venerdì 29 settembre 2017

Restyling urbano: “lo strano caso” del Corso Vittorio Emanuele di Napoli

di Antonio Cimminiello

Corso Vittorio Emanuele
Mobilità da garantire, bellezze architettoniche da salvaguardare. E’ sempre difficile garantire al tempo stesso, e col minor sacrificio possibile, il soddisfacimento di queste due esigenze; a Napoli poi, tanto affascinante nel suo essere quanto congestionata dal traffico, tutto ciò è estremamente arduo. Questo problema si è riproposto vivamente con riguardo al Corso Vittorio Emanuele, una delle più importanti arterie cittadine. La strada - la cui realizzazione risale all’epoca borbonica (la sua denominazione originaria era “Corso Maria Teresa” ) - proprio a causa del ruolo centrale che riveste quale collegamento viario tra parte alta e bassa della città, è stata da tempo oggetto di attenzione da parte dell’Ente di Palazzo San Giacomo, il quale non a caso nel 2013 la inserì in un elenco di strade primarie oggetto di una precisa proposta di risistemazione della pavimentazione

Ma già al 2012, nel più ampio progetto di restyling della città in vista dell’America’s Cup, risaliva la stesura dell’asfalto per un primo segmento, ricompreso tra Piazza Sannazzaro e Piazza Cariati, per la gioia- in verità solo iniziale, visto che i lavori non furono pienamente soddisfacenti- di automobilisti e centauri, che troppo spesso pagano le conseguenze, anche fisiche, dello stato pietoso di molte delle strade dell’antica Partenope. 

Rimaneva da rifare così l’accidentato tratto da piazza Mazzini a piazzetta Cariati, e a tal fine nel 2014 il Comune rendeva noto un progetto finalizzato alla sostituzione con conglomerato bituminoso dei cubetti in porfido per un’estensione viaria di circa 1,4 chilometri. Tuttavia la Sovrintendenza determinò uno stop ai lavori, in virtù di un rilevante vincolo che avrebbe riguardato proprio la pavimentazione del Corso, caratterizzata dalla presenza di sampietrini, materiale per il quale normalmente è riconosciuto un importante valore storico-artistico tale da imporne la conservazione.

 Lo stop imponeva così una rivisitazione del progetto, con inevitabili aumenti di costi - appalto da 1,4 milioni di euro - e tempi dei relativi cantieri (circa 2 anni). Ma le conseguenze di una tale situazione potrebbero ora essere scongiurate. Sono stati comunicati di recente infatti i risultati di una perizia commissionata dal Comune ad un geologo: da essa risulta che i cubetti oggetto del contendere sarebbero comunissimi sampietrini fatti di porfido e quindi privi di materiali dal riconosciuto valore storico- architettonico, quale ad esempio la pietra lavica vesuviana. 

Il carattere scientifico di tali affermazioni può quindi rappresentare un punto a favore per il Comune, dato che potrebbe spingere l’attuale Sovrintendente Luciano Garella a revocare il veto posto dal suo predecessore ormai 3 anni fa. E c’è un recentissimo precedente che fa ben sperare: l’ok alla pavimentazione in asfalto concesso alla Riviera di Chiaia, dopo un iniziale diniego venuto poi meno proprio nelle medesime circostanze (sampietrini non appartenenti alla tradizione architettonica partenopea). Ma altri episodi altrettanto recenti, confermando come il rapporto tra questi soggetti istituzionali non sia propriamente rosa e fiori (il riferimento è alla bocciatura dell’installazione del “Cuorno” sul Lungomare), non permettono ancora di giungere a facili conclusioni su questa ennesima querelle.


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