martedì 29 agosto 2017

Italia: università tra le più care d’Europa, senza borse di studio

di Noemi Colicchio

Quanto costa l’università in Italia? O meglio, quanto costa ai genitori in termini di tassazioni allo Stato e al Paese in termini di conversione dei potenziali intelletti formati in parte a spese della collettività in reali professionalità, in grado di mettere a disposizione le proprie capacità e competenze acquisite proprio di quella stessa collettività?

Fuori i dati Anvur - l' Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca - riguardo la graduatoria degli atenei europei che costano di più. Stando a quanto divulgato dall’Agenzia, l’Italia regna sovrana come paese più costoso in tal senso, su di un podio dove è preceduta solo da Inghilterra e Olanda. La prima, una volta uscita dall’UE, è diventata palesemente inaccessibile agli studenti emigranti per una sfilza di motivi pressoché infiniti quanto inconsistenti, mentre in Olanda sappiamo per certo che un anno universitario può costare alle famiglie una cifra a tratti esorbitante, che gira intorno ai 5.000 €. Ovviamente nulla ci scandalizza, esistono atenei in cui solo metter il naso costa molto più anche qui in Italia, se non fosse che questo listino prezzi è da afferire a strutture ufficialmente pubbliche. 

L'Università di Amsterdam
Si sa, come ogni complesso che funziona bene in uno Stato che funziona ottimamente, bisogna contribuire in egual misura rispetto ai servizi offerti. Questo non solo per elogiare, a ragion veduta, sistemi palesemente meglio organizzati dei nostri, a partire dalla dislocazione degli spazi messi a disposizione degli studenti per apprendere in comodità, per dirne una. Ma si sa, è lo spin off universitario quello che interessa, la discriminante tra un’università mediocre, buona o ottima: le borse di studio. Non solo perché permettono un risarcimento economico, di cui tra poco parleremo, ma perché sono indice di un costante apprezzamento alla spiccata propensione verso studio di alcuni ragazzi, trasmettono costantemente una mentalità meritocratica con cui volenti o nolenti i giovani d’oggi dovranno imparare a convivere se vogliono sopravvivere nel mondo del lavoro, premiando quelli che si impegnano di più. Per cui, tornando alla nostra amata Olanda, se è vero che istituti pubblici costringono famiglie di Amsterdam a versare € 5.000 all’anno per mantenere i propri figli sani e ben acculturati, è anche vero che lì lo Stato contribuisce in maniera sostanziale a questa spesa, erogando borse di studio di grande entità e concedendo ingenti agevolazioni. 

Basterà chiedere in giro tra gli universitari italiani per capire che non si respira la stessa aria nel nostro Paese. Come rivela Daniele Checchi, coordinatore del rapporto Anvur “In media uno studente italiano paga mille euro all’anno di tasse universitarie. Ci sono inoltre delle marcate differenze territoriali: al Sud le tasse possono essere inferiori ai 500 euro mentre al Nord possono arrivare anche a 1.300 euro”. Non è questo però il dato più preoccupante: in Italia solo uno studente su cinque usufruisce di una borsa di studio. Circa l’80% degli iscritti non riceve alcun finanziamento o sostegno per le tasse d’iscrizione tramite agevolazioni o prestiti. Si è discusso molto nei mesi scorsi della cosiddetta No Tax Area e i napoletani, con la Federico II, sono stati tra i più combattivi per evitare che risolvendo il problema dell’eccessivo onere finanziario sostenuto dai meno abbienti, se ne creasse un altro a carico dei più benestanti. Sempre di ingiustizia si tratta. 

Manuela Ghizzoni
La deputata PD Manuela Ghizzoni, prima firmataria della legge, commenta così: “le tasse dipendono dagli atenei che fissano l’importo. Il costo poi varia in base al reddito. Si tratta di un grosso intervento che andava fatto. In Italia il sistema delle tasse universitarie era regressivo e non progressivo. In proporzione pagavano di più i redditi bassi rispetto a quelli alti. Abbiamo deciso anche di concedere 400 borse di studio dal valore di 15mila euro ciascuna per aiutare gli studenti meritevoli che hanno difficoltà economiche”. Sarà sufficiente? 


Al momento l’Italia riserva solo l’1% del suo Pil annuo al campo dell’istruzione. Se pensiamo che paesi come Germania e Francia investono oltre un punto e mezzo percentuale, capiremo subito che le proporzioni non reggono il confronto. Basti pensare che in Inghilterra lo Stato include nelle agevolazioni pro studenti anche gli abbonamenti a mezzi pubblici. Ce n’è da fare di strada.




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