di Antonio Ianuale
Dopo il grande successo ottenuto a Firenze e a Rovereto, la mostra “Il mondo che non c’era” è arrivata anche a Napoli, al Museo Archeologico Nazionale. Un mostra che documenta la vita, i costumi e la cultura delle civiltà precolombiane scomparse dopo la scoperta dell’America e l’arrivo dei colonizzatori europei.
In programma sino al 30 ottobre, promossa dalla Fondazione Giancarlo Ligabue di Venezia e dal Mibact, con il patrocinio del Comune di Napoli - Assessorato alla Cultura, la mostra racconta le antiche culture della cosiddetta Mesoamerica, una vasta area che andava dal Messico al Guatamala, passando per l’Honduras ed El Salvador. Tra i curatori della mostra figura uno specialista delle arti pre-ispaniche della Mesoamerica e dell’America del Sud come Jacques Blazy, mentre tra i membri del comitato scientifico ci sono André Delpuech archeologo e direttore del Musée de l’Homme, il museo etnografico di Parigi, e l’archeologo peruviano Federico Kauffmann Doig.
Le famosissime civiltà degli Aztechi, dei Maya, degli Inca saranno riscoperte nelle 200 opere d’arte che la Collezione Ligabue ha messo a disposizione del museo napoletano. Giancarlo Ligabue, imprenditore, paleontologo ed esploratore, ha collezionato centinaia di oggetti appartenuti alle civiltà precolombiane; scomparso nel 2015, la sua passione e il suo impegno sono stati ripresi dal figlio Inti che ha creato la Fondazione che ha permesso l’allestimento di questa mostra.
La mostra si fregia di tantissimi oggetti che rievocano una cultura molto vasta ma poco studiata come quelle dei popoli precolombiani: dalle affascinanti maschere in pietra di Teotihucan, ai celebri vasi Maya d'epoca classica, alle statuette antropomorfe della cultura Olmeca, che destarono l’attenzione del pittore Diego Rivera e della sua amata Frida Kahlo, arrivando alle enigmatiche sculture Mezcala che collezionarono gli scrittori transalpini André Breton e Paul Eluard. Se questi oggetti sono chiaramente riconosciuti come appartenenti alle culture precolombiane, sorprenderà la paternità del calcio che il professore Davide Dominici attribuisce ai popoli precolombiani: l’accademico ha infatti descritto e documentato come dal mondo nuovo arrivò in Europa il primo pallone di calcio portato da giovani aztechi ricevuti alla corte di Carlo V nel 1528 su disposizione del conquistador Hernán Cortés. Questa prima esibizione degli Aztechi in Europa fu immortalata in un dipinto dall’artista tedesco Christoph Weiditz. La mostra che come detto terminerà il 30 ottobre, è accompagnata inoltre da un ciclo di conferenze, per riflettere sulla scomparsa delle civiltà classificate come “altre” e distrutte dalle potenze europee.
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