lunedì 30 ottobre 2017

Alternanza scuola - proteste

di Noemi Colicchio

Ottobre caldo. Nelle più grandi città d’Italia, liceali si versano tra le strade per combattere contro quella che dai più viene definita “ingiustizia sociale”, ignobile tentativo di sfruttamento malcelato. Oggetto del contendere è la Buona Scuola, come sempre da ormai due anni a questa parte, ed in particolare la famosa alternanza scuola - lavoro che a quanto pare non ha posto fondamenta su meccanismi così ben oleati come avrebbe dovuto da quando è stata ideata e poi messa in atto. 

In estrema sintesi, a beneficio dei pochissimi che ancora non sono aggiornati circa l’argomento, con la riforma della Buona Scuola sono state introdotte ore che (in maniera del tutto fuorviante) vengono definite di “tirocinio”, da svolgere presso attività imprenditoriali e che fungono da veri e propri momenti di apprendimento per gli studenti, fuori dai banchi. Nello specifico, parliamo di 200 ore per i licei comuni e 400 per quelli tecnico - professionali, da spalmare durante gli ultimi tre anni di scuola. Volendo fare un calcolo sul quantitativo medio di ore trascorse effettivamente dai ragazzi tra le fila del lavoro, si tratta di 25 giorni nel primo caso e orientativamente 50 nel secondo. Ovviamente le mansioni svolte dovrebbero essere selezionate attraverso un matching che favorisca l’incontro tra competenze acquisite e richieste: in sintesi, che si crei l’occasione di far vivere ai liceali delle giornate utili all’interno di un percorso attinente a quello formativo che consumano dietro ai banchi. Il tutto, controllato da due referenti: uno interno alla scuola ed uno interno all’attività ospite. 

In queste poche righe, già si intuisce facilmente il cumulo di criticità che emergono: le attività disponibili non sono abbastanza per ospitare in maniera soddisfacente l’intero ammasso di studenti che è stato riversato addosso alle PMI da un momento all’altro. Manca la componente organizzativa, una furente attività di PR che riesca a combinare alla perfezione delle strade parallele destinate comunque ad incontrarsi… prima o poi. E succede così che, all’improvviso, ti ritrovi a fare alternanza all’interno di un fast-food, piuttosto che tra i tavoli di qualche ristorante, servendo clienti sgarbati e magari frettolosi d’andar via. 

Scendono in piazza, gli studenti, con tute blu, al grido di “Siamo studenti, non siamo operai”, e purtroppo non si capisce bene se l’esempio operaio venga preso a modello in modo consapevole rispetto al messaggio che voleva essere inviato. C’è chi li sostiene, chi sottolinea ancora una volta l’inefficienza dello Stato in un progetto ab origine anche valido, nelle intenzioni, nei presupposti. È la messa in atto che proprio non riesce facile. C’è invece chi si batte per quelle famosissime quanto latitanti competenze che vengono continuamente richieste nel mondo del lavoro, ma che proprio non si sa in quali occasioni uno studente prima liceale e poi universitario dovrebbe acquisire: le soft skills.

 Capacità di arrivare in orario, di rispettare il cliente, il datore di lavoro, di creare rapporti con i propri colleghi che aiutino il team a raggiungere gli obiettivi prefissati, capacità di organizzare il lavoro per priorità, di ascolto, di perseveranza. Insomma, l’intero elenco del CV Europass, dilazionato tra “competenze professionali, personali, altre etc”. E allora da che parte schierarsi, in casi come questi? Probabilmente non è ancora tempo per farlo. Probabilmente, ad oggi, bisogna solo essere soddisfatti di un’iniziativa che seppur palesemente acerba nell’immediato, sta innestando le sue radici più giù nel terreno, piano piano, per diventare tra qualche anno il meccanismo oleato di cui sopra. 

Un’iniziativa sostenuta dalla classe politica, che non puzza di captatio benevolentiae, per una volta, ma dà piuttosto l’idea di quella medicina che col tempo, qualcuno scoprirà poi essere effettivamente curativa.


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