venerdì 15 dicembre 2017

Università Federico II: dall’olio fritto alle valvole cardiache

di Noemi Colicchio

Quanto olio viene usato per friggere pietanze nell’arco di un anno in Italia? Forse troppo grande come ambito di ricerca. Riduciamo. Quanto a Napoli, in un anno o anche in un mese? Quasi impossibile determinarlo con numeri certi, se non attraverso una apposita ricerca sul territorio, eppure sicuramente non saremmo in grado di calcolarlo con precisione. Basti pensare a tutte le attività di ristorazione, in particolare allo junk food, il famoso cibo da strada tanto nocivo quando irresistibile per un peccato di gola a concessione settimanale. Non solo, la stessa tradizione partenopea non disdegna la frittura degli ingredienti: basti pensare alla famosa parmigiana di melanzane, al cuoppo celebre in tutto il mondo. Insomma, forse è proprio perché i ragazzi napoletani sono sovra-esposti a questo genere di cucina, per tradizione e cultura, che sono stati i primi ad impegnarsi per riciclare l’olio già usato, detto in gergo “esausto”. 

Dall’Università Federico II, un gruppo di chimici e biotecnologi pare aver fatto una scoperta che può realmente cambiare la storia della bioeconomia: l’olio esausto scartato dai ristoranti potrà essere utilizzato per la realizzazione di protesi e valvole cardiache. Sembra assurdo, ma l’idea è tanto credibile –testata scientificamente in laboratorio- da indurre i ragazzi a parlare di un vero e proprio progetto industriale, attraverso una startup

Il biochimico Marco Vastano, membro del gruppo, spiega così «Dopo i risultati molto promettenti ottenuti in laboratorio, ora stiamo cercando finanziamenti». In cosa consiste la ricerca? «In pratica l’olio di frittura esausto scartato dai ristoranti si può trasformare in una plastica biodegradabile e biocompatibile ideale per la produzione di imballaggi alimentari e perfino di protesi, valvole cardiache e adesivi per suture», aggiungendo poi: «Dopo i risultati molto promettenti ottenuti in laboratorio, stiamo cercando finanziamenti per validare il nostro processo in ambito industriale. L’obiettivo è dare valore a quell’olio alimentare esausto che non viene riutilizzato per la produzione di biodiesel a causa dell’elevato contenuto di acidi grassi, difficili e costosi da eliminare». Per superare questo ostacolo, i ricercatori dunque hanno pensato di sfruttare la fermentazione operata da alcuni batteri del suolo, «che consente di eliminare gli acidi grassi dando olio pulito (utile per la produzione di biodiesel) e una bioplastica biodegradabile e biocompatibile utilizzabile per il packaging e anche per produrre dispositivi biomedicali», inducendo così un processo « a basso costo e modulabile, in modo da ottenere prodotti con caratteristiche personalizzate in base alle richieste del cliente».

Un lavoro in cui credere, presentato a Milano in occasione del Circular Bieconomy Arena Meeting,Spring con Assobiotec e Gruppo Intesa Sanpaolo, con l’intento di mettere in contatto giovani talentuosi dalle buone idee e corporate di tutto il mondo.
un workshop per promuovere e rendere finalmente possibile l’incontro e la discussione tra coloro che fanno ricerca e sviluppano applicazioni nel campo delle biotecnologie industriali. L’iniziativa milanese è stata promossa dal cluster nazionale della chimica verde

Trovare un Business Angel e poi un Venture Capitalist, sappiamo ormai quanto possa essere complesso ma al contempo fondamentale per chiunque voglia fare impresa ma non abbia i mezzi per avviare l’attività. Serve qualcuno che ci scommetta. E in questo caso, la bioeconomia, si lavora su un terreno già fertile di suo. Secondo una recente indagine, stiamo parlando di un mercato che solo in Italia viaggia sui 251 miliardi di euro e dà lavoro a circa 1,7 milioni di persone. 

Se poi diamo uno sguardo all’Europa, i numeri diventano impressionanti: 19 milioni di posti di lavoro per un’economia che vale intorno ai 2,2 trilioni di euro. «Per consentire alla bioeconomia di crescere – ha detto Giulia Gregori, segretario generale del Cluster Spring e componente del Comitato di presidenza di Assobiotecè fondamentale rafforzare e accelerare lo sviluppo su scala industriale delle tecnologie mediante un supporto finanziario adeguato» per poi concludere «questo significa diversificare strategicamente il rischio connesso al cosiddetto scale-up, con adeguate misure tanto a livello europeo quanto a livello italiano. Inoltre, è necessario un meccanismo di incentivazione per le grandi società che vedono nella collaborazione con le startup che portano nuove tecnologie sul mercato una leva per l’espansione della bioeconomia».



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