mercoledì 29 marzo 2017

Beni confiscati: quale futuro?

di Antonio Cimminiello

Il Castello Mediceo che fu di Raffaele Cutolo
Davvero interessante può considerarsi una delle più recenti iniziative intraprese dalla Fondazione Polis (vero e proprio “strumento operativo della Regione Campania per il miglior sostegno alle vittime della criminalità e la miglior gestione dei beni confiscati), con il sostegno di Libera

Precisamente, si è trattato della presentazione di due studi, dedicati proprio al riutilizzo di quei beni oggetto di confisca, i quali, nonostante il notevole valore economico, sempre più spesso rimangono abbandonati a se stessi, vuoi per la loro provenienza illecita - spesso i patrimoni dei clan rischiano addirittura di tornare nel circuito criminale - vuoi per colpa di una burocrazia che arriva talvolta a “strangolare” ogni possibilità di un nuovo, legittimo e proficuo uso degli stessi. 

Oggi quale futuro è riservato ai beni sottratti alle mafie? Gli studi sopra ricordati hanno cercato al riguardo di dare una risposta, partendo da una visione d’insieme relativa all’Italia per poi focalizzarsi sulla Campania. Non mancano molti spunti significativi. Ad esempio, tra questi rientra a pieno titolo il numero dei beni confiscati: in Italia si arriva a 19.000, e quasi 3.000 di questi risultano ubicati nella sola Campania. Come vengono riutilizzati tali beni? Le destinazioni toccano gli ambiti più disparati, con un occhio all’attualità: giusto per dirne una, sulle 78 pratiche di riutilizzo prese in considerazione da Fondazione Polis e Libera per la regione campana, ben 61 sono preordinate a destinare i beni affidati ad attività di reinserimento socio-lavorativo nonché ai servizi alla persona. 

Il punto dolente che queste ricerche hanno indirettamente evidenziato è invece un altro: l’assenza di una “governance” davvero unitaria, globale e trasparente quanto al riutilizzo dei beni confiscati. Una serie di dati evidenzia impietosamente ciò: in Campania una fetta considerevole di tali beni è ormai proprietà degli enti locali (si arriva ad una soglia del 57 per cento), quegli stessi enti che però non poche volte appaiono “distratti” su una materia tanto delicata, come dimostrato dall’assenza di aggiornamento degli elenchi dei beni citati insistenti sul proprio territorio, senza dimenticare i casi in cui un elenco del genere manca addirittura. 

Una maggiore “attenzione” quindi sarebbe un vero toccasana, il che significa pure un controllo pieno su tutti i soggetti coinvolti nella gestione dei beni confiscati (di recente Raffaele Cantone, a capo dell’ANAC, ha evidenziato proprio la necessità di verificare anche operato e finalità di associazioni e cooperative affidatarie). In questo modo da un lato si assicurerebbe un importante ritorno per la società - è significativo al riguardo citare il numero dei beneficiari, superiore alle 16.000 unità, che usufruiscono dei beni oggetto delle pratiche di riutilizzo in Campania studiate da Polis e Libera - e dall’altro si trasmetterebbe all’esterno un messaggio davvero positivo: aprire alla società quelli che furono i “luoghi copertina” della camorra (dalla villa stile “Scarface” del boss Schiavone fino al Castello Mediceo che fu di Raffaele Cutolo) significa dimostrare che la legalità può affermarsi anche in realtà dove in modo più forte e simbolico si manifesta il “volto” della criminalità organizzata.


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