizio: “La pagherete. Tutti. Voi, i vostri figli, i vostri nipoti, tutti. La pagherete”. E chiuse gli occhi per sempre. 

Il suo cadavere rimase in quella posizione per settimane però, misteriosamente, anziché decomporsi, cominciò a pietrificarsi. I giudici inquisitori, non volendo alimentare ulteriori voci, si affrettarono a far scomparire la gabbia. Per diversi anni quel gancio rimase lì, quale unica testimonianza di quell’atroce esecuzione. Oggi resta solo l’incavo nella pietra e un’ombra che, secondo le voci del popolo, da allora continua ad aggirarsi di notte tra le librerie e le botteghe. Un’ombra in cerca del suo innamorato. Un’ombra dalla chioma rosso fuoco che sbuca dai vicoli e si ferma sempre nello stesso punto, dove c’era quella fontanina. 

Tutta questa storia sarà vera? Chissà… ma è bello pensare di no. È bello pensare che con un moderno “rewind”, i due giovani sposi, in una sera dal cielo stellato, sono rientrati abbracciati nella loro casa.

We Start Challenge: è sfida aperta per gli startupper campani

di Massimiliano Pennone

La Campania continua ad essere un territorio ad alto tasso tecnologico, confermandosi fra le regioni italiane che dedicano più iniziative all’incubazione e alla presentazione di startup innovative.

Il 18 febbraio scorso, infatti, è iniziata la seconda edizione di We Start Challenge, la competizione per startup organizzata dalla Regione Campania e promossa da Impact e Rotaract Zona Partenopea, con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia.

Una competizione aperta a giovani under 35 che abbiano individuato un bisogno sociale o ambientale sul territorio, e identificato quindi una soluzione che possa soddisfarlo attraverso uno specifico prodotto-servizio. Una app, un servizio o anche un prodotto per la comunità; insomma la classica soluzione innovativa per un problema vecchio.

Sede di apertura non poteva non essere l’iOS Developer Academy di San Giovanni a Teduccio, dove è stata allestita una giornata interamente dedicata ai temi dello sviluppo e della sostenibilità sociale.

Le 12 startup preselezionate per la Pitching session hanno potuto raccontare la propria storia e la propria idea dinanzi ad un pubblico composto da studenti, esperti del settore ed accademici. Una giuria di docenti, imprenditori e manager del mondo della tecnologia ha poi selezionato i migliori 8 team che potranno partecipare ad un percorso di Learning per sviluppare il loro prodotto.

Il percorso durerà tre mesi, dove i team potranno migliorare il loro prodotto grazie all’aiuto di tutor d’eccezione, come i professionisti del Gruppo Giovani Imprenditori Napoli, un pool di esperti in tematiche legate all'innovazione e ai servizi digital e ICT. Ed infatti è soprattutto grazie alla partecipazione delle associazioni di categoria locali e degli ordini professionali, che da anni stanno portando avanti attività di riflessione sul tema dell’innovazione, che è stato possibile organizzare l’iniziativa.

In una fase successiva, i team che passeranno le fasi finali si contenderanno l’accesso ai programmi di potenziamento per startup come l’incubatore di Città della Scienza,  l’Academy di 012 Factory, lo screening del fondo di Venture Capital R204 ed i servizi innovativi di TIM Open. Inoltre le startup migliori avranno anche la possibilità di usufruire dei fondi pubblici con il contributo di Startup Europa.

Lo scorso anno, dopo un intenso percorso durato 9 mesi, la prima edizione di #WeStartChallenge si è conclusa il 28 Maggio, durante un evento ospitato nei locali di Eccellenze Campane. L'iniziativa ha visto coinvolti più di 50 giovani studenti universitari e neolaureati under 30, provenienti dai tre maggiori atenei di Napoli. I 13 team di startupper hanno potuto accedere a formazione e strumenti messi a disposizione degli incubatori più importanti della Regione.


Ad aggiudicarsi la prima edizione, il team di Dalilab, una startup che utilizza capelli per creare un nuovo tipo di fibra riutilizzabile in medicina, sfruttando la  resistenza, l’estensibilità e la composizione al 100% organica del materiale.

Regione Campania: via ai bandi per le piccole e medie imprese

di Luigi Rinaldi

Il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca
Lo scorso 7 febbraio, la Giunta Regionale della Campania, con uno stanziamento di 78 milioni di euro, ha deliberato il via ai primi bandi di attuazione della Strategia di Specializzazione Intelligente (RIS3) rivolti alle imprese del territorio regionale. 

L’idea è quella di promuovere i processi di innovazione, seguendo una logica che parte dagli studi di fattibilità, al trasferimento tecnologico fino alla prima industrializzazione, dallo startup di impresa, fino alla open innovation. Dalle attrezzature al marketing, dalla brevettazione alle spese di gestione, le startup potranno richiedere il 60% di contributi a fondo perduto.

L’atto deliberativo prevede due filoni di intervento. Bandi destinati alle Piccole e Media Imprese, al fine di incrementare le attività di innovazione, con un investimento di 50 milioni di euro. In questo primo caso gli interventi comprendono sia studi di fattibilità che progetti di trasferimento tecnologico e investimenti per realizzare processi d’innovazione. Bandi per le Start Up e per le PMI innovative, per l'incremento delle attività di innovazione e delle specializzazioni innovative delle imprese con un investimento totale pari a 28 milioni di euro. In questo secondo caso gli interventi sostengono processi di open innovation volti alla creazione e al consolidamento di startup con potenziale tecnologico.

"Con la deliberazione di oggi diamo il via ad una nuova stagione di programmazione dei fondi europei. Un investimento importante che - ha sottolineato il presidente della Regione Vincenzo De Luca - promuove l'innovazione delle imprese del territorio regionale, mettendo in moto processi economici e competitivi. Interventi mirati e rispondenti alle strategie di specializzazione che ci siamo dati rispondendo all'impulso dell'Unione Europea e che portiamo avanti in maniera sinergica. Credo - conclude - siano azioni che non hanno precedenti in questa regione e a livello nazionale, per la logica innovativa anche di processo che porta avanti". Queste nuove opportunità rivolte a pmi, startup, spin off e aspiranti imprenditori sono state presentate lo scorso 8 febbraio con la Startup Europe Week Campania, presso la sede museale di Villa Pignatelli a Napoli. Un’iniziativa che si inserisce nella Startup Europe Week (SEW) la settimana europea che dal 6 al 10 febbraio, in oltre 280 città e 40 paesi, ha visto il susseguirsi di iniziative dedicate alle startup e alla creazione di nuova imprenditorialità.


Napoli è pronta per il giro del mondo tra musica, gastronomia e folklore

di Marcello de Angelis

Dopo l’enorme successo del “Festival dell’Oriente”, Napoli gioca ancora una volta la carta dell’ospitalità internazionale, ma stavolta fa le cose più in grande: nella superba cornice della Mostra D’Oltremare ospiterà dal 30 Giugno al 2 Luglio e dal 7 al 9 Luglio il “Primo Festival del Mondo”. La struttura di Fuorigrotta dedicherà i propri spazi alla colossale esposizione delle più disparate caratteristiche e specialità enogastronomiche, artigianali ed artistiche provenienti dalle varie parti del mondo. Il biglietto unico del Festival del Mondo che dovrebbe aggirarsi sui 10 euro darà la possibilità di partecipare a tutti gli avvenimenti che si svolgeranno all’interno del centro polifunzionale. 

Si partirà, come è giusto che sia, dai padroni di casa con il travolgente “Festival di Napoli” con un tributo ai miti napoletani come Totò, di cui ricorre il cinquantenario dalla scomparsa, Massimo Troisi, i De Filippo e tanti altri. Nel settore chiamato “Amo la terra” saranno esposte le eccellenze della Campania Felix. Verrà rappresentata la storia, la cultura, il cibo, gli usi e costumi della nostra terra. Un inno alla bellezza e alle tradizioni di questa meravigliosa regione.

Tra gli eventi internazionali attesi con maggiore desiderio e curiosità c’è sicuramente il “Festival Spagnolo” che arriva con tutto il suo carico di euforia, brio e voglia di divertirsi! Si svolgerà nello splendida location delle cosiddette fontane danzanti. Suggestivi spettacoli ricchi di musica e luci colorate in cui verrà rappresentato il folklore, e le sue affascinanti usanze. Si danzerà al ritmo del flamenco e si assaggeranno i sapori catalani più classici come la vera paella, “il Rito delle Tapas” (stuzzichini freddi caldi composti da formaggi, olive, salumi), e il Japon Pata Negra; Il Gazpacho (una zuppa fredda di pomodoro), le Patatas Bravas, bevendo una Cruzacampo o la tradizionale sangria a base di vino rosso e frutta di stagione.

Nel padiglione interamente dedicato al “Festival Irlandese”, altro grande avvenimento molto atteso, il pubblico verrà trasportato nell’incanto di quella splendida isola del nord Europa, accompagnato dal ricco repertorio culinario come le grigliate, le zuppe, il salmone affumicato, i formaggi alle erbe, i dolci alle mele ed altre delizie annaffiate dalla celeberrima birra scura, il tutto col sottofondo dei più noti gruppi musicali irlandesi. 

Al suo interno vi sarà un’intera area dedicata ai riti ed al fascino del “Festival Celtico”. In particolare si darà spazio alle loro usanze al confine tra tradizione e magia, alla melodia dei menestrelli, fiabe e leggende narrate dai bardi, ai giochi, ai mercatini ed anche ad una scuola d’armi. Non mancherà la riproduzione di un villaggio storico con le sue strutture tipiche ed i personaggi che lo popolavano. Si potranno inoltre ammirare antichi strumenti musicali come lo Zufolo di latta, la Cornamusa Irlandese, o il Corno da Guerra Celtico. “L’October Festival” sarà un grande happening colorato e condito dai profumi delle specialità bavaresi. Si verrà avvolti dal profumo del luppolo e del malto dell’ottima birra locale e di specialità come i Wurstel alla brace, le Salsicce di Norimberga, i Crauty e l’immancabile Strudel di mele.

Poi, con pochi passi che separano un padiglione dall’altro si potrà fare un virtuale balzo lasciando il continente europeo volando oltreoceano per farsi travolgere dall’allegria e dal ritmo, del “Festival Latino Americano” e del “Festival Argentino”. Anche qui folklore, tangueri scatenati e iniziative culturali insieme a mostre fotografiche, artigianato, stand commerciali, arte, e costumi. Da qui, tra speroni, carrozze, atmosfere rurali, cappelli a larghe falde, balli e musica western ci si collega al “Festival Country”, ovvero una incredibile mostra sulla storia della conquista del west con spaccati di vita indiana del “Festival dei Nativi Americani”, allestimenti di tende e la presenza dei poderosi “American Horse”. Si potranno assaporare prodotti tipici della cucina country; sapori decisi e piccanti e anche ricette quali: ribs, bistecche, chili di carne, fagioli rossi e tanto altro ancora.

Legato a questo Festival c’è l’evento “Mitica America”, con moto ed auto storiche ed atmosfere retro’ narrate in “American Garage” con fast-food, cherleeder, juke-box, flipper e tutta l’atmosfera scanzonata della California anni ’60.

È previsto inoltre un assaggio di atmosfere orientali in “Le mille e una notte” e un pizzico di calore dal Continente Nero in “La mia Africa”.

Insomma, un totale di 15 eventi previsti, ancora suscettibili di modifiche, essendo i programmi, i siti e le strutture ancora in fase embrionale data l’ancora lunga strada verso l’apertura dei lavori. Quel che è certo è che per quei suddetti sei giorni la Mostra D’Oltremare diventerà uno speciale mezzo di locomozione culinario/culturale, con cui il Comune di Napoli permetterà di poter fare un enogastronomico ed artistico giro del mondo in un solo giorno.


La Federico II in soccorso della Biblioteca dei Girolamini: nasce un corso di alta formazione per salvare l’istituto

di Antonio Ianuale 

La Biblioteca dei Girolamini a Napoli 
Uno spiraglio di luce illumina la Biblioteca dei Girolamini: il travaglio della famosa istituzione culturale nel centro storico di Napoli sembra essere giunto al suo epilogo. Nel 2012 la Biblioteca più antica di Napoli era stata posta sotto sequestro nell’ambito di un’inchiesta sul mercato illegale di beni culturali della storia repubblicana e l’allora direttore Marino Massimo De Caro era stato arrestato. Un saccheggio vero e proprio perpetrato ai danni della biblioteca, che aveva visto il filosofo Gianbattista Vico studiare, e che aveva costretto alla chiusura l’istituzione napoletana e messo in pericolo il suo futuro. 

Numerosi erano stati gli appelli di intellettuali a smuovere le istituzioni cittadine e nazionali per salvaguardare un patrimonio culturale inestimabile. A distanza di cinque anni la Biblioteca dei Girolamini può rinascere: è stato firmato un accordo tra il Mibact, il rettore dell’Università di Napoli Federico II Gaetano Manfredi e la direttrice generale del Ministero per le Biblioteche Rossana Rummo, che affida la Biblioteca al Dipartimento di Studi Umanistici dell’ateneo federiciano

L’accordo prevede la nascita di un corso di alta formazione in “Storia e filologia del manoscritto e del libro antico”, una sorta di master post-laurea aperto a 20 studenti, di cui 10 beneficeranno di una borsa, altri 10 saranno eventuali uditori. Come si può leggere dal bando le discipline studiate nel nuovo corso di laurea saranno: ecdotica, linguistica, tradizione dei testi medievali e umanistici, filologia ed editoria digitale, codicologia, paleografia, storia della miniatura, tecniche di digitalizzazione del patrimonio librario. Gli obiettivi del corso di formazione saranno in funzione della salvaguardia del patrimonio culturale della Biblioteca: gli studenti dovranno, infatti, catalogare le opere possedute dalla Biblioteca, al fine di realizzarne un Catalogo digitale e cartaceo: saranno realizzati cataloghi cartacei e digitali contenenti tutti i manoscritti e gli incunaboli della Biblioteca dei Girolamini. Il corso è di durata biennale, aperto ai laureati magistrali di ambito letterario-filosofico. Il comitato scientifico è presieduto dall’ex rettore Guido Trombetti, impegnato da tre anni alla rinascita dell’istituto. La direzione del corso è affidata al filologo Andrea Mazzucchi, professore ordinario di filologia italiana. Finalmente le istituzioni si smuovono e si adoperano per il salvataggio della Biblioteca dei Girolamini, che deve tornare a vivere i fasti di un tempo.


Helmut Newton: la magia dei suoi scatti al Pan di Napoli

di Marcello de Angelis

Diciamo la verità, con la moda dei cosiddetti “selfie”, figli del più classico “autoscatto”, la fotografia ha un po’ perso il suo originario significato, svilito e soffocato da migliaia di smorfiosi primi piani o di pietanze culinarie. Ormai il rappresentare qualcosa di unico e speciale che possa essere fissato nel tempo e nello spazio quasi non ha più senso, di fronte ad una tale mole di inutili scatti che indugiano sull’edonismo e l’ostentazione di se stessi. Ma, fortunatamente, il passato (remoto o recentissimo) ci ha lasciato la testimonianza o, se vogliamo lo sprone, affinché possa essere restituita la dignità che merita a questa splendida forma d’arte. Grandi maestri che con un tocco di genio e tanta sensibilità hanno fatto della fotografia uno strumento espressivo di grande efficacia, regalandoci incredibili capolavori, degni di essere presentati in mostre monografiche che hanno esaltato i loro già prestigiosi nomi. 

 E così, dopo “Senza confini” di Steve McCurry arriva al PAN, il Palazzo delle Arti di Napoli, per la prima volta, la mostra di un grande artista internazionale, Helmut Newton, fotografo di moda, famoso in tutto il mondo in particolare per i suoi studi sul nudo femminile. Impareggiabile provocatore e protagonista di originalissime sperimentazioni visive, nasce a Berlino il 31 ottobre del 1920 da una ricca famiglia di origine ebrea e il suo vero cognome è Neustädter. A soli otto anni il fratello maggiore lo porta in un quartiere a luci rosse dove vive e lavora la famosa Red Erna con gli stivali alti fino al ginocchio e la frusta. Sarà la sua prima esperienza visiva che aprirà la strada alla passione per le immagini e la fotografia. A dodici anni, con i soldi che lui stesso ha risparmiato, compra la prima macchina fotografica. Nel 1948 sposa June Brunnell, già modella per i suoi scatti. Modifica il suo cognome in Newton e nel 1961 si trasferisce a Parigi e comincia a lavorare per French Vogue iniziando così la sua carriera. 

Helmut manifesta sin da subito il suo interesse per il corpo femminile, scattando istantanee dal forte contenuto erotico. Capace come pochi di restituire ciò che va oltre la pura e semplice riproduzione della scena ritratta, permettendo di intravedere l’esistenza di una realtà ulteriore. Dietro la semplicità delle sue luci, dietro quella tecnica di ripresa che non indugia mai nel voyerismo, fa del nudo di donna pura arte visiva

Bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione” sosteneva con ironia a proposito del suo inimitabile stile provocatorio e trasgressivo che lo ha portato ad essere chiamato dalle riviste quali: Playboy, Vogue, GQ e Vanity Fair, come dai più grandi stilisti. Esibisce i suoi scatti in mostre in giro per il mondo a New York, Parigi, Londra, Houston, Mosca, Tokio, Praga e Venezia prima della sua scomparsa nel 2004. L’attuale progetto della mostra nasce nel 2011 per volontà di June Newton, oggi Presidente della Helmut Newton Foundation che con la “Civita Mostre” ha organizzato l’evento. Una prestigiosa esposizione che colpisce già dall’immagine esposta sulla locandina pubblicitaria che hanno invaso la città: un “autoritratto” in cui, oltre alla statuaria bellezza della modella integralmente nuda (eccezion fatta per i tacchi a spillo), c’è il riflesso allo specchio dello stesso artista al lavoro e la presenza della moglie, al suo fianco sul set, con una complicità di sguardi e una lettura dell’erotismo completa e senza limiti.

L’esposizione, curata da Matthias Harder e Denis Curti e promossa dal Comune di Napoli, è aperta al pubblico dal 25 febbraio al 18 giugno 2017 e presenta oltre 200 immagini tratte dai primi tre libri che Newton pubblicò tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, da cui deriva il titolo della mostra che a sua volta si articolata in altrettante sezioni. Volumi che egli stesso ha integralmente progettato, fino alla loro impaginazione. 

La prima sezione è dedicata alle immagini del primo libro monografico White Women, pubblicato nel 1976 , che riceve il prestigioso Kodak Photo Book Award. 84 immagini a colori e in bianco e nero in cui, basandosi sui celebri nudi delle “Maya” di Goya del Museo del Prado di Madrid, rivoluziona il concetto di foto di moda dando alla donna una visione assolutamente innovativa.

La seconda sezione espone i ritratti di Sleepless Nights, del 1978, e tratta il mondo delle donne, i corpi, gli abiti, ma trasformando le immagini, da foto di moda, diventano reportage di scene del crimine: modelle seminude che indossano corsetti ortopedici o sono bardate in selle in cuoio, fotografate in atteggiamenti sensuali e provocanti. Il volume raccoglie i lavori realizzati da Newton per diversi magazine (Vogue fra tutti), ed è quello che lo renderà un’icona della fashion photography. 

L’ultima sezione riguarda la pubblicazione Big Nudes, datato 1981, grazie al quale Newton raggiunge il ruolo di protagonista della fotografia del secondo Novecento, con la nuova frontiera delle gigantografie che entrano così nelle gallerie e nei musei di tutto il mondo. Nudi a figura intera ed in bianco e nero su tacchi a spillo vertiginosi e sguardi di sfida. La stessa sfida che Napoli ha raccolto ospitando eventi di altissimo livello intellettuale ed artistico, arricchendo così il suo già prestigioso bagaglio culturale. 


Laurea da comporre: novità in Gran Bretagna

di Noemi Colicchio 

Jo Jhonson
È di qualche giorno fa la notizia dell’emendamento alla legge sull’istruzione e la ricerca annunciato dal Sottosegretario all’Università Jo Jhonson, che permetterà agli studenti del Regno Unito di costruire la facoltà dei loro sogni su misura. Questa è solo una delle sfaccettature che rendono particolarmente innovativa la proposta di riforma del sistema universitario avanzata dal governo firmato Teresa May, primo ministro inglese, ma sembra essere la più interessante in assoluto. 

I giovani laureandi potranno comporre il proprio piano di studi attraverso una diversa gradazione tra più blocchi di materie, appartenenti anche a facoltà differenti. La tabella degli orari sarà tutta da regolare sulla base delle disponibilità dello studente e dei suoi interessi. Sarà poi compito del nuovo ufficio di coordinamento evitare una gestione confusionaria degli aspetti didattici e organizzativi.

La proposta è in cantiere da parecchio tempo, ma sembra essere in dirittura d’arrivo la sua approvazione. Ruolo chiave quello rivestito da J. Jhonson - tra l’altro, fratello del Ministro degli esteri Boris - grande sostenitore di questa nuova ed evolutiva visione. Ad oggi in Inghilterra è già possibile strutturare il proprio momento formativo attraverso una diversa combinazione di crediti provenienti anche da Università diverse, ma è una pratica ancora in disuso poiché relegata ad un ristretto numero di istituti appartenenti a questa rete e esclusivamente alla fine di un anno accademico. 

La riforma, qualora fosse definitivamente approvata, sarebbe solo una nota a piè pagina di un libro già scritto più che bene: il sistema universitario inglese, infatti, è uno tra i più all’avanguardia nel mondo intero. Vanta tra i suoi meriti, sorvolando sulle classiche questioni relative a strutture adeguate, campus ben progettati, preparazione degli studenti non solo teorica ma soprattutto pratica e proiettata al mondo del lavoro, corpi docenti di altissimo livello accademico e ben bilanciati tra quote maschili e femminili. 

Mentre in Italia gli ultimi dati pubblicati dal Ministero dell’Istruzione e della Ricerca hanno sottolineato ancora una volta una disparità di genere inaccettabile, le differenze con l’estero non tardano a farsi notare, soprattutto con l’Inghilterra. Al 31 dicembre 2016 è stata registrata una percentuale del 22% di presenze femminili tra gli insegnanti in cattedra universitaria: 8 su 10 sono uomini; in Inghilterra invece il rapporto può considerarsi paritario, 50 e 50. In Italia sono cifre da capogiro, eccetto che nell’ambito della ricerca, dove lo scarto sembra essere meno evidente: 43 contro 57. 

Passi da gigante o solo rifiniture di un motore già ben avviato, la proposta del governo conservatore funge ugualmente da modello e fonte di ispirazione per un buon progetto innovativo, capace di rendere profittevole l’impegno dei giovani nel coltivare competenze e passioni necessarie alla costruzione del futuro desiderato.

Matilde Serao: la prima donna giornalista di Napoli

di Antonio Ianuale

Matilde Serao
Ritratto di donna moderna, attenta ai fenomeni sociali, appassionata osservatrice del suo tempo, capace di attirare l’attenzione e la stima di letterati come Benedetto Croce e Gabriele D’Annunzio: questa è stata Matilde Serao. Nata a Patrasso, da padre napoletano, sfuggito alle persecuzioni borboniche, e da madre greca, si trasferì a Napoli all’età di quattro anni nel 1860 quando la caduta dei Borboni era imminente. A Napoli completa i suoi studi conseguendo il diploma di maestra e si avvicina alla scrittura e in particolar modo al giornalismo. L’esordio come scrittrice avviene nel Giornale di Napoli, dapprima con articoli d’appendice, poi con novelle in cui si firmava con lo pseudonimo di Tuffolina

A ventisei anni decide di trasferirsi a Roma per continuare la sua formazione da giornalista: nella capitale conoscerà lo scrittore verista Giovanni Verga e il giornalista Eduardo Scarfoglio che sposerà nel 1885. Al matrimonio sarà ospite anche il letterato D’Annunzio, che ne scriverà una cronaca per il quotidiano “La Tribuna”. A Roma Serao inizia a scrivere di tutto e a collaborare con diverse testate tra cui il “Corriere del Mattino” e “Capitan Fracassa”

Nel 1883 esce il suo romanzo “Fantasia” che le conferisce notorietà a livello nazionale. Giungono anche le prime critiche per la scrittura frammentata e per i suoi studi. Tra i critici più severi figura anche Scarfoglio che non le risparmia critiche molto dure. Il rapporto con Scarfoglio evolverà in seguito nel matrimonio e culminerà con la fondazione di un nuovo giornale, Il Corriere di Roma

Matilde torna a Napoli quando l’imprenditore toscano Matteo Schilizzi, proprietario del Corriere del Mattino, decide di affidare ai due coniugi la direzione del Corriere di Napoli, nato nel 1888 dalla fusione del giornale romano e di quello napoletano. Nell’occasione Serao è molto apprezzata per la rubrica “Api, Mosconi e Vespe” dedicata alla cronaca mondana. In seguito a un litigio con Schilizzi, Serao e Scarfoglio lasceranno la direzione del giornale per lanciarsi in un nuovo progetto: nel 1892, fondano Il Mattino

Nello stesso anno si incrina il rapporto con il marito, colpevole di concedersi avventure con altre donne: dalla liaison con la cantante Gabrielle Bessard nacque una bambina: la giovane donna si suicidò proprio a casa dei coniugi Serao lasciando loro la bambina, cresciuta dalla stessa Serao. Nel 1990 Serao e il marito vengono colpiti da accuse di corruzione nell’inchiesta su Napoli condotta dal senatore Giuseppe Saredo. 

Estromessa da Il Mattino, Serao decise di ricominciare e fondare un nuovo quotidiano Il Giorno, più pacato e meno polemico rispetto al Mattino. Negli ultimi anni di attività continuò a pubblicare, non è un caso che la morte la colse mentre era intenta a scrivere. Il suo testo più conosciuto è certamente "Il Ventre di Napoli" dove sviluppa una vera e propria inchiesta sulle condizioni di vita del popolo napoletano. Non è descritta la Napoli solare e gioiosa come da stereotipi, ma la Napoli più oscura, più difficile da cogliere e forse più scomoda. 

Il titolo riprende una battuta del presidente del Consiglio dei Ministri De Pretis giunto a Napoli nel 1884 per valutare la richiesta del sindaco Nicola Amore della Legge Speciale per Napoli. Da questa affermazione “bisogna sventrare Napoli” si sviluppa un ritratto forte e realistico delle classi più umili della città, dove la disperazione induce alla malattia del gioco del lotto

Altro male endemico è l’usura definita dall’autrice “il vero cancro, di cui muore” Napoli. Il successo del libro portò l’autrice a ripubblicare Il ventre di Napoli, nel 1906, con l’aggiunta di una seconda serie di quattro scritti nel 1903, intitolati Adesso, oltre ad una serie conclusiva scritta nei due anni successivi, L’anima di Napoli. La lettura del Ventre di Napoli è ancora attuale, perché si può riscontrare una denuncia ancora attuale dei mali della città che a distanza di un secolo non trova ancora le adeguate risposte. Altri testi di grande successo sono “Il Paese di Cuccagna”, “La Conquista di Roma” e “Nel Paese di Gesù”.

Osservatorio sull'Innovazione Digitale EY: in Campania le imprese più creative

di Massimiliano Pennone

In Italia esiste ancora un enorme problema di digital divide. Intere fasce della popolazione sono escluse dai servizi internet per carenza di competenze o mancanza di connessioni di rete adeguate. Un deficit che riguarda non soltanto cittadini e consumatori, ma anche aziende e piccole e medie imprese.

In Campania la situazione è ancora lontana dagli standard raggiunti da altre regioni italiane, come ha rilevato l’Osservatorio sull’Innovazione Digitale di EY (Ernst & Young)  nel suo report sullo stato di evoluzione della Campania. Nella Regione, infatti, lo sviluppo digitale non è ancora ottimale, sia a livello di imprese che di contesto abilitante. 

Esistono però diverse realtà che si distinguono per il tasso di innovazione, focolari di innovazione sulle quali, secondo l’Osservatorio, sarà importante far leva per accelerarne lo sviluppo. Parliamo di realtà che eccellono nell’uso delle piattaforme online a valore aggiunto (e-commerce) e innovative (cloud), ma anche nella produzione di brevetti e nelle esportazioni. Nel dettaglio, tra i principali punti di forza evidenziati dall’Osservatorio, la Campania mostra al momento uno stadio piuttosto avanzato per quanto riguarda la copertura ultra broadband di rete fissa (ultra fibra) e mobile (rispettivamente 3° e 6° posto in Italia), così come per quanto riguarda il numero di imprese che utilizzano servizi di Cloud Computing (6° posto).

Le imprese campane si dimostrano anche fra le più creative d’Italia, con una percentuale di brevetti registrati nel settore ICT (26%) molto superiore alla media nazionale (9%). La Campania è poi una delle tre regioni che ha visto aumentare il proprio numero di nuove startup innovative durante il 2016. Il tasso di natalità delle imprese nei settori a più alta intensità di conoscenza è infatti al secondo posto.

Purtroppo però se si va ad analizzare i dati delle aziende di tutti i settori, soltanto il 33% dei dipendenti contro il 47% della media italiana utilizza pc in azienda, e soltanto il 1,5% si avvale della consulenza di specialisti ICT. Probabilmente a causa della maggiore concentrazione di piccole aziende di settori a bassa intensità d’uso dell’ICT.

Passando poi al tasso di penetrazione digitale fra i privati, si stima che in Campania il 62% delle famiglie utilizzano i social network, contro una media Italia del 56%. Inoltre, il 29% delle famiglie guarda film in streaming, il 4% in più rispetto alla media italiana (probabilmente incide molto il fatto che le famiglie campane sono fra le più giovani demograficamente).

Tuttavia la Campania è anche la regione con la più alta percentuale di famiglie che non hanno mai utilizzato internet, così come la regione si dimostra ancora molto indietro nello sviluppo di progetti su Smart City, la cui presenza è decisamente inferiore alla media nazionale in diverse aree come mobilità sostenibile e car sharing (presente soltanto nel 20% dei comuni capoluogo rispetto al 36% dell’Italia).

Insomma, c’è ancora molto da fare, soprattutto per quanto riguarda “l’evangelizzazione” delle piccole e medie imprese, per tradizione il vero tessuto economico della regione. Politiche pubbliche che puntino sullo sviluppo e l’internazionalizzazione di queste realtà saranno dunque fondamentali per guidare una crescita strutturale del comparto e della regione.

Boom dei musei campani: le domeniche "trascinano" 3 siti nella Top Ten italiana

di Danilo D'Aponte

Reggia di Caserta
Da qualche tempo stiamo tastando il polso alla condizione dei poli museali campani, e i risultati sono molto soddisfacenti. Basti pensare che neanche il "noto" clima altalenante di cui gode marzo ferma la fame di cultura. Infatti è boom di visite nei musei e nei siti archeologici in tutta la Campania, riuscendo anche a trascinare tre di questi siti nella top ten italiana.

Proprio il mal tempo l'ha fatta da padrone nella domenica che ha visto stabilire il quinto posto della Reggia di Caserta nella classifica di cui sopra, anche a livello social c'è stato un qualche traino che è stato più forte del maltempo: infatti il noto rocker Ligabue, poco prima del suo concerto al Palamaggiò, si era erto a inconsapevole sponsor della "Tanta, tantissima bellezza" della Reggia. 

La situazione successiva a questa incoronazione è la seguente: file lunghissime domenica 5 marzo, con 7.470 visitatori (oltre ai 1.200 che hanno pagato 5€ il biglietto ridotto per il Parco Reale), un risultato migliore di circa 700 unità al già eccezionale risultato dell'anno precedente. Ma fanno bene alla salute della cultura in Campania anche il nono posto del Museo Archeologico di Napoli, con 6.300 visitatori (e file lunghe come per la Reggia) composti da cittadini e turisti.

Luogo turistico per eccellenza è in Campania il sito archeologico di Pompei che, essendo all'aperto, brilla ancora di più con i suoi 6.180 visitatori. Ed è così che si conclude l'iniziativa introdotta nel 2014 dal Ministro Franceschini: "Domenica al museo", che da luglio 2014 prevede l'ingresso gratuito nei musei e nei luoghi di cultura (statali) ogni prima domenica del mese. Successo a tutto campo visto che, già dalle prime ore della mattinata, si è registrata in tutti i siti un'affluenza di visitatori in tutti i luoghi aderenti all'iniziativa. 

Unica nota stonata del fantastico mese di marzo per la cultura campana è la notizia delle difficoltà in cui incorre il Museo Campano di Capua, a causa della scarsa pubblicizzazione sul territorio, riflessa nelle circa 14mila visite annue. A causa di ciò numerose associazioni di cittadini stanno cercando di salvarlo con iniziative come la petizione "Salviamo il Museo Campano di Capua", oppure la mostra nella Biblioteca Diocesana di Caserta, che, con l'appoggio dell'intera Provincia, conta di valorizzare e rilanciare il polo, al fine di allontanare l'incubo della chiusura.


Napoli: alla scoperta del Tunnel Borbonico

di Marcello de Angelis

Era il 1848 quando il popolo napoletano insorse contro i Borbone a Largo di Palazzo (l’attuale Piazza Plebiscito). In seguito al fervente moto rivoluzionario re Ferdinando II si vide costretto a promulgare di lì a poco la Costituzione del regno delle Due Sicilie. Fu questa la causa che spinse la real casata a far costruire il cosiddetto Tunnel Borbonico, un lungo traforo scavato interamente nel sottosuolo della collina di Pizzofalcone, che fungesse da collegamento tra il Palazzo Reale e Piazza Vittoria. Doveva servire come garanzia di difesa nell’eventualità di una nuova rivolta data la vicinanza alle caserme di Via Pace (oggi Via Domenico Morelli), e al contempo consentire una fuga sicura e veloce al re in caso di pericolo. 

L’incarico fu affidato all’architetto Errico Alvino con decreto del 19 febbraio 1853. Il suo progetto prevedeva un cunicolo che si sarebbe dovuto chiamare Galleria Reale larga quattro metri, con due marciapiedi orientati in senso opposto. Entrambe le corsie avrebbero dovuto assumere gli appellativi reali: quella che conduceva a Chiaia doveva essere intitolata Strada Regia mentre quella in direzione opposta verso Largo Carolina, Strada Regina. I lavori durarono tre anni e furono eseguiti esclusivamente con picconi, martelli e cunei, con un’illuminazione fornita solo da torce e candele. Furono sfruttate sia le cave di tufo scavate per la costruzione dei palazzi del quartiere San Ferdinando, e le due antiche cisterne dell’acquedotto fatto costruire dal nobile Cesare Carmignano nel ‘600 su cui l’Alvino costruì due ponti alti 8 metri, atti a sollevare il passaggio, e che rappresentano tutt’ora un indiscutibile capolavoro di ingegneria ottocentesca. 

Il Tunnel Borbonico verrà parzialmente inaugurato nel 1855 ma i tumulti politici che seguiranno con l’arrivo dell’unità d’Italia e i problemi morfologici della collina portarono un conseguente blocco dei lavori nel termine orientale del traforo, lasciandolo incompiuto. Nel pieno della seconda guerra mondiale, tra il 1939 e il 1945, fu utilizzato dal Genio Militare come ricovero bellico in cui trovarono rifugio tra i 5.000 ed i 10.000 napoletani.

Nel dopoguerra e fino agli anni Settanta cambiò nuovamente pelle venendo adibito a Deposito Giudiziale Comunale in cui immagazzinare tutto ciò che era stato estratto dalle macerie causate dai bombardamenti, ma anche tutto ciò che veniva recuperato da crolli, sfratti e sequestri, come motoveicoli e automobili.

Fu solo nel 2005, quando alcuni geologi vi scesero per la prima volta dopo tanto tempo per delle verifiche statiche, che venne alla luce la situazione in cui versavano tali storici ambienti: un triste spettacolo di abbandono e degrado, utilizzati addirittura come discariche abusive dai palazzi soprastanti. 

Dopo una serie di lavori di ripulitura e messa in sicurezza, il sito è stato aperto al pubblico dall’Associazione Culturale "Borbonica Sotterranea" il 29 ottobre 2010 con il nome di “Galleria Borbonica” i cui due ingressi principali sono in Via Domenico Morelli, vicino a piazza dei Martiri, all'interno dell’omonimo parcheggio e in Vico del Grottone n°4, Traversa di via Gennaro Serra, nei pressi di piazza del Plebiscito. Dal 30 gennaio 2016 è visitabile anche un secondo rifugio antiaereo su più livelli, ritrovato al di sotto della collina di Pizzofalcone, con accesso in prossimità di palazzo Serra di Cassano

Attualmente quella struttura militare, arricchita da una sapiente illuminazione è una importante attrazione turistica, tra le più affascinanti della città. Superata l'esposizione di auto e moto d'epoca ritrovate sul posto e di ulteriori ritrovamenti di rilievo che accolgono all’entrata, i visitatori possono scegliere tra 4 percorsi. A cominciare da quello “Standard”, la cui prima parte inizia dalle due cisterne che conservano ancora le straordinarie lavorazioni idrauliche risalenti all’epoca dei Borbone, luogo nel quale è possibile conoscere i segreti dell’antico mestiere dei “pozzari”. La tappa successiva permette di entrare negli ambienti seicenteschi dell’acquedotto del succitato “Carmignano”, con ancora presenti i residui delle malte idrauliche utilizzate per impermeabilizzare il tufo e le “mummarelle”, anfore che servivano a tirare l’acqua in superficie dai pozzi; “Avventura”, dove a bordo di una zattera (sì, proprio una zattera!), capace di trasportare fino a quattordici persone, si percorre un lungo fiume a quaranta metri nelle viscere della città, che inonda la vecchia galleria di quella Linea Tranviaria Rapida realizzata alla fine degli anni ’80 e mai portata a termine, in quanto per un errore di progettazione intercettò proprio il Tunnel Borbonico, oggi completamente allagata da acqua piovana; “Speleo”, che è il percorso più lungo ed emozionante. I visitatori vengono dotati di elmetto con luce frontale e di tuta per esplorare tutti i cunicoli sotterranei; e “La via delle Memorie”, un viaggio in una Napoli distrutta dai bombardamenti della guerra attraverso reperti, cimeli e oggetti di coloro che abitavano quei percorsi per proteggere la loro vita.

Tra febbraio e marzo di quest’anno, lungo il percorso militare creato dai Borbone si sono svolte anche due rappresentazioni teatrali, sfruttando la suggestiva quanto incredibile scenografia naturale che ha incantato più di trecento spettatori incuriositi, tra cui tanti turisti che hanno così potuto ammirare “up and down” la nostra meravigliosa Napoli. 


Napoli: tutto pronto per "adottare la città"

di Danilo D'Aponte

Essendo vissuto in periferia, e parlando coi coetanei, da ragazzi si aveva sempre la sensazione che fossimo stati catapultati in un luogo che non ci appartenesse. Poi, crescendo, il concetto di quartiere, e senso di appartenenza allo stesso, si andava allargando a quello verso la propria città: Napoli. Negli anni dell'università, poi, questo amore viscerale per le proprie origini non lo si riconduceva più a quelle poche nozioni sparse a destra e a manca, avute nelle ancor più poche ore di educazione civica a scuola.

A distanza di anni da quelle esperienze personali, è sotto gli occhi di tutti che il Comune di Napoli sembra abbia colto questo malessere diffuso, che si va poi tramutando in voglia di fare, con un'iniziativa che ha del poetico: "Adotta la Città", di cui potete trovare maggiori informazioni sul sito ufficiale del Comune di Napoli (www.comune.napoli.it) . 

Ed è così che iniziative un tempo sciolte dalle istituzioni, come "Adotta un'aiuola", ad opera di cittadini amorevoli, viaggino oggi sotto un'unica bandiera. L'insieme delle iniziative comunali comprende, infatti, anche "Creatività urbana" e "Adotta una strada".

Tutte e tre le iniziative fanno appello a quella coscienza civile di cui sopra e si pongono, nell'ordine, l'obiettivo della riscoperta e la riqualificazione (senza fini di lucro) degli spazi verdi ad opera di Associazioni, enti o privati cittadini che potranno adottare e prendersi cura di un'isola verde, accogliendo l'appello del quotidiano Il Mattino. Quello di autorizzare all'utilizzo di superfici pubbliche per la creatività urbana, veicolando la street art, tra le espressioni artistiche contemporanee più interessanti e potente vettore. 

E, ultima ma non meno importante, la progettazione partecipata e la cura degli spazi urbani da parte di cittadini, condomini, imprese, associazioni ed altri soggetti privati o pubblici che vi abbiano interesse, organizzati in Comitati Civici, al fine di manutenere, conservare e migliorare le aree pubbliche del Comune attraverso progetti di riqualificazione, secondo le destinazioni urbanistiche vigenti.

Insomma, non importa se gli umori giovanili si sentissero appagati nell'essere sempre contro tutto e tutti, se quello spirito di ribellione trovava un senso nel comportarsi da "diversi", oggi quella forza interiore trova nelle istituzioni una spalla forte su cui poter contare per poter dire la propria, comportandosi da buoni cittadini, e facendolo in maniera strutturata. Supporto che sarà non solo morale ma anche di tipo pratico. Infatti, per la terza iniziativa il Comune di Napoli sottolinea come: "Gli interventi proposti potranno essere integrati da progetti del Comune. Una novità introdotta da questo Regolamento riguarda la possibilità di concedere da parte del Comune agevolazioni fiscali a favore dei privati per gli interventi proposti. Tale contributo, che non potrà superare il 50% del valore dell'intervento approvato dalla Giunta comunale, può essere ripartito anche su più annualità".

Napoli: lo scandalo “Loreto Mare”

di Luigi Rinaldi


Quando si parla di Sanità ci si dovrebbe soffermare sul lavoro di tanti ricercatori, impegnati nella lotta contro il cancro e le malattie genetiche, oppure sulle vite che ogni giorno vengono salvate nelle sale operatorie, ed, invece, agli onori della cronaca balzano continuamente scandali e nuovi procedimenti giudiziari. Telecamere ed intercettazioni telefoniche questa volta hanno incastrato medici ed impiegati in servizio presso l’Ospedale di Napoli “Loreto Mare”, con l’accusa di assenteismo

Un’indagine partita qualche anno fa, con una richiesta di applicazione di misure cautelari per 54 persone, su un totale di 94 indagati tra medici e tecnici, avanzata dalla Procura di Napoli nel mese di ottobre del 2015 e firmata dal Gip del Tribunale di Napoli solo a febbraio 2017, consentendo, in tal modo, agli indagati di perdurare nella loro condotta criminosa anche dopo che i dispositivi di intercettazione e le telecamere nascoste piazzate dai militari dei Carabinieri hanno smesso di funzionare. I filoni accusatori sono diversi. Alcuni medici devono rispondere di aver violato il rapporto di esclusività con l’ospedale, dedicandosi anche al lavoro con centri privati. Per la maggior parte degli indagati i capi di imputazione sono l’associazione per delinquere e la truffa, per aver creato un sistema in grado di garantire marcature irregolari dei badge. Gli accessi abusivi al sistema informatico, invece, servivano per cancellare i recuperi dovuti dai ritardatari o per attribuire a qualcuno ore di straordinario mai svolte. 

Durante il periodo di osservazione da parte dei Carabinieri sono state riscontrate gravi irregolarità proprio all’interno dell’ufficio presenze/assenze, destinato a garantire il controllo dell’intero personale in servizio presso il nosocomio. Come sottolineato dal Gip, all’interno del Loreto Mare c’era insomma “un sistema di diffusa illegalità – scrive il gip – che uniforma i comportamenti di numerosi dipendenti appartenenti a tutti i livelli della scala gerarchica”. Le gravi irregolarità emerse nel corso delle indagine, per la loro sistematicità ed estensione, come sottolineato dagli inquirenti, non potevano non essere osservate anche da parte dei dirigenti ospedalieri, il che lascia supporre l’esistenza di ulteriori connivenze o quanto meno una condotta indifferente e negligente da parte di coloro che erano addetti alla vigilanza sul personale. 

Ne consegue che il filone investigativo potrebbe allargarsi e rilevare nuovi inquietanti scenari. L’ipotesi è che il Sica, cioè il sistema integrato di controlli aziendali, previsto dal 30 settembre 2010, con una delibera dell’allora commissario straordinario all’ASL Na1 centro, sia stato disatteso integralmente, che non siano state eseguite tutte le opportune verifiche di controllo sulla qualità e quantità del lavoro dei dipendenti, favorendo in tal modo il fenomeno dell’assenteismo, omettendo anche le più elementari forme di controllo. Sotto la lente di ingrandimento, dunque, l’intera catena di comando e dei controlli dell’Ospedale “Loreto Mare”. Spetterà ora alla Giustizia punire, in modo esemplare, i colpevoli di quelle che sono condotte illecite e non semplici “furbizie”, come qualcuno vorrebbe lasciar credere. 

Atti criminosi che hanno rappresentato un grave danno all’immagine per la città di Napoli e per la Sanità meridionale, di cui proprio non v’era alcun bisogno. Vittime di questa situazione sono ancora una volta i pazienti. Non certo perché gli assenteisti abbiano determinato il problema della presenza delle barelle nei corridoi, problema quest’ultimo determinato dai tagli alla spesa sanitaria, ma perché ai pazienti è stato rubato il diritto alla salute ed a poter contare su medici sereni, in massima efficienza e sottoposti ad un ragionevole carico di lavoro. 



La solidarietà ai tempi dei social

                        di Gian Marco Sbordone

Il titolare di Poppella, Ciro Scognamillo
Capita sempre più spesso che, a seguito di atti di criminalità e di violenza, vengano manifestate, nei confronti delle vittime innocenti o di coloro che si siano in qualche modi ribellati o esposti contro di essi, forme di approvazione e di solidarietà. E’ successo all’ indomani dell’ attentato nei confronti della pasticceria, ormai famosissima, Poppella alla Sanità, allorquando non solo alte cariche istituzionali, ma tantissimi semplici cittadini si recarono personalmente al negozio per esprimere la propria vicinanza e il proprio sdegno rispetto a ciò che era accaduto. Ed è successo anche dopo quella triste giornata alla Duchesca, quando una bambina rimase ferita ad un piede, da un proiettile esploso durante un raid punitivo nei confronti di ambulanti di colore che esercitano la loro attività in quella zona. 

In questo caso la solidarietà fu espressa, nei giorni seguenti, nei confronti di un salumiere che, di fronte alle telecamere, aveva espresso tutto il suo sconcerto per l’ accaduto ma anche lo scoramento nei confronti di un Stato che non riesce a difendere i propri cittadini. Era emerso che, dopo quelle dichiarazioni, i clienti del salumiere si erano tenuti ben lontani dal suo negozio per paura di restare coinvolti nel corso di ritorsioni, che si ritenevano probabili, da parte dei malavitosi del posto. E quindi, in questo caso, la solidarietà fu manifestata soprattutto andando a comprare un panino proprio da quel coraggioso esercente.

Tutto questo è molto bello e molto positivo, perché non vi è dubbio che le vittime innocenti meritino rispetto e vicinanza così come chi esprime il proprio dissenso contro la cultura della violenza e della sopraffazione e si ribella ad essa, debba sentire il sostegno degli altri affinchè non abbia mai a pentirsi del proprio coraggio. 

Qualche perplessità, tuttavia, sorge a fronte del fatto che le buone iniziative e i buoni sentimenti appaiono sempre più, inesorabilmente, veicolati e diffusi sui social ed in genere attraverso il web. Dopo la spettacolarizzazione della sofferenza, del dolore e finanche della morte, si è arrivati alla spettacolarizzazione della solidarietà, concetto che, francamente, di per sé disturba. Ripeto, non è che la vicinanza espressa nelle circostanze a cui si è accennato non sia condivisibile, ci mancherebbe altro! Occorrerebbe però evitare, con la diffusione “virale” di certe notizie, di ingenerare sospetti sulla spontaneità dei protagonisti. Insomma, non è necessario che tutto diventi pubblico, in modo che finisca con l’ apparire banale. La solidarietà, così come è stato detto in questi giorni a proposito della legalità, non si predica ma si pratica.