martedì 29 gennaio 2019

Nuova autonomia del Nord: insorge la Campania

di Antonio Cimminiello

La chiamano "questione meridionale". E' il divario economico che si registra tra Nord e Sud fin dai primi anni successivi all'Unità d'Italia e che ancora oggi si trascina senza spiragli di una soluzione effettiva. Problematica questa che indirettamente è stata chiamata in causa di recente, alla luce del progetto normativo attualmente in fase di discussione e finalizzato alla nascita del cd. "federalismo asimmetrico". 

Di cosa si tratta? In pratica le Regioni del Nord e Centro Italia hanno richiesto l'attribuzione a loro favore di nuovi poteri e nuove materie sulle quali poter intervenire al posto dello Stato centrale; e fin qui nulla di anomalo, trattandosi di una facoltà riconosciuta espressamente dalla Costituzione italiana. Il punto dolente è però un altro: tale richiesta presuppone necessariamente la disponibilità, sempre a proprio favore, dei fondi provenienti dal reddito prodotto e dalle tasse pagate nei propri territori di competenza.

Considerando sinteticamente che le Regioni interessate sono quelle più ricche e che le risorse che chiedono di "trattenere" sono quelle essenzialmente destinate ad alimentare i fondi dello Stato centrale a loro volta preordinati ad assicurare i servizi su tutto il territorio italiano, è facile intuire il rischio che ne può derivare, ovvero quello di vedere ulteriormente ridotte le risorse economiche provenienti dallo Stato (già asfittiche con i tagli degli ultimi anni), risorse dalle quali, cosa ancor più allarmante, dipende quasi totalmente la garanzia di servizi essenziali al Sud, come ad esempio quello sanitario. 

Proprio questo profilo prettamente economico ha fatto insorgere le Regioni del Meridione - che si sono immediatamente rivolte al Ministro per le Autonomie Erika Stefani attraverso un documento in sede di Conferenza Unificata - ed in particolare il Governatore della Campania Vincenzo De Luca, il quale ha richiesto per iscritto un incontro formale direttamente al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il progetto di autonomia "...minerebbe in questo momento le ragioni redistributive, solidaristiche e sociali, previste dalla Carta Costituzionale- si legge nella richiesta di incontro- e renderebbe ancora più profondo il divario tra aree ricche e aree povere dello Stato, ledendo l'unità nazionale". 

L'intento delle istituzioni meridionali è quello quindi di far sentire la propria voce prima che il progetto descritto diventi norma definitiva, anche attraverso l'indicazione di una serie di "controlimiti", come ad esempio il preventivo aumento dell'entità del cd. "fondo di perequazione", nato proprio per assicurare parità di servizi e diritti per le regioni in difficoltà economica, o ancora l'approvazione dei "livelli essenziali delle prestazioni": si vuole così evitare un futuro scenario dove potrebbero essere messi a repentaglio addirittura diritti essenziali della persona. Fermo restando comunque che sul varo del "federalismo asimmetrico" non si registra ancora un consenso unanime da parte dell'intera maggioranza politica oggi al Governo. 




Indagine Eurostudent: universitari italiani studiano il 30% in più dei colleghi europei

di Teresa Uomo

Da quanto emerge dall’Ottava Indagine Eurostudent per il periodo 2016-2018, ragazzi e ragazze non si accontentano della laurea, ma mirano a proseguire la formazione con percorsi post-universitari, partecipano a programmi di mobilità internazionale, fanno piccoli lavori part-time per mantenersi e per non pesare sulle famiglie. 

La ricerca - finanziata dal Miur e condotta dal Centro Informazioni Mobilità Equivalenze Accademiche (Cimea) - delinea il profilo dello studente universitario italiano negli ultimi tre anni. La crisi economica ha modificato le abitudini degli studenti universitari e le scelte delle loro famiglie: studenti dinamici e in grado di competere – e in alcuni casi superare – la media degli studenti europei. 

Dall’analisi dei dati della ricerca appare evidente che gli studenti italiani impegnano nello studio quasi 44 ore settimanali, il 30% in più della media calcolata in Europa. Oltre la metà intende proseguire gli studi dopo la laurea e, non appena possibile, si dà da fare per contribuire a mantenersi con piccoli lavoretti, in modo da non gravare eccessivamente sulle famiglie. 

L’Ottava Indagine Eurostudent allarga poi il campo di osservazione al quadro economico e sociale di provenienza degli studenti universitari: i giovani che provengono dalle famiglie meno agiate, pur di raggiungere l’obiettivo del titolo di studio, fanno scelte compatibili con le proprie risorse, come ad esempio Atenei o corsi di studio disponibili nel proprio territorio di residenza. 

Un altro aspetto viene messo in risalto: a rendere piacevole un Ateneo non è tanto la sua fama scientifica o accademica, quanto la capacità di sostenere gli studenti nel loro percorso offrendo servizi. I giovani, infatti, tendono sempre più a scegliere l’università in base all'offerta di borse di studio e di servizi per la didattica, magari un ateneo che possa favorire la possibilità di trovare un lavoro che aiuti a mantenersi. 

Scegliere l’ateneo migliore, in effetti, sembra sempre ripagare. I migliori risultano quelli delle grandi città, dal nome conosciuto e con una tradizione consolidata. Questi infatti, esercitando un buon interesse sul mercato del lavoro, permettono un più rapido inserimento professionale, consentendo così ai giovani di recuperare l’investimento fatto nella formazione universitaria. Stando ai seguenti dati, in cima alla classifica degli atenei che garantiscono “maggiori ritorni” si trovano quelli milanesi, con Politecnico, Bocconi e Cattolica che sbaragliano la concorrenza. Bene anche le Università di Napoli e di Roma con in cima la Luiss, seguita da Tor Vergata e La Sapienza, mentre a chiudere la classifica sono le Università di Messina, Cagliari, e l’Università della Calabria.



Ipotesi di una sconfitta di Giorgio Falco vince Premio Napoli 2018

di Fiorenza Basso

Lo scrittore Giorgio Falco
Volevo cercare non so bene cosa, qualcosa che mio padre non aveva mai trovato poiché nemmeno immaginava che esistesse. Avevo fallito per liberare anche mio padre”. È un breve passo tratto dal libro Ipotesi di una sconfitta (Einaudi), che mostra lo sgretolamento delle granitiche certezze appartenute all’età del padre, che portano l’individuo a cercare un posto fisso non solo nel lavoro, ma anche nella vita. 

L’opera autobiografica, scritta da Giorgio Falco e insignita del Premio Napoli 2018, racconta la storia del figlio di un autista dell’ATM, Azienda di Trasporti pubblici Milanesi, che dall’uscita del liceo fino all’ingresso nella casa editrice Einaudi ha svolto innumerevoli lavori: da operaio stagionale in una fabbrica di spillette che raffigurano icone come Simon Le Bon, Karol Wojtyla, Che Guevara, a venditore porta a porta di scope di saggina nera jugoslava, passando per l’allenatore di minibasket e attivatore di carte Sim, fino ad approdare alle scommesse sportive. Se da una parte il padre del protagonista ha delle certezze, quali svegliarsi alle tre e mezzo, fare colazione con una tazza di caffè, recarsi in azienda e iniziare la sua giornata lavorativa, dall’altra parte suo figlio Giorgio alimenta un’unica certezza: la parola scritta che si fa strada durante l’avvicendarsi delle sue numerose esperienze lavorative; la scrittura dunque si fa certezza nella dissoluzione, appuntamento fisso con la vita. 

Un’autobiografia a tratti ironica, a tratti pungente perché fa un resoconto della lenta metamorfosi dell’Italia, iniziata con il boom economico avvenuto negli anni Cinquanta, durante i quali viene inaugurato il mito delle grandi aziende e della notevole produzione di lavoro, per poi sfociare nella produzione di modelli immateriali diffusisi grazie e a causa della rivoluzione informatica all’inizio degli anni Novanta. 

Non è un caso se l’autore prende ispirazione dalle vicende personali per descrivere la situazione frammentaria in cui versava l’Italia negli anni Ottanta. Il padre, in questo romanzo, non è solo il genitore con il quale si ha il conflitto generazionale che porta al riconoscimento dell’alterità; rappresenta anche la società della generazione dei padri caratterizzata da infallibilità e punti fissi che non sono più riscontrabili nella società moderna. Si assiste, dunque, “all’evaporazione del padre”, alla frantumazione di tutti quei valori che garantivano un’integrità personale e sociale. 

Il protagonista del romanzo, che rappresenta l’uomo della società moderna, si divide nella vana speranza di rimanere integro; la speranza si ciba del sogno, in questo caso quello di diventare scrittore, che assicura completezza e totalità. 


La parola Doping fa ancora paura nel mondo del calcio

di Luigi Rinaldi
Risultati immagini per doping calcioNel mondo del calcio, a differenza di altri sport, come il ciclismo o l’atletica, la questione del doping viene percepita in misura molto ridotta, quasi come se il problema non esistesse affatto. Nel corso degli anni, i controlli, anziché essere incentivati sono stati progressivamente ridotti dalle varie federazioni calcistiche nazionali, soprattutto nelle serie minori, laddove l’utilizzo di sostanze dopanti può avvenire da parte degli atleti in modo sicuramente più disinvolto rispetto ai campioni che calcano i palcoscenici internazionali. 

Eppure di esempi di doping nel calcio ce ne sono moltissimi, anche se si tende a parlarne poco. Non mancano nomi illustri che oltre alle vicende sportive, sono andati alla ribalta dei media per aver utilizzato una sostanza proibita o l’altra. Andando indietro nel tempo, molti calciatori famosi si sono trovati a fare i conti con il famigerato nandrolone, uno steroide anabolizzante riscontrato, nei primi anni del nuovo millennio, su giocatori del calibro di Edgar Davids, Frank De Boer e addirittura Josep Guardiola, attuale allenatore del Manchester City

Qualche anno fa, il Sunday Times, il più famoso quotidiano britannico, uscì, in prima pagina, con il sospetto di abuso di steroidi da parte di giocatori all’interno di competizioni Uefa. Un’indagine voluta proprio dal massimo organismo calcistico europeo avrebbe raccolto 68 casi sospetti o atipici nei risultati delle analisi delle urine su 879 giocatori testati nel periodo 2008-2013. 

Tuttavia la stessa Uefa immediatamente cercò di minimizzare lo scoop del giornale britannico, adducendo la mancanza di prove scientifiche tali da consentire l’apertura di procedimenti sanzionatori per abuso di sostanze dopanti. Ha suscitato molto clamore il caso Sergio Ramos, trovato positivo dopo la finale di Champions League, vinta dal Real Madrid sulla Juventus in quel di Cardiff

Il campione spagnolo, capitano delle merengues, selezionato per il test antidoping, è stato riscontrato positivo al desametasone, sostanza con proprietà antinfiammatorie, proibita dalla Wada, l’Agenzia Antidoping Internazionale, ma che può essere assunta dagli atleti solo nel caso di determinate necessità terapeutiche. Obbligatorio però che il tutto venga comunicato alla vigilia della partita. 

Anche in questo caso la Uefa ha deciso per l’archiviazione, accettando le scuse e le spiegazioni del medico del Real, il quale, alla vigilia della partita, per errore, aveva comunicato l’assunzione, da parte di Sergio Ramos, di un altro farmaco simile ma non proibito, il Celestone Cronodose

La vicenda ha destato tante perplessità, non solo per le decisioni assunte dalla Uefa, ma, soprattutto, per il fatto che non se ne sia minimamente parlato subito dopo la finale di Cardiff. Con i diretti interessati che hanno gestito il tutto in silenzio, preoccupati di non alimentare polemiche. Ancora troppi tabù nel mondo del calcio forse perché gli interessi economici e mediatici non ne consentono il superamento. 

Nel calcio non si può parlare di omosessualità così come non si può parlare di doping. Sembra che il solo fatto di parlarne possa danneggiare l’immagine dello sport. Chissà se è vera la notizia diffusa da un giornale spagnolo, “Sport”, secondo la quale l’associazione mondiale antidoping, nel 2020, potrebbe mettere al bando anche sostanze come la caffeina e la nicotina. Il sistema calcio consentirà mai un definitivo addio alla vita normale per gli atleti? 



Sapere le lingue straniere… un toccasana per la nostra salute

di Teresa Uomo

Quante volte ci siam sentiti dire da genitori ed insegnanti che le lingue straniere sono importanti. È senza dubbio vero: in un mondo sempre più globalizzato, conoscere altre lingue oltre a quella nativa, può darci una marcia in più. Ma i vantaggi che può apportare il plurilinguismo interessano anche il benessere e le capacità del nostro cervello

Bisogna specificare che nel mondo il monolinguismo, cioè la conoscenza di una sola lingua, è piuttosto raro. Sia dal punto di vista cognitivo che da quello neurologico siamo progettati per acquisire più di una lingua. Non è un caso se in Italia moltissime persone padroneggiano sia l’italiano che il dialetto. 

C’è però da fare un’osservazione: anche nei bilingui nativi, cioè quelli che sono stati a contatto fin dalla nascita con due lingue diverse (è il caso di bambini con genitori che hanno due differenti lingue native), è quasi impossibile che i due idiomi siano utilizzati con la stessa padronanza in tutti i contesti in cui comunicano. Ad esempio, la lingua studiata a scuola sarà quella che preferiscono usare per gli argomenti studiati a scuola e nei contesti più formali. 

Parlare più di una lingua fortifica la riserva cognitiva. Una risorsa utile a contrastare non solo il declino in caso di malattie neurodegenerative, ma anche la fisiologica diminuzione di neuroni che avviene con l’invecchiamento. Gli anziani bilingui sono meno soggetti a quei fenomeni tipici dell’invecchiamento, come la difficoltà di trovare i nomi e le parole; incontrano meno problemi, inoltre, nella comprensione e nella produzione di frasi dalla sintassi complessa. 

Si tende ad imparare le lingue straniere per ottenere un lavoro migliore, per cavarsela durante i viaggi, per mantenere il cervello allenato. Il bilinguismo aiuta a sviluppare la competenza metalinguistica, cioè la capacità di riflettere sull’uso della lingua stessa. Anche i bambini bilingui sono in genere quindi più consapevoli del modo in cui sfruttano le potenzialità del linguaggio e di alcune sue caratteristiche, fra cui la grammatica. 

Il linguista francese Francois Grosjean – attraverso i suoi studi – ha individuato anche qualche possibile svantaggio del bilinguismo: i bilingui sarebbero meno abili nel giudicare le proprie capacità rispetto ai monolingui. Un bambino bilingue non è come due bambini monolingui, ossia non gestisce entrambe le lingue esattamente come un monolingue gestisce la sua sola lingua. Al contrario, il cervello di un bambino bilingue si sviluppa in modo molto diverso. 



Alberi abbattuti: la risposta del Comune di Napoli

di Antonio Cimminiello

L'Italia negli ultimi anni ha dovuto fare duramente i conti con i fenomeni naturali che hanno finito col minare significativamente il "polmone verde"del Belpaese: dall'avvento del famigerato "punteruolo rosso" fino all'emergenza Xylella, causa della morte di distese intere di ulivi in Puglia e diventata poi vero e proprio caso nazionale ed internazionale. Anche Napoli purtroppo ha pagato dazio, ma solo negli ultimi tempi si è verificata una vera e propria escalation in negativo, culminata nella scomparsa ed abbattimento di quasi 3000 alberi, tra l'altro avvenuta pure in zone che da sempre rappresentano la cartolina della città partenopea (si pensi alla "moria" che ha interessato Parco Virgiliano e dintorni). 

La risposta del Comune non si è fatta attendere, ed almeno sulla carta è apparsa più che decisa. In altre parole, con recente delibera della Giunta Comunale, adottata su iniziativa dell'assessore Ciro Borriello e con un impegno di spesa pari a più di 5 milioni e mezzo di euro, si è disposta in primo luogo la piantumazione di nuovi alberi per un numero tale da ripianare il vuoto originato dagli abbattimenti già avvenuti; si tratterà di una piantumazione "intelligente", dato che sarà anticipata da una preventiva verifica in grado di stabilire quale sarà la specie di pianta più opportuna per il terreno interessato. 

Ad essa però si accompagnerà la piantumazione di ulteriori 2000 arbusti e 2800 alberi, con il chiaro obiettivo quindi di rendere più ampie e consistenti le aree verdi della città. In mezzo – e per la prima volta dopo decenni – è prevista inoltre un'importante opera di verifica e manutenzione, che andrà ad interessare tutti gli altri alberi cittadini già esistenti, al fine di verificarne lo stato e quindi anche per tale via assicurare l'incolumità pubblica, se si pensa agli alberi pericolanti che ancora oggi sono presenti sul territorio ed ai danni che gli stessi hanno provocato in passato. 

A tal fine l'Ente del sindaco Luigi de Magistris potrà avvalersi anche di personale esterno, affinchè questo intervento ad ampio raggio possa diventare davvero concreto, superando così la "cronica" carenza di personale interno competente o altri problemi di natura tecnica. In attesa dell'avvio delle procedure di bando, una prima analisi del contenuto della delibera permette di ritenerla al tempo stesso incisiva e necessaria. 

Incisiva perchè va ben oltre la previsione di nuovi alberi per occupare posti vuoti, ma prevede un monitoraggio completo per evitare quanto già accaduto in questi anni, quando anche la scarsa attenzione (dettata da motivi economici e non), e non solo fenomeni estemporanei come quelli sopra indicati, ha portato alla progressiva morte degli alberi stessi. 

Necessaria perchè "controllare" qualcosa come 40.000 alberi circa (secondo l'ultimo censimento del Comune di Napoli) localizzati nelle aree più varie- da Scampia a Poggioreale- significherà anche prevenire episodi funesti: la ferita di Cristina Alongi (morta proprio perchè l'auto nella quale si trovava a via Falcone fu travolta dal fusto di un albero che cadde mentre transitò, nel Giugno del 2013) è ancora una ferita aperta. 



Premio Napoli: svelati i vincitori. Premio Internazionale a Jumpha Lahiri

di Antonio Ianuale 

Jumpha Lahiri
Lo scorso 18 dicembre, in un Teatro Mercadante gremito, si è svolta la 64esima edizione del Premio Napoli, lo storico riconoscimento alla letteratura italiana. Sono stati i lettori, 1300 per questa edizione, a decretare i vincitori suddivisi nelle tre sezioni: saggistica, poesia e narrativa. 

Lo scrittore Giorgio Falco con Ipotesi di una sconfitta ha vinto per la sezione narrativa: una sorta di autobiografia, la narrazione del percorso compiuto dallo scrittore, che deve adeguarsi ad un tempo in evoluzione, Guido Mazzoni ha trionfato con La pura superficie nella poesia: un testo che alterna versi e la prosa, dove un uomo qualsiasi che vive in una città qualsiasi sperimenta la solitudine, osserva ma è allo stesso tempo osservato. Una radiografia della nostra epoca, dove la solitudine è predominante. 

Francesco Merlo con Sillabario dei malintesi nella saggistica: un testo che presentandosi sotto la veste di un dizionario, dove però i 79 lemmi non sono in ordine alfabetico, vuole indagare le parole che stanno hanno caratterizzato le più importanti tappe della storia politica e civile italiana, dal dopoguerra a oggi. 

Il Premio Cultura è andato all'attore e regista Renato Carpentieri, mentre il Premio Napoletani Illustri allo scrittore noir Maurizio de Giovanni

Il premio Internazionale è andato alla scrittrice statunitense, di origini bengalesi Jumpha Lahiri premio Pulitzer nel 2000 per “L’interprete dei malanni”, la sua prima raccolta di racconti brevi. L’autrice ama la lingua italiana, ha vissuto anche a Roma e ha pubblicato libri in lingua italiana: nel 2015 In altre parole, nel 2016 Il vestito dei libri, e pochi mesi fa è uscito il suo nuovo libro Dove mi trovo, presentato il 19 dicembre a Palazzo Reale con la partecipazione di Domenico Starnone, scrittore, sceneggiatore e docente di lingua italiana. 

Da donna nata in Inghilterra da una famiglia bengalese, Lahiri analizza e tratta il tema dell’identità, il problema delle radici di appartenenza, la difficoltà di legarsi a luoghi e persone. Ne emerge una solitudine che sembra non poter trovare conforto, se non temporaneo ed illusorio. La protagonista e voce narrante del testo, una donna di 45 anni, è in continua lotta tra l’amore per i luoghi e il desiderio di andare oltre, non riesce a trovare stabilità ed equilibrio. La sua solitudine è allo stesso tempo forza e debolezza, la induce a riflettere sulla sua vita ma la frena da cercare nuove esperienze. Un testo riflessivo che vuole indagare la condizione umana, sempre più disorientata, in una perenne oscillazione ma in cerca di una stabilità definitiva.


Calcio violento: 40 anni fa moriva Vincenzo Paparelli. Cos’è cambiato?

di Luigi Rinaldi

Era il 28 ottobre 1979, quando Vincenzo Paparelli, tifoso laziale, moriva allo stadio Olimpico, dopo essere stato colpito da un razzo, poco prima del derby Roma - Lazio. Da allora, sono passati quasi 40 anni e il pallone è ancora oggi prigioniero di un’assurda scissione tra l’immortale fascino del gioco e delle passioni che produce e il sopravvivere di una cultura dell’odio che si trasforma in violenza. Dopo decenni dalla morte del tifoso laziale, il fenomeno si è incrudelito, segnalandosi per la “normalità” di risse, accoltellamenti, feriti e talvolta anche morti da stadio. 

Come dimostra l’Osservatorio per le manifestazioni sportive, i numeri sono in costante aumento, nonostante la progressiva militarizzazione. Oltre 15 mila tra poliziotti, carabinieri e militari della Guardia di Finanza, mobilitati per le domeniche di campionato, con una spesa superiore ai 30 milioni di euro all’anno nel 2018. Purtroppo, ancora oggi appare evidente l’assenza di un’accurata analisi sulla degenerazione della passione calcistica. 

Continua a prevalere l’idea che le violenze siano opera non di gruppi organizzati e strutturati quasi militarmente, ma di pochi isolati “imbecilli” o “cretini” che rovinano lo spettacolo della stragrande maggioranza dei veri tifosi. È così che ogni volta che accade un incidente grave sembra sempre che sia la prima volta. E invece non è così. Prova e’ che il capo ultrà della curva interista Marco Piovella, accusato di essere l’ispiratore del raid teppistico contro la carovana di tifosi napoletani, lo scorso 26 dicembre, che ha causato la morte del capo ultrà varesino, Daniele Belardinelli, era già stato processato nel 2003, per incidenti durante un derby con il Milan. 

Non di meno “Irriducibili” e “Viking”, ossia i gruppi della curva nord di San Siro, sono protagonisti della cronaca nera calcistica fin dagli anni 80. Addirittura sembra che alcune esperienze si tramandino di padre in figlio. Tra gli indagati della Procura di Milano, sugli scontri avvenuti prima della partita Inter - Napoli, risulta anche Alessandro Caravita, il figlio diciannovenne di Franco, lo storico fondatore e capo dei “Boys” dell’Inter, una delle componenti più forti della curva nerazzurra. Il ragazzo, a differenza del padre che ha vecchi precedenti specifici, è incensurato ed è stato indagato per rissa aggravata e omicidio volontario. 

Sorprende la superficialità con la quale il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, all’indomani dell’ultima tragedia di San Siro, abbia dichiarato: "quei deficienti li metteremo tutti in galera". Come se in quarant’anni, dalla morte del povero Paparelli, non fosse stato fatto nulla per affrontare il problema del tifo violento. Tanto si è detto, tanto si è fatto, ma forse senza comprendere il nocciolo della questione. 

Era il 1979 quando l’allora ministro dell’Interno, Virgilio Rognoni, annunciava la rimozione degli striscioni violenti dagli stadi. Dopo l’immane tragedia dell’Heysel a Bruxelles, nel 1985, ad ogni evento luttuoso, praticamente tutti gli anni, è stato invocato lo stop alle trasferte e alle carovane del tifo. Sono state innumerevoli le volte in cui è stata minacciata la chiusura degli stadi o l’interruzione dei campionati da parte delle autorità sportive o politiche sull’onda emotiva causata da eventi sempre più tragici ed inaccettabili. Tuttavia, la suprema legge del mondo dello spettacolo “show must go on”, ha avuto la meglio su ogni iniziativa, dai tornelli al Daspo, tanto voluti ed inaugurati dal ministro Roberto Maroni

In tutti questi anni cosa è cambiato? Nulla assolutamente nulla. Anzi il quadro generale è sicuramente peggiorato. Sicuramente è scomparsa qualsiasi ironia e leggerezza nel mondo del tifo. Dal memorabile striscione degli anni 80 “Se la Juve è magica Cicciolina è vergine“ oppure “Giulietta sei una zoccola“, come risposta di tifosi napoletani a quelli veronesi, inneggianti alla lava vesuviana, si è passati ai cori contro i giocatori di colore, agli slogan antisemiti, al dileggio osceno del ricordo di Anna Frank. 

Oggi gli scontri non avvengono più per motivi di appartenenza calcistica, tanto che gli incidenti avvengono molto lontano dei campi di gioco. Gli addetti ai lavori, invece di fare inutili proclami, dovrebbero concentrare l’attenzione sulla stretta relazione venutasi a creare fra la crisi della militanza politica e partitica e la montata sciovinista e razzista da stadio. Una relazione da esaminare nelle cause e negli aspetti per adottare le soluzioni socialmente più opportune. 



Adolescenti e social network: pro e contro

di Teresa Uomo

I social network occupano ormai spazio e tempo nella vita di molti ragazzi. È raro infatti trovare qualche adolescente che non abbia un profilo social. Ormai questi siti raccolgono la maggior parte della popolazione ed hanno un impatto sociale su persone di tutte le età, ma soprattutto sui giovani. Ci poniamo una domanda: questa vita virtuale è proprio così importante nella vita di ognuno di noi? 

Secondo lo scrittore Jonathan Franzen non è così: i social network stimolano la creazione di una cultura banale e superficiale, rendendo i ragazzi incapaci di socializzare, creando così dipendenza e distaccando i giovani dalla vita reale, facendo loro perdere i veri principi, in primis quello della vera comunicazione, la comunicazione “face-to-face”. Questa dipendenza può anche causare un allontanamento dallo studio. 

Diversi i motivi per i quali si utilizzano i social media. 

I social network producono anche effetti negativi sulla nostra salute mentale, colpevoli di creare depressione, ansia, privazione di sonno e portare molti utenti ad avere problemi con l’immagine del proprio corpo. 

E' evidente che i social sono ormai parte integrante della nostra vita quotidiana. Questo è un dato di fatto indiscutibile. Attraverso di essi le distanze si sono accorciate: basta davvero poco per mettersi in contatto con persone che possono trovarsi anche dall’altra parte del mondo. 

C’è però da dire che se usati sconsideratamente i social network possono diventare alienanti e si può perdere quasi del tutto il contatto con la realtà. 

La comunicazione è cambiata, perché è cambiato il modo di approcciarsi ad essa e di conseguenza il modo di approcciarsi agli altri, al contrario della scrittura, del telefono, dei media, di Internet, che ci permettono di scambiare informazioni con gli altri. 

Con le nuove tecnologie sono cambiati i ritmi, non c’è più il tempo di scriversi una lettera, non c’è più la voglia di parlare per troppo tempo al telefono. Oramai tutto è più veloce, ma al contempo tutto è più freddo, perché le informazioni passano attraverso uno schermo, dove non c’è tono, non c’è enfasi, non c’è rapporto umano in particolar modo. 

Comodo sicuramente, ma al contempo estraniante dalla realtà. Ecco perchè il consiglio rimane sempre lo stesso: va benissimo utilizzarli, ma come tutte le cose, sempre con moderazione.



Pompei ritrova la sua casa: riapre la Schola Armaturarum

di Antonio Ianuale 

Gli Scavi di Pompei si riappropriano di una delle strutture crollate nove anni e oggetto di una lunga opera di restauro: lo scorso 3 gennaio è stata riaperta la Schola Armaturarum, crollata il 6 novembre del 2010. Il direttore generale Massimo Osanna ha concluso il suo mandato proprio riconsegnando agli scavi la struttura crollata che già a causa dei bombardamenti alleati del '43 aveva subito dei danni: ”Da metafora dell'incapacità italiana di prendersi cura di un luogo prezioso che appartiene all'intera umanità, la riapertura della Schola Armaturarum rappresenta un simbolo di riscatto per i risultati raggiunti a Pompei con il Grande Progetto, e più in generale un segnale di speranza per il futuro del nostro patrimonio culturale”.

Gli interventi di recupero sono iniziati nel 2016 con il supporto tecnico di Ales, la struttura interna del Mibac che si occupa da più di tre anni della manutenzione programmata di Pompei. La struttura, nota come la Casa dei Gladiatori, fu riportata alla luce dagli scavi di Vittorio Spinazzola nel 1915-16: era una sorta di sede di rappresentanza di un’associazione militare con delle armi custodite.

Secondo gli studiosi era anche sede di duri allenamenti, ma ad attirare i turisti erano le pitture dei trofei e particolari decorazioni in stile militare come rami di palma, vittorie alate e candelabri con aquile. Purtroppo il crollo del 2010 ha distrutto queste decorazioni e molti degli affreschi sono andati perduti, ma la riapertura della casa segue la scoperta di nuove domus e nuovi mosaici come «il Mito di Orione» e nuovi affreschi come quello subito famoso «Leda e il cigno».

I lavori di restauro e di manutenzione degli Scavi stanno portando alla luce altri reperti archeologici e nuove scoperte: come ad esempio un deposito di quindici anfore e l'eccezionale rinvenimento dei resti di un sauro bardato; si tratta del cavallo usato da un magistrato militare soffocato dalle ceneri causate dall’eruzione del Vesuvio.

La restaurazione del sito archeologico procede e cerca di salvaguardare il patrimonio storico-culturale che per anni è stato a rischio: nel mese di novembre sono state riaperte al pubblico la Casa della fontana grande, la Casa dell'ancora e il Tempio di Iside. Pompei si sta riappropriando della propria storia e vuole tornare all’antico splendore.